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(S)Punti di vista
Ascoltando le canzoni (e le parole) di Sanremo

Quale follia salverà l’amore

 Quale follia salverà l’amore  QUO-034
10 febbraio 2024

“Pazzia e amore” si intrecciano nelle canzoni di Sanremo 2024. Il tema è classico, nella letteratura e nell’arte. Si pensi al poema di “Orlando Furioso” di Ariosto. L’amore è travolgente. Non c’è logica razionale che lo tenga. Scatena emozioni intense, talvolta incontrollabili. Porta spesso a gesti impensati e parole folli, spinge oltre i limiti, senza misura. Eppure la Mannino si è impegnata a comunicare un grande messaggio sul palco dell’Ariston citando — tra l’ironico e il faceto — il filosofo Protagora e il suo “l’uomo è misura di tutte le cose”. La critica della comica siciliana è pungente, ma vera: la misura è l’uomo bianco, il maschio, il ricco dell’Occidente.

Migranti si presentano sulle nostre coste a cercare aiuto, salvezza, cioè l’amore di qualcuno che sia accogliente, ospitale. La drammaticità delle vite dei migranti è affrontata da Dargen D’Amico in Onda alta e Sanremo diventa la canzone dell’amore sociale, impegnato a riflettere anche sulle disgrazie dei lavoratori che perdono la vita “in un lampo”. Parole e musica di Paolo Jannacci e Stefano Massini per onorare chi è caduto nel lavoro: “Dovremmo amare di più i nostri diritti”. È davvero un ossimoro: morire sul lavoro che si svolge con dedizione perché altri vivano. La dignità del lavoro è un diritto perché la vita della persona è il diritto sussistente che nessun’incuranza può negare. Nemmeno la malattia contro cui si deve lottare con tanta speranza, secondo la testimonianza commovente fino alle lacrime del maestro Allevi. Cita I. Kant, ma abita un tema profondamente cristiano, quello del dolore che — se accolto e offerto — può redimere ed elevare a nuove visioni, quelle vere, quelle essenziali. Allevi cita (senza accorgersene) Mengoni in quella canzone sanremese di successo, L’Essenziale. Quasi con le stesse parole: “Mentre il mondo cade a pezzi, io compongo nuovi spazi”. Il dolore essenzializza la vita e porta con sé tanti doni di umanità: ti fa vedere l’alba dentro l’imbrunire (Battiato) e ti fa accorgere della diversa bellezza del tramonto rispetto all’aurora.

Importante è la musica, quel vibrare dell’anima che “dona ali al pensiero, impulso alla gioia, slancio all’immaginazione, fascino alla tristezza e armonia a tutte le cose” per dirla con Platone. Così, “il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, io posso essere immerso nel mutamento ma comunque sento che in me c’è qualcosa che permane. Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno. Io sono quel che sono”.

Altro che canzonette! Molte canzoni sono pezzi di letteratura, per la loro capacità di intercettare le profondità dell’umano e rilanciarle in una utopia possibile: la fine della guerra, la solidarietà tra gli umani, maggiore giustizia tra la gente e, soprattutto, l’urgenza di amare sé stessi, non tanto per un gioco narcisistico di chiusura nel proprio mondo e nel proprio piacere, ma per esaltare il dono di sé all’altro, in quel legame d’amore che osa la pazzia di “donare la vita per l’altro”, di morire per l’altro. Il Volo con “Capolavoro” parla di un amore che cresce dentro ognuno di noi, spingendoci a gridarlo al mondo. Il Tre invita a riflettere sull’amore che trasforma la vita e descrive l’esperienza di un amore che sembra arrivare dal cielo come un capolavoro, illuminando la vita di chi lo attendeva. “Due altalene” di Mr. Rain esplora l’amore e la complessità delle relazioni: riflette su momenti altalenanti, oscillazioni di emozioni contrastanti spesso presenti nel vissuto di una storia d’amore come gioia e tristezza, vicinanza e distanza, incertezza e speranza. Così Diodato nel brano “Ti muovi” presenta una ballata trascinante in cui esprime la ricerca di un legame che sembra sfuggire, ma che continua a muoversi nel cuore dell’artista.

“Cadere sette volte e alzarsi otto, questa è la vita” (Goethe) ed è anche l’amore. Così la Amoroso in “Fino a qui” parla di un amore che ammette le cadute ma resiste al cadere definitivo: anche nella caduta più terribile, come quella da un grattacielo, non si deve dimenticare che tutto va bene; se ritroviamo noi stessi, tutto può mettersi a posto. Credere in sé stessi senza paura, insomma, come in “La rabbia non ti basta” di BigMama. Solo se ci amiamo possiamo amare gli altri, sembrano concordare tutti, perciò Loredana Bertè sostiene che è salutare una pazzia che ci porta a stimarci. “Pazza” è un inno all’amore per sé stessi, superando aspettative e giudizi degli altri. Queste canzoni ci invitano a riflettere sulla nostra autenticità, sulle sfide della vita e sulla forza che possiamo trovare nell’amore e nella consapevolezza. Tante sono le strade che percorriamo, alcune luminose, spesso invece oscure e al limite dell’umano, ma, anche in quei momenti siamo noi, non è finito tutto, possiamo sempre trovare la strada, la libertà direbbe la Mannoia in “Mariposa”, la libertà di essere sé stessi nonostante le etichette che la società ci assegna. Ecco il ritornello: “Dicono tante cose di me… ma in realtà io sono libera, orgogliosa e canto”. L’implicito richiamo agli affondi letterari di Pirandello in “Uno nessuno e centomila” non è per nulla debole. .

In questa libertà ritrovata e offerta agli altri nell’amore, bisogna volare “dove osano le aquile”. L’amore, a volte, richiede un coraggio folle: il coraggio di aprirsi, di amare senza riserve, di perdonare, di lottare per ciò che conta veramente. È la follia di chi decide di restare quando tutto sembra crollare, di chi non si arrende di fronte alle difficoltà, di chi crede che l’amore possa superare ogni ostacolo. La pigrizia è una malattia mortale, come la noia: “ti lascia in coma dentro il solito bar”, grida Angelina Mango in “La noia”. La noia nell’adolescenza è un disagio reale. Molti giovani si sentono smarriti e insicuri, spinti dalla paura del fallimento e dal bisogno di approvazione. La noia può sfociare in un senso di solitudine e abbandono, spingendo a cercare vie di fuga alternative, per rompere gli schemi e distrarsi dalla quotidianità monotona. Parole che danno a pensare: “muoio senza morire/ in questi giorni usati/ vivo senza soffrire” e tutto è noia. Diversamente, per fermare la noia (che la croce più grande), nel dono di sé agli altri, “muoio perché morire/rende i giorni più umani/ vivo perché soffrire/ fa le gioie più grandi”. Si tratta di decidersi per la vita, a costo di ogni sacrificio e di ogni sofferenza. Si tratta di “pensare in grande” (A. Rosmini), perché “il mondo è troppo grande per pensare in piccolo”, dice Alfa in “Vai”. Certo, “ognuno è artefice del proprio destino” e bisogna andare sempre avanti, senza guardare indietro, puntando “al cielo aperto”, perché non c’è limite all’andare se non il cielo, purché “stai via dai guai e via dai guai/ tu non guardare indietro mai e vai”.

La frase “puntare al sole ma non come Icaro” suggerisce la necessità di perseguire i nostri obiettivi con passione ma senza eccessi o imprudenza. Si deve aspirare a grandi altezze, ma con consapevolezza dei rischi. Come Icaro, si può essere attratti dalla luce, ma occorre riconoscere i limiti e agire con saggezza. Icaro diviene il simbolo della trasgressione giovanile, dell'orgoglio che spinge i ragazzi a sentirsi adulti, benché senza esperienza: si lancia nel vuoto, il vuoto di ideali. Il vuoto esistenziale è una spirale senza fine, una sensazione straziante in cui scompare il senso della vita e rimane solo la sofferenza. È “l’incapacità di trovare un significato alla vita” o la sensazione di non avere un motivo per vivere, combattere o avere speranza. È “il nichilismo, l’ospite inquietante dei giovani” (U. Galimberti). Il monito di Alfa è chiaro: cercare l’eccellenza e l’audacia, ma farlo con cautela e consapevolezza. Attenzione a non bruciare le ali nello slancio verso il sole, ma piuttosto trovare un equilibrio tra ambizione e prudenza.

Sarà paradossale, ma quell’equilibrio si trova proprio nell’amore che spinge il dono della vita fino a morire per l’altro. Nell’amore che si lascia salvare dalla follia che ci spinge a oltrepassare i confini della ragione, a rischiare tutto pur di preservare ciò che sentiamo. È la follia che ci fa lottare anche quando sembra impossibile, che ci spinge a percorrere strade impervie e a sfidare il destino. Cocciante lascia il pubblico di Sanremo, cantando a cappella: “Vivere per amare /Amare quasi da morire/Morire dalla voglia di vivere/ Amare, dare l'anima alla vita/ Morire dalla voglia di vivere/ Con la voglia di vivere”. È quella follia che ci fa credere nell’impossibile, che ci fa sognare e sperare nonostante le avversità. Così questo amore è un viaggio che ci porta a scoprire noi stessi e gli altri. È un’esperienza unica e preziosa che arricchisce e trabocca di energia vitale, ci fa sentire vivi. È “l’amore che move il sole e le altre stelle”, o “sempre l’amore che queta questo cielo” (Dante Alighieri). È l’amore a cui Karol Wojtyla ha dedicato versi bellissimi: “l’amore mi ha spiegato tutto/ l’amore è stato tutto per me/ e io contemplo questo amore ovunque esso si trovi”. Anche nelle canzoni di Sanremo?

di Antonio Staglianò