· Città del Vaticano ·

Il discorso del Papa ai partecipanti all’assemblea generale della Pontificia accademia per la vita

Una cultura dell’umano
per scongiurare l’egemonia tecnocratica

 Una cultura dell’umano  per scongiurare l’egemonia tecnocratica  QUO-035
12 febbraio 2024

Per «scongiurare l’egemonia tecnocratica» occorre «una cultura capace di riconoscere e promuovere l’umano nella sua specificità irripetibile». Lo ha detto Papa Francesco durante l’udienza — svoltasi stamane nella Sala del Concistoro — ai partecipanti all’assemblea generale della Pontificia accademia per la vita, i cui lavori si svolgono fino al 14 febbraio sul tema «Human. Meanings and challenges».

Illustri Signore e Signori!

Saluto S.E. Mons. Paglia, le vostre Eccellenze, Sua Eminenza e il nuovo Arcivescovo di Santiago del Cile, e vi ringrazio per il vostro impegno nel campo della ricerca delle scienze della vita, della salute e della cura; un impegno che la Pontificia Accademia per la Vita porta avanti da trent’anni.

La questione che affrontate in questa Assemblea Generale è della massima importanza: quella, cioè, di come si possa comprendere ciò che qualifica l’essere umano. Si tratta di un interrogativo antico e sempre nuovo, che le sorprendenti risorse possibili grazie alle nuove tecnologie ripropongono in forma ancora più complessa. Il contributo degli studiosi da sempre ci dice che non è possibile essere a priori “pro” o “contro” le macchine e le tecnologie, perché questa alternativa, riferita all’esperienza umana, non ha senso. E anche oggi, non è plausibile ricorrere solamente alla distinzione tra processi naturali e processi artificiali, considerando i primi come autenticamente umani e i secondi come estranei o addirittura contrari all’umano: questo non va. Quello che occorre fare, piuttosto, è inscrivere i saperi scientifici e tecnologici all’interno di un più ampio orizzonte di significato, scongiurando così l’egemonia tecnocratica (cfr. Lett. enc. Laudato si’, 108).

Consideriamo, ad esempio, il tentativo di riprodurre l’essere umano con i mezzi e la logica della tecnica. Un tale approccio implica la riduzione dell’umano a un aggregato di prestazioni riproducibili a partire di un linguaggio digitale, che pretende di esprimere, attraverso codici numerici, ogni tipo di informazione. La stretta consonanza con il racconto biblico della Torre di Babele (cfr. Gen 11, 1-11) mostra che il desiderio di darsi un linguaggio unico è inscritto nella storia dell’umanità; e l’intervento di Dio, che troppo frettolosamente viene inteso solo come una punizione distruttiva, contiene invece una benedizione propositiva. Esso, infatti, manifesta il tentativo di correggere la deriva verso un “pensiero unico” attraverso la molteplicità delle lingue. Gli esseri umani vengono così messi di fronte al limite e alla vulnerabilità e richiamati al rispetto dell’alterità e alla cura reciproca.

Certo, le crescenti capacità della scienza e della tecnica conducono gli esseri umani a sentirsi protagonisti di un atto creatore affine a quello divino, che produce l’immagine e la somiglianza della vita umana, inclusa la capacità del linguaggio, di cui le “macchine parlanti” sembrano essere dotate. Sarebbe allora nel potere dell’uomo infondere lo spirito nella materia inanimata? La tentazione è insidiosa. Ci viene quindi chiesto di discernere come la creatività dell’uomo affidato a sé stesso possa esercitarsi in modo responsabile. Si tratta di investire i talenti ricevuti impedendo che l’umano sia sfigurato e che siano annullate le differenze costitutive che danno ordine al cosmo (cfr. Gen 1-3).

Il compito principale si pone quindi a livello antropologico e richiede di sviluppare una cultura che, integrando le risorse della scienza e della tecnica, sia capace di riconoscere e promuovere l’umano nella sua specificità irripetibile. Occorre esplorare se tale specificità non sia da collocare addirittura a monte del linguaggio, nella sfera del pathos e delle emozioni, del desiderio e dell’intenzionalità, che solo un essere umano può riconoscere, apprezzare e convertire in senso relazionale a favore degli altri, assistito dalla grazia del Creatore. Un compito culturale, dunque, perché la cultura plasma e orienta le forze spontanee della vita e le pratiche sociali.

Cari amici, come è impegnativo l’argomento che affrontate, impegnative sono anche le due modalità con cui intendete farlo. In primo luogo, perché vedo in voi lo sforzo di attuare un effettivo dialogo, uno scambio transdisciplinare in quella forma che Veritatis gaudium descrive «come collocazione e fermentazione di tutti i saperi entro lo spazio di Luce e di Vita offerto dalla Sapienza che promana dalla Rivelazione di Dio» (n. 4c). Apprezzo che la vostra riflessione si svolga nella logica di un vero e proprio «laboratorio culturale in cui la Chiesa fa esercizio dell’interpretazione performativa della realtà che scaturisce dall’evento di Gesù Cristo e che si nutre dei doni della Sapienza e della Scienza di cui lo Spirito Santo arricchisce [...] il Popolo di Dio» (ivi, 3). Per questo, incoraggio tale forma di dialogo, e questo dialogo permetterà a ciascuno di esporre le proprie considerazioni interagendo con gli altri in un reciproco scambio. È questa la via per andare oltre la giustapposizione dei saperi, avviando una rielaborazione delle conoscenze attraverso il vicendevole ascolto e la riflessione critica.

In secondo luogo, nella dinamica del vostro incontro si vede un modo di procedere sinodale, giustamente adattato per affrontare gli argomenti al centro della missione dell’Accademia. Si tratta di uno stile di ricerca esigente, perché comporta attenzione e libertà di spirito, apertura a inoltrarsi su sentieri inesplorati e sconosciuti, affrancandosi da ogni sterile “indietrismo”. Per chi si impegna in un serio ed evangelico rinnovamento del pensiero, è indispensabile mettere in questione anche opinioni acquisite e presupposti non criticamente vagliati.

In questa linea, il cristianesimo ha sempre offerto contributi di rilievo, riprendendo da ogni cultura in cui si è inserito le tradizioni di senso che vi trovava inscritte: reinterpretandole alla luce della relazione con il Signore, che nel Vangelo si rivela, e avvalendosi delle risorse linguistiche e concettuali presenti nei singoli contesti. Un cammino di elaborazione lungo e sempre da riprendere, che richiede un pensiero capace di abbracciare più generazioni: come quello di chi pianta alberi, i cui frutti saranno mangiati dai figli, o di chi costruisce cattedrali, che verranno completate dai nipoti.

È questo atteggiamento aperto e responsabile, docile allo Spirito il quale, come il vento, «non sai da dove viene né dove va» (Gv 3, 8), che desidero invocare dal Signore per tutti voi, augurandovi un lavoro proficuo e fecondo. Di cuore vi benedico. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!


La conferenza stampa di presentazione dei lavori  

Dialogo tra i saperi e riflessione etica 


Lo sviluppo scientifico e tecnologico in cui si è immersi rappresenta «uno straordinario cambiamento d’epoca» che impone una riflessione sulla questione antropologica. Lo ha sottolineato stamane, lunedì 12 febbraio, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita (Pav), durante la conferenza stampa di presentazione dell’assemblea generale dell’organismo. Tema dei lavori, che si svolgono dal 12 al 14 presso il Centro conferenze del Pontificio Istituto patristico Augustinianum: «Human. Meanings and Challenges». 

Durante l’incontro con i giornalisti nella Sala stampa della Santa Sede, attualmente in via dell’Ospedale, il presule ha fatto notare che dopo gli appuntamenti degli ultimi anni «dedicati alla roboetica, all’intelligenza artificiale, alle nuove tecnologie», è stato deciso di affrontare «un interrogativo esigente e inderogabile: la questione antropologica, la domanda sul senso del cammino che l’umanità sta compiendo».

L’urgenza del tema, ha evidenziato Paglia, si è imposta pensando «al nostro futuro come specie umana, che oggi presenta il rischio di scomparire per autodistruzione o per superamento». L’arcivescovo ha osservato che al centro dei lavori di questo 2024 è stata messa «la questione antropologica in modo diretto, anche perché diventa sempre più insistente nel dibattito pubblico, non solo in ambito ecclesiale e accademico». In tale contesto, ha detto, la «novità dei ritrovati tecnico-scientifici a volte produce un effetto di disorientamento e una sensazione di precarietà che può spingere l’opinione pubblica verso posizioni negative, nella nostalgia di certezze che sembrano scomparire». Perciò servono «un dialogo tra i saperi e una visione dell’umanità e del suo futuro, insieme a una riflessione etica sui prodotti del sapere umano».

