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Raid israeliani nella notte hanno provocato oltre 100 morti nella città al confine con l’Egitto dove si sono ammassati ormai quasi 1,5 milioni di sfollati palestinesi

Bombe su Rafah

A member of the Palestinian Civil Defence works at the site of Israeli strikes, amid the ongoing ...
12 febbraio 2024

Tel Aviv , 12. Una pesante raffica di raid aerei israeliani ha colpito nella notte la città di Rafah, nel momento in cui si sta faticosamente cercando di tenere aperti i canali per un’intesa sulla liberazione degli ostaggi.

Gli attacchi al confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, dove si sono ammassati ormai quasi 1,5 milioni di sfollati palestinesi — confermati anche dall’esercito di Israele, che ha dichiarato però di aver preso di mira «obiettivi terroristici» — hanno causato «oltre 100 morti» (più di 160 nelle ultime 24 ore), secondo le ricostruzioni dei responsabili sanitari palestinesi. Hamas ha subito reagito attraverso le parole di una fonte dell’organizzazione, ripresa dalla tv al-Aqsa: «Netanyahu sta cercando di sottrarsi all’adempimento dell’accordo con un massacro di massa e un nuovo disastro umanitario. Un attacco militare a Rafah significa la cessazione dei negoziati».

Il riferimento è all’offensiva di terra che le Forze di difesa israeliane (Idf) stanno preparando su ordine del premier Benjamin Netanyahu. Un’ipotesi, questa, che scava ulteriormente il solco del dissenso tra Israele e Stati Uniti, finora contrari a un’azione militare in un’area occupata da centinaia di migliaia di civili. Il presidente Joe Biden giudica «esagerata» la campagna militare a Gaza e avverte l’alleato che prima dell’operazione a Rafah deve «garantire la sicurezza» della popolazione con «un piano credibile di evacuazione». Anche se non è ben chiaro dove le persone, ammassate in rifugi di fortuna, potrebbero ora fuggire, data anche la determinazione dell’Egitto a chiudere il valico e rinforzare i suoi confini per evitare un esodo di massa dei profughi verso il Sinai (è stato completato un muro di 14 chilometri alla frontiera con Gaza), nonché la minaccia di sospendere il trattato di pace di Camp David con Israele, pietra angolare della stabilità regionale per quasi mezzo secolo, nel caso di un attacco a Rafah.

Biden e Netanyahu non si sentivano da tre settimane, ieri sera sono tornati a parlarsi al telefono. E il capo della Casa Bianca ha ribadito così al premier israeliano la linea rossa degli Usa in vista dell’imminente attacco di terra all’ultima città della Striscia presidiata ancora da quattro battaglioni di Hamas, mettendo l’accento sulla necessità di «capitalizzare i progressi fatti nelle trattative per assicurare il rilascio di tutti gli ostaggi il prima possibile». Due dei quali, intanto, sono stati liberati e tratti in salvo «durante un’operazione congiunta dell’Idf, dello Shin Bet e della polizia israeliana a Rafah», ha riferito il portavoce dell’Idf, Daniel Hagari.

La telefonata, durata circa 45 minuti, è apparsa come un tentativo di appianare le differenze di vedute. Tuttavia, sebbene l’obiettivo primario comune rimanga la sconfitta di Hamas e la sicurezza di lungo termine per Israele, senza dimenticare la garanzia dell’aiuto ai civili, secondo il «Washington Post», il presidente degli Usa e i massimi collaboratori della sua amministrazione «sono più vicini» che mai «a una rottura con Netanyahu, non considerato più un partner produttivo che può essere influenzato anche in privato».

La pressione americana non sembra al momento scalfire la leadership israeliana. «Coloro che dicono che in nessun caso dovremmo entrare a Rafah — ha dichiarato Netanyahu in un’intervista a Abc News — ci stanno sostanzialmente dicendo di perdere la guerra. Tenete Hamas lì». Invece, ha ribadito, «la vittoria totale è vicina».

Il fronte rimane caldo anche nel Mar Rosso. Il gruppo yemenita degli houthi ha rivendicato un attacco con una serie di missili contro la nave americana Star Iris nello stretto di Bab el-Mandeb. Mentre ieri le forze Usa hanno attaccato due navi di superficie senza equipaggio e tre missili da crociera antinave a nord della città portuale di Hodeidah, nello Yemen, che minacciavano le imbarcazioni nella zona.