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La prefazione di Papa Francesco al nuovo libro di Ivereigh

Appartenere a Dio

 Appartenere a Dio  QUO-036
13 febbraio 2024

I ritiri spirituali non sono vacanze “benessere”


Si intitola First belong to God - On retreat with Pope Francis il nuovo libro del giornalista e scrittore britannico Austen Ivereigh, che ripropone meditazioni del gesuita Jorge Mario Bergoglio nei ritiri predicati in passato e gli insegnamenti da Pontefice in materia di esercizi ignaziani. Edito da LoyolaPress (Chicago 2024, pp. 240), il volume è una sorta di guida spirituale che accompagna il lettore seguendo lo schema tradizionale in otto giorni secondo il metodo del fondatore della Compagnia di Gesù. Di seguito pubblichiamo una nostra traduzione dall’inglese della prefazione scritta dallo stesso Papa Francesco.

Proprio grazie alla sua esperienza di vita, sant’Ignazio di Loyola comprese con grande chiarezza che ogni cristiano combatte una battaglia che definisce la sua vita. È una lotta per vincere la tentazione di chiuderci in noi stessi, affinché l’amore del Padre possa dimorare in noi. Quando facciamo spazio al Signore che ci salva dalla nostra auto-sufficienza, ci apriamo a tutto il creato e a ogni creatura. Diventiamo canali per la vita e l’amore del Padre. E solo allora riusciamo a realizzare che cosa sia realmente la vita: un dono del Padre che ci ama profondamente e desidera che apparteniamo a Lui e gli uni agli altri.

Questa battaglia è già stata vinta per noi da Gesù, attraverso la sua ignominiosa morte sulla Croce e la sua resurrezione. In tal modo il Padre ci ha rivelato una volta per tutte e per sempre che il suo amore è più forte di tutti i poteri di questo mondo. Ma ciononostante, abbracciare e rendere reale quella vittoria continua a essere una lotta: noi continuiamo a essere tentati di chiuderci a quella grazia, di vivere in modo mondano nell’illusione di essere autonomi e auto-sufficienti. Tutte queste crisi che minacciano la vita e ci affliggono in tutto il mondo, dalla crisi ecologica alle guerre, alle ingiustizie nei confronti dei poveri e dei vulnerabili, sono radicate in questo rifiuto di appartenere a Dio e gli uni agli altri.

La Chiesa ci aiuta in molti modi a lottare contro questa tentazione. Le sue tradizioni e i suoi insegnamenti, le pratiche della preghiera e della confessione e la regolare celebrazione dell’Eucaristia sono “canali di grazia” che ci aprono affinché riceviamo i doni che il Padre vuole riversare su di noi.

Tra queste tradizioni ci sono i ritiri spirituali e al loro interno ci sono gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola.

A causa delle pressioni e delle costanti tensioni di una società ossessivamente competitiva, i ritiri per “ricaricare le nostre batterie” sono diventati piuttosto popolari. Ma un ritiro cristiano è molto diverso da una vacanza “benessere”. Il centro dell’attenzione non siamo noi ma Dio, il Buon Pastore che, invece di trattarci come macchine, risponde ai nostri bisogni più profondi come suoi amati figli.

Il ritiro è un tempo in cui il Creatore parla direttamente alle sue creature, infiammando le nostre anime con il “suo amore e la sua lode” in modo che possiamo “meglio servirlo in futuro”, secondo le parole di Sant’Ignazio ( es 15). Amore e servizio: sono questi i due grandi temi degli Esercizi spirituali. Gesù esce per incontrarci, spezzando le nostre catene affinché possiamo camminare con lui come suoi discepoli e compagni.

Quando penso ai frutti degli Esercizi, vedo Gesù che dice al paralitico della piscina di Betzaeta: «Alzati, prendi la tua barella e cammina!» (Gv 5, 1-16). È un ordine al quale bisogna obbedire ma, al tempo stesso, è il suo invito più gentile e amorevole.

Quell’uomo era paralizzato interiormente. Si sentiva un fallimento in un mondo di rivali e contendenti. Risentito e amareggiato dinanzi a ciò che riteneva gli fosse stato negato, era intrappolato nella logica dell’auto-sufficienza, convinto che ogni cosa dipendesse da lui e dalle sue sole forze. E poiché gli altri erano più forti e più veloci di lui, è caduto nella disperazione. Ed è proprio lì che Gesù esce per andargli incontro con la sua misericordia e lo invita a uscire da sé stesso. Una volta aperto al potere salvifico di Gesù, la sua paralisi, quella interiore e quella esteriore, è guarita. Può alzarsi e camminare, lodando Dio e lavorando per il suo Regno, liberato dal mito dell’auto-sufficienza, e imparando ogni giorno a dipendere maggiormente dalla sua grazia. In tal modo l’uomo diventa un discepolo, capace di affrontare meglio non solo le sfide di questo mondo, ma anche di sfidare il mondo ad agire secondo la logica del dono e dell’amore.

Da Papa, ho voluto incoraggiare la nostra appartenenza “prima” a Dio e poi al creato e ai nostri fratelli, specialmente a quelli che ci chiamano a gran voce. Questo è il motivo per cui ho voluto non perdere di vista le due grandi crisi del nostro tempo: il deterioramento della nostra casa comune e la migrazione e il dislocamento di massa delle persone. Entrambi sono sintomi della “crisi di non-appartenenza” descritta in queste pagine. Per la stessa ragione ho voluto incoraggiare la Chiesa a riscoprire il dono della sua tradizione di sinodalità, perché quando si apre allo Spirito che parla nel Popolo di Dio, l’intera Chiesa si alza e cammina, lodando Dio e contribuendo alla venuta del suo Regno.

Sono contento di vedere quanto questi temi siano presenti in “First Belonging to God”, legati alle contemplazioni di sant’Ignazio che mi hanno formato nel corso degli anni. Austen Ivereigh ha fatto un buon lavoro unendo le meditazioni nei ritiri che ho predicato molti decenni fa e i miei insegnamenti da Pontefice. In tal modo consente a entrambi di illuminare e di essere illuminati dagli Esercizi spirituali di sant’Ignazio.

Non è questo il tempo di ripiegarsi su sé stessi e chiudere le nostre porte. Vedo chiaramente che il Signore ci sta chiamando a uscire da noi stessi, ad alzarci e camminare. Egli ci chiede di non distogliere lo sguardo dalle sofferenze e dalle grida del nostro tempo, ma entrarci dentro, aprendo canali della sua grazia. Ciascuno di noi è questo canale in virtù del proprio battesimo. Il punto è aprirlo e mantenerlo aperto.

Possano questi otto giorni, in cui potrete godere del Suo amore, aiutarvi a sentire la chiamata del Signore a diventare una fonte di vita, speranza e grazia per gli altri, e in tal modo scoprire la vera gioia della vostra vita. Che possiate trovare quel magis di cui parla Sant’Ignazio, quel “di più” che ci chiama a scoprire le profondità dell’amore di Dio nel donarci maggiormente.

E, per piacere, ogni volta che vi ricordate, non dimenticatevi di pregare per me, di modo che possa aiutarci ad appartenere prima di tutto a Dio.

Città del Vaticano, 12 ottobre 2023
Festa di Nostra Signora del Pilar