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Per la cura della casa comune
L'analisi dell'Istituto Rousseau

Un percorso
di decarbonizzazione dell’Europa è possibile
e finanziabile

 Un percorso di decarbonizzazione  dell’Europa è possibile e finanziabile  QUO-032
08 febbraio 2024

Tutti gli Stati membri dell’Ue si sono impegnati a decarbonizzare le loro economie per raggiungere la neutralità netta del carbonio entro il 2050, ossia per garantire che entro la metà del secolo gli europei non emettano più gas a effetto serra di quanto i nostri pozzi di assorbimento del carbonio (come le foreste) possano assorbire. Data la responsabilità storica dell’Ue nelle emissioni di gas serra, il suo peso attuale nelle emissioni mondiali attuali (circa il 7%, per il 16% del Pil) e il suo possibile effetto a catena sul resto del mondo, è imperativo mantenere questo impegno se vogliamo preservare una qualche possibilità per le nuove generazioni di invecchiare in un mondo abitabile. Ma ora si levano diverse voci contro il rispetto dei nostri impegni sul clima, sostenendo che sarebbe troppo costoso, tecnicamente irrealizzabile o che la guerra in Ucraina ha relegato la questione climatica in fondo alla lista delle questioni urgenti da affrontare.

Inoltre, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione europea stanno attualmente negoziando in trilogo una riforma delle regole di bilancio che si applicheranno agli Stati membri in futuro. La destra, i conservatori e i neoliberisti stanno spingendo per imporre vincoli ancora più stringenti sulla riduzione del debito pubblico e del deficit, che saranno inquadrati da nuovi standard numerici e da una "regola di spesa" per controllare la spesa pubblica. Questa riforma renderà impossibile in futuro gli investimenti pubblici per la maggior parte dei Paesi europei. Questa austerità programmata non ha alcun senso economico, storico e scientifico: come ha giustamente sottolineato l’economista Mariana Mazzucato, l’analisi economica e l'esperienza dimostrano, al contrario, che senza investimenti pubblici un’economia crolla. Le misure cosmetiche accettate dai socialdemocratici al Parlamento europeo non compenseranno la nuova svolta verso l'austerità che si sta verificando nel bel mezzo del Green Deal e della guerra in Ucraina. L'adozione di queste regole di bilancio equivale a un suicidio collettivo.

Allo stesso tempo, anche se non segue con azioni concrete gli avvertimenti lanciati dagli scienziati negli ultimi 30 anni o gli ammonimenti di Papa Francesco, il mondo imprenditoriale sa ormai che il riscaldamento globale è una catastrofe per l'economia europea. Secondo le stime del riassicuratore svizzero Swiss Re, se l’Europa continuerà sulla sua traiettoria di business-as-usual, potrebbe perdere in media meno 10,5% del Pil ogni anno entro il 2050 (meno 4% per l’Italia). L'equivalente del costo di una guerra.

Tuttavia, come dimostra il rapporto del think tank Institut Rousseau, Road to Net Zero, presentato al Parlamento europeo martedì 30 gennaio, esiste un’alternativa a questo suicidio. Il rapporto, commissionato dagli eurodeputati Verdi/Efa, delinea un percorso di decarbonizzazione per l’intera Unione europea entro il 2050 che sia fisicamente fattibile e finanziariamente sostenibile. Al rapporto hanno contribuito oltre 150 ricercatori, ingegneri, economisti ed esperti di politiche pubbliche di tutta Europa. La buona notizia è che l'Europa dei 27 può ridurre le proprie emissioni dell'85% in una sola generazione e raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2050. Inoltre, la strada per raggiungere questo obiettivo non è sinonimo di rovina per l'economia europea, anzi. Costa in media il 2,3% in più del Pil europeo ogni anno, ovvero circa 360 miliardi di euro. È la metà di quanto l’Europa spenderà nel 2022 per le importazioni di combustibili fossili, che stanno distruggendo il nostro habitat. Ma è già chiaro che il settore privato europeo è troppo indebitato (130% del Pil) per poter finanziare questo sforzo. Riteniamo quindi che il 70% di questa spesa aggiuntiva, pari a 260 miliardi l'anno o all’1,6% del Pil europeo attuale, debba essere coperta dai governi, che hanno un debito di gran lunga inferiore a quello del settore privato (90% del Pil in media) e sono gli unici in grado di finanziare alcuni investimenti non sufficientemente redditizi. Certo, ci sono grandi disparità: la decarbonizzazione della propria economia (e in particolare l’abbandono del carbone) costerà alla Polonia il 3,6% del suo Pil annuale in investimenti aggiuntivi, mentre questo cambiamento di modello costerà alla Spagna il +3,2% contro il +1,4% della Germania, il +2,7% della Francia e il +2,2% dell’Italia. Ma chi può sognare una biforcazione ecologica che avvenga indipendentemente dalla storia specifica di ciascuno dei nostri Paesi? Qualcuno potrebbe pensare che una spesa pubblica europea aggiuntiva di 260 miliardi di euro all’anno per finanziare la decarbonizzazione dell'Unione sia ancora troppo. Va ricordato che si tratta di una cifra notevolmente inferiore alla spesa pubblica impegnata per il piano di recupero europeo post covid-19 (338 miliardi di euro all’anno). Lo scenario descritto in Road to Net Zero non è destinato agli ideologi ciechi che credono ancora che sia possibile affrontare le formidabili sfide della cattiva gestione del clima tagliando le spese. È destinato a decisori e cittadini realistici e responsabili, che vogliono smettere di rendere un servizio a parole. L’austerità è il modo più sicuro per condurre il continente verso un collasso di cui il Libano è oggi il tragico esempio. Non finanziare la biforcazione ecologica ci costerà molto di più. Ogni anno di inazione aumenta il conto.

L’agricoltura europea, di cui si parla molto in questi giorni, è la terza voce di bilancio nel percorso che proponiamo. La sua conversione ecologica richiede, in media, investimenti pubblici aggiuntivi per 44 miliardi di euro all'anno, molto più indietro rispetto all'edilizia (96) e ai trasporti (72), ma molto più avanti rispetto alla quarta voce: la produzione di energia (20 miliardi all'anno). Invece di contrapporre il clima all'ecologia e di usare il malcontento degli agricoltori come pretesto per abbandonare l’ecologizzazione dell'agricoltura, la sfida è capire che la biforcazione ecologica è l'unico modo per salvare l'agricoltura europea. Un’agroindustria drogata di glifosato e di input chimici derivati dal petrolio ci fa ammalare, impoverisce il suolo, distrugge la biodiversità e non è compatibile con il futuro dei nostri figli. Dobbiamo sostenere finanziariamente gli agricoltori affinché cambino le loro pratiche e possano vivere dignitosamente. Ciò che oggi soffoca gli agricoltori sono, da un lato, i margini dell'agroindustria e dei supermercati e, dall'altro, gli accordi di libero scambio che li espongono a una concorrenza sleale, socialmente ed ecologicamente meno vantaggiosa.

Su scala più ampia, accettare gli investimenti senza i quali la decarbonizzazione rimarrà una pia speranza significa anche creare diversi milioni di posti di lavoro su scala europea, ridurre il deficit della bilancia commerciale della maggior parte dei Paesi membri, ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili russi, ridurre la principale fonte di inflazione importata e riorganizzare l’assetto territoriale attorno a piccole città, collegate da treni e circondate da poliagricoltura verde.

Vogliamo continuare a spendere per le importazioni di combustibili fossili il doppio di quanto necessario per decarbonizzare l’economia nel suo complesso? O vogliamo salvare l’Europa e il futuro dei nostri figli?

di Guillaume Kerlero de Rosbo
e Philippe Lamberts