Successivamente, monsignor Renzo Pegoraro, cancelliere della Pav, ha presentato le dense giornate di lavori e dibattiti miranti a «integrare la visione umanistica, la visione scientifica e tecnica, e quella religiosa». L’obiettivo, ha osservato, è offrire «un contributo alla Chiesa e alla società, e per questo avremo come sempre la pubblicazione degli atti, nei prossimi mesi, per consentire ad un pubblico più vasto di usufruire del lavoro che stiamo facendo in questi giorni». 

Monsignor Pegoraro ha anche fatto riferimento alla terza edizione del premio “Guardian of life”,  che si terrà nel pomeriggio di martedì 13 febbraio.  Vincitrice è la dottoressa Marie Guerda Coicou, che vive e lavora ad Haiti ed è specialista in anestesia e rianimazione. Il prelato ha anche ricordato che martedì sera, nella chiesa romana di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci, monsignor Pierangelo Sequeri offrirà agli accademici la meditazione-concerto con l’esecuzione del Quatuor pour la fin du temps (1941), di Olivier Messiaen (1908-1992), composto in un campo di concentramento.

Mariana Mazzucato, dell’Institute for Innovation and public purpose (Iipp), dell’University College London, e accademica ordinaria, prendendo poi la parola in Sala stampa, ha richiamato il tema del suo intervento ai lavori, dedicato a: «Governare l’economia per il bene comune». 

Il mondo, ha osservato, sta affrontando «crisi interconnesse: clima, biodiversità, acqua e salute». Sebbene tali obiettivi siano globali e connessi tra loro, ha aggiunto, «non siamo riusciti a trattarli come obiettivi collettivi con agende comuni». In questo senso Mazzucato propone un nuovo inquadramento del bene comune, «inteso sia come definizione di obiettivi condivisi che come elaborazione di modalità per raggiungerli». È necessario, ha sottolineato, «portare al tavolo voci diverse per discutere di cosa significhi co-creare un’economia giusta e sostenibile». Infatti, una grande lezione del Covid-19 è stata che se l’attività economica «non è governata per il bene comune, molte persone rimangono escluse dai suoi benefici». In effetti, ponendo l’accento «sul come e sul cosa, il bene comune offre l’opportunità di promuovere la solidarietà umana, la condivisione delle conoscenze e la distribuzione collettiva delle ricompense».

Infine, Jim Al-Khalili, professore alla School of mathematics and physics, dell’University of Surrey, Guildford (Regno Unito), ha affrontato il ruolo dell’intelligenza artificiale, non solo in termini «di impatto sull’umanità nel modo in cui viviamo la nostra vita quotidiana», ma anche chiedendosi se sta cambiando «il nostro punto di vista su ciò che significa essere umani, nel senso di essere entità biologiche senzienti, autocoscienti e pensanti».

Ci sono molte sfide e potenzialmente anche minacce esistenziali —  ha chiarito il fisico — che si devono affrontare «di fronte ai rapidi progressi dell’intelligenza artificiale». Si deve essere preparati al giorno in cui «le macchine potrebbero sviluppare una vera intelligenza e coscienza». Così come occorre prepararsi al giorno in cui «potremmo scoprire la vita oltre la Terra. Nessuna delle due cose dovrebbe crearci una crisi d’identità».

Alla domanda se l’intelligenza artificiale potrà mai pensare o sentire come un essere umano, la sua risposta è stata “no”. Ciò che rende umani, ha osservato, «va oltre le connessioni neurali del nostro cervello». È più della nostra intelligenza, «intuizione o creatività, che probabilmente un giorno saranno replicate nelle forme di intelligenza artificiale». Ciò che rende unicamente umani riguarda anche «il nostro comportamento e la nostra interazione con l’ambiente fisico circostante, le nostre relazioni reciproche all’interno di strutture collettive e società complesse; sono le nostre culture e credenze condivise, la nostra storia, i nostri ricordi».