· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-032
08 febbraio 2024

Venerdì 2

Tutti invitati
alle nozze

Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno ho tratto il tema dalla parabola evangelica del banchetto nuziale (Mt 22, 1-14). Dopo che gli invitati hanno rifiutato l’invito, il re dice ai suoi servi: «Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze».

Alcuni aspetti importanti dell’evangelizzazione... si rivelano particolarmente attuali per noi, discepoli-missionari di Cristo, in questa fase finale del percorso sinodale che, in conformità al motto “Comunione, partecipazione, missione”, dovrà rilanciare la Chiesa verso il suo impegno prioritario: l’annuncio del Vangelo.

All’inizio del comando del re, due verbi che esprimono il nucleo della missione: “andate” e “chiamate” nel senso “invitate”. Riguardo al primo, va ricordato che in precedenza i servi erano già stati inviati a trasmettere il messaggio del re. La missione è un andare instancabile verso tutta l’umanità per invitarla all’incontro e alla comunione con Dio.

Per questo, la Chiesa continuerà ad andare oltre ogni confine, ad uscire ancora senza stancarsi o perdersi d’animo di fronte a difficoltà e ostacoli.

Ringrazio i missionari e le missionarie che hanno lasciato tutto per andare lontano dalla loro patria e portare la Buona Notizia dove la gente ancora non l’ha ricevuta o accolta da poco.

Continuiamo a pregare e ringraziare Dio per le nuove e numerose vocazioni missionarie. Non dimentichiamo che ogni cristiano è chiamato a prendere parte a questa missione universale con la testimonianza evangelica in ogni ambiente.

Che tutti noi, battezzati, ci disponiamo ad andare di nuovo, ognuno secondo la propria condizione di vita, per avviare un nuovo movimento missionario, come agli albori del cristianesimo!

Tornando al comando del re, i servi-messaggeri trasmettevano l’invito con urgenza ma anche con rispetto e gentilezza. Allo stesso modo, la missione deve avere lo stesso stile di Colui che si annuncia.

Nel proclamare al mondo «la bellezza dell’amore salvifico di Dio», i discepoli-missionari lo fanno con gioia, magnanimità, benevolenza; senza forzatura, coercizione, proselitismo; sempre con vicinanza, compassione e tenerezza.

Ricordiamo l’insegnamento del Concilio Vaticano ii sul carattere escatologico dell’impegno missionario (Ad gentes). I primi cristiani sentivano l’urgenza dell’annuncio. Anche oggi è importante tener presente tale prospettiva, perché aiuta ad evangelizzare con la gioia di chi sa che «il Signore è vicino» e la speranza di chi è proteso alla meta.

No ai
“banchetti” del
consumismo e
dell’accumulo

Mentre il mondo propone i vari “banchetti” del consumismo, del benessere egoistico, dell’accumulo, dell’individualismo, il Vangelo chiama al banchetto divino dove regnano la gioia, la condivisione, la giustizia, la fraternità, nella comunione con Dio e con gli altri.

L’invito al banchetto escatologico è intrinsecamente legato all’invito alla mensa eucaristica. Perciò, siamo tutti chiamati a vivere più intensamente ogni Eucaristia in tutte le dimensioni.

Il rinnovamento eucaristico, che molte Chiese locali stanno lodevolmente promuovendo nel periodo post-Covid, sarà fondamentale per risvegliare lo spirito missionario. Nell’anno dedicato alla preghiera in preparazione al Giubileo 2025, invito tutti a intensificare la partecipazione alla Messa e la preghiera per la missione evangelizzatrice della Chiesa. La preghiera quotidiana e l’Eucaristia fanno di noi dei pellegrini-missionari della speranza.

La terza e riflessione riguarda i destinatari dell’invito del re: «tutti».

Ancora oggi, in un mondo lacerato da divisioni e conflitti, il Vangelo di Cristo è la voce mite e forte che chiama gli uomini a incontrarsi, a riconoscersi fratelli e a gioire dell’armonia tra le diversità.

Non dimentichiamo mai, nelle nostre attività missionarie, che siamo inviati ad annunciare il Vangelo a tutti.

I discepoli-missionari di Cristo hanno sempre nel cuore la preoccupazione per tutte le persone di ogni condizione sociale o morale. La parabola dice che, seguendo la raccomandazione del re, i servi radunarono gli ultimi ed emarginati della società. Così, il banchetto nuziale del Figlio che Dio ha preparato rimane per sempre aperto a tutti.

Chiunque, ogni uomo e ogni donna è destinatario dell’invito. Bisogna solo dire “sì” a questo dono gratuito, accogliendolo e lasciandosi trasformare.

La missione per tutti richiede l’impegno di tutti. Occorre continuare il cammino verso una Chiesa tutta sinodale-missionaria. La sinodalità è di per sé missionaria e, viceversa, la missione è sempre sinodale.

Una stretta cooperazione missionaria risulta oggi più urgente nella Chiesa universale come pure nelle Chiese particolari.

Sulla scia del Vaticano ii e dei miei Predecessori, raccomando a tutte le diocesi il servizio delle Pontificie Opere Missionarie. Le collette della Giornata Missionaria in tutte le Chiese locali sono interamente destinate al Fondo universale di solidarietà che la Pontificia Opera della Propagazione della Fede poi distribuisce, a nome del Papa, per le necessità di tutte le missioni.

(Messaggio per la Giornata missionaria mondiale)

Saper rischiare
sempre
sulla strada
del dialogo

Da tempo oltre a organizzare eventi per la festa di Capodanno, sostenete iniziative [per] promuovere il dialogo tra Italia e Cina, affrontando sfide relative all’integrazione culturale, educazione, valori sociali.

La reciproca conoscenza tra la comunità Italiana e quella Cinese possa contribuire ad accrescere l’accoglienza vicendevole.

Ringrazio anche l’Accademia di Arti Marziali Cinesi di Vercelli per le danze folkloristiche ispirate al Leone e al Drago, che nella tradizione cinese esprimono l’auspicio che il nuovo anno sia fecondo.

Gli acrobati sono specializzati in esercizi e spettacoli audaci, “ad alto rischio”; osservando questa danza acrobatica, auguro di saper rischiare sulla strada del dialogo, diventando “acrobati di pace e fraternità”.

(Saluto alla Federazione nazionale Italia-Cina)

Sabato 3

L’Eucaristia
al centro
della vita
del seminario

Molti santi vescovi della Spagna si sono confrontati con la difficile realtà in cui si trovavano le loro chiese e hanno pensato al seminario come luogo in cui il loro sogno pastorale poteva gettare radici.

Mi viene in mente uno di questi, san Manuel González (Un sueño pastoral); lui voleva «un seminario in cui l’Eucaristia fosse: nell’ordine pedagogico, lo stimolo più efficace; in quello scientifico, primo maestro e prima materia; in quello disciplinare l’ispettore più vigile; in quello ascetico il modello più vivo; in quello economico la grande provvidenza; e in quello architettonico la pietra angolare».

Sembra fondamentale che nel campo scientifico san Manuel unisca essere maestro con essere materia. Dio vuole dare al suo Popolo pastori secondo il suo cuore, da Gesù non impariamo cose, lo accogliamo, ci afferriamo a Lui, per portarlo agli altri. E la grande lezione che il Signore ci dà è l’umanità, l’essersi fatto carne, terra, uomo, per amore.

In questa materia non c’è altro esempio che Lui stesso; di altre virtù Gesù presenta parabole, confronti, ma la grande lezione della sua vita possiamo impararla solo da chi è mite e umile di cuore.

Per la disciplina, confrontarci ogni mattina con l’Eucaristia — l’ispettore più vigile — ci fa riflettere sulla futilità delle idee mondane, dei nostri desideri di ascendere, apparire, risaltare.

Colui che è immenso si fa dono totale di sé e nelle mie mani, m’interpella: ti sei riconciliato con tuo fratello? Ti sei vestito con l’abito da festa? Sei pronto a entrare nel mio banchetto eterno?

Discernimento, scienza e vigilanza sono aspetti chiave nel seminario, ma non servirebbero a nulla senza l’ascesi; copiare un modello presuppone uno sforzo, fare un’opera d’arte richiede ispirazione, ma anche lavoro, Gesù non ha eluso tutto ciò.

È necessario entrare nel deserto, affinché Lui parli al nostro cuore; se questo sarà colmo di mondanità, Dio non troverà posto né lo udiremo quando busserà alla porta. Silenzio, preghiera, digiuno, penitenza, ascesi sono necessari per liberarci da ciò che ci schiavizza.

Questo non solo all’interno, ma anche all’esterno, nel lavoro, nei progetti, abbandonandoci a Gesù; il Signore sarà la grande provvidenza, lasciamo che sia Lui a proporre e a realizzare, mettiamoci ai suoi ordini con docilità di spirito.

Abbiate fiducia in colui che vi ha chiamati per questo bel compito e prostratevi in adorazione per poter costruire con docilità il tempio di Dio nelle vostre persone e nelle vostre comunità.

(Discorso consegnato ai seminaristi di Madrid)

Quando
lo studio
è “fare
squadra”

Voi ragazzi con i vostri volti giovani e pieni di vita, con i sogni, i progetti e i desideri che portate nel cuore, con la presenza, testimoniate come il Collegio, fedele alla sua tradizione educativa, è cresciuto nel tempo, cambiando e adattandosi di fronte alle necessità di diversi momenti storici.

Dalle origini, con la donazione del Canonico Giovanni Terzaghi, alle trasformazioni sotto i governi austriaco e sabaudo, quest’ultima a opera del rettore Rotondi — da cui prendete il nome —, al travaglio delle due guerre mondiali, alle sfide del dopo-guerra, fino a essere oggi la più antica scuola cattolica “paritaria” d’Italia.

Questo contiene un messaggio su cui riflettere: è necessario saper cambiare per rimanere fedeli alla propria identità e missione. Vi incoraggio a impegnarvi intensamente nelle vostre attività scolastiche, ma sempre con una mente aperta alla novità.

Voi ragazzi ricercate in tutto la verità, senza lasciarvi condizionare dalle mode o dal pensare comune, dai like o dal consenso dei followers: non sono queste le cose più importanti, anzi dipendere troppo da esse può togliere la libertà.

Al tempo stesso non temete, quando necessario, di cambiare e di accettare opinioni e modi di pensare diversi: siate amanti della verità e sempre disponibili all’ascolto e al confronto.

Gesù ha insegnato che la verità rende liberi e lo diceva a persone che facevano fatica ad accogliere il suo modo nuovo di leggere le Scritture, perché non le conoscevano abbastanza e avevano paura di mutare i propri schemi. L’ignoranza genera paura e la paura genera intolleranza. Voi non fate così. Studiate facendo “squadra”, insieme, e in allegria!

La conoscenza cresce nella condivisione. Si studia per crescere, e crescere vuol dire maturare, dialogare con Dio, con gli insegnanti e gli altri educatori, con i genitori; dialogare tra voi e anche con chi la pensa in modo diverso, per imparare cose nuove e permettere a tutti di dare il meglio.

Questo dice il motto della vostra scuola: «Erudire et edocere», cioè fornire a ciascuno gli strumenti necessari a leggere la realtà e ad esprimersi con libertà creativa.

(Ad alunni, genitori e docenti del Collegio Rotondi di Gorla Minore - Varese)

Mercoