· Città del Vaticano ·

11 febbraio

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10 febbraio 2024

Dedicare attenzione con qualche solennità all’anniversario della sottoscrizione dei Patti Lateranensi e dell’Accordo che nel 1984 ha modificato largamente l’impostazione e il contenuto del Concordato, non si esaurisce in un apprezzabile atto celebrativo che sottolinea il consolidato spirito di collaborazione tra la Santa Sede e l’Italia. Piuttosto sollecita una pur sommaria riflessione sui principi fondamentali del rapporto tra la Chiesa e lo Stato e sulle linee di continuità e di innovazione che si colgono nelle loro relazioni.

Nel 1929 il punto fondamentale era il definitivo superamento della Questione romana, avvertita come ricomposta nella coscienza nazionale e per molti aspetti attenuata da una ricomposizione praticata su singole questioni nella prassi. La soluzione venne convenuta con la nuova e originale configurazione di una sovranità territoriale che, con il Trattato Lateranense e la costituzione dello Stato della Città del Vaticano, assicurasse alla Santa Sede «la assoluta e visibile indipendenza» e le garantisse «una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale». Una «minuscola sovranità temporale quasi più simbolica che effettiva», dirà Paolo vi nel rispondere, il 16 aprile 1966, al saluto del Sindaco di Roma in occasione della prima visita di un Papa in Campidoglio dopo quasi cento anni. E il grande Papa ne sottolineerà la funzione: quella sovranità «Ci qualifica nei vostri riguardi liberi e indipendenti», pur nel legame di appartenenza al popolo di Roma.

La soluzione adottata con il Trattato ha dato buona prova nel concorrere a garantire l’indipendenza della Santa Sede e nell’offrirle supporto per la sua missione nel mondo anche nei momenti tragici della guerra, nella necessità di dare rifugio, nel costante impegno internazionale per preservare o ricostruire la pace.

Il Concordato, voluto quale «necessario completamento» del Trattato, nel regolare la condizione della Chiesa in Italia ha consentito di garantire l’azione pastorale della Chiesa e mantenere vivo uno spazio di libertà nel contesto di uno Stato autoritario, particolarmente nella educazione dei giovani, che il regime politico intendeva assorbire come compito esclusivamente proprio. Terreno di permanente conflitto, questo, fino alla aggressione dei circoli giovanili cattolici, luogo di elaborazione culturale e di formazione di personalità che sarebbero emerse nella ricostruzione morale, sociale e istituzionale del Paese nel dopo guerra.

L’Assemblea Costituente stabilizza quei Patti, ma apre anche alla loro modificazione che le Parti possono concordemente stabilire. In tal modo si riconosce che la Conciliazione tra lo Stato e la Chiesa è l’approdo positivo di un percorso storico nazionale e non il frutto isolato di un rapporto con un regime autoritario. Lo testimoniano le iniziative dirette a trovare una soluzione alla Questione romana, da condividere con la Santa Sede, già nello Stato liberale prefascista, come ricorda ripetutamente Vittorio Emanuele Orlando, segnalando i suoi colloqui a tal fine avuti con Mons. Bonaventura Cerretti a Parigi nel 1919, in margine alla Conferenza della Pace.

Con la Costituzione, la Repubblica democratica e pluralista afferma, nell’articolo 7, la sovranità e l’indipendenza dello Stato e della Chiesa, ciascuno nel proprio ordine. Pone così le basi sulle quali si fonda il consequenziale principio di bilateralità nella regolamentazione dei reciproci rapporti. Una formula non dissimile, per la quale «la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonomi l’una dall’altra nel proprio campo», è usata dalla Costituzione conciliare Gaudium et spes, al paragrafo 76, nel delineare i rapporti tra la Chiesa e la comunità politica.

Principi della Costituzione e principi conciliari orientano la revisione del Concordato Lateranense, volta ad adeguarne il contenuto alla nuova realtà istituzionale, sociale ed ecclesiale, cogliendo la convergenza nella impostazione dei rapporti tra Chiesa e Stato, nella distinzione dei rispettivi ruoli, nella «reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese», come significativamente impegna, con l’articolo 1, l’Accordo sottoscritto nel 1984, che modifica l’impostazione e i contenuti del Concordato. Dall’ottica originariamente prevalente di un rapporto tra le istituzioni, statale ed ecclesiastica, si passa ad una visione che pone al centro il servizio che le due istituzioni rendono alla persona e al rispetto della volontà che la stessa esprime, nell’esercizio della libertà che le è riconosciuta. Ne sono esempio, in due ambiti che riguardano in modo particolare la vita delle persone, il rilievo attribuito alla volontà degli sposi nella scelta di far conseguire effetti civili al loro matrimonio religioso, di sottoporre al giudice ecclesiastico la valutazione dell’eventuale nullità e chiedere l’efficacia nello Stato delle relative sentenze. Come pure è improntato alla tutela della libertà di coscienza l’esercizio del diritto di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica impartito nelle scuole pubbliche, nel quadro delle finalità della scuola, e che trova fondamento nel «valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano».

Ampio e organico è l’adeguamento al nuovo codice di diritto canonico, come con il superamento del sistema dei patrimoni annessi agli uffici ecclesiastici e destinati al sostentamento di chi ne fosse investito e alla stratificata disciplina statale delle “congrue” e della integrazione dei redditi insufficienti dei benefici ecclesiastici. Una storica impalcatura ereditata e sviluppata nel tempo a seguito della legislazione ottocentesca di assorbimento statale del patrimonio ecclesiastico è sostituita dal Protocollo del 1984, che approva la nuova disciplina degli enti e dei beni ecclesiastici. Una riforma, che detta una disciplina complementare e coordinata nei due ordinamenti, canonico e statale e che, abrogato il vecchio sistema, affida il finanziamento del sostentamento del clero e delle attività di religione e di culto alle scelte dei contribuenti, i quali determinano annualmente la destinazione dell’otto per mille del gettito della imposta personale sul reddito. Un sistema originale di esercizio di democrazia diretta nella destinazione di spesa, che sarà imitato in successivi accordi tra la Santa Sede e altri Stati.

Nel nuovo quadro concordatario emerge anche il rilievo della Conferenza Episcopale Italiana, sia nell’esercizio delle sue competenze ecclesiastiche sia nelle relazioni con le istituzioni statali. Come pure si afferma l’apertura ad altre materie per le quali si manifesti l’esigenza di collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, nelle sue diverse articolazioni.

Questo complessivo apparato normativo ha offerto e offre il più opportuno contesto per dare sostanza al fitto tessuto di iniziative del mondo cattolico per l’animazione della realtà sociale e il servizio al Paese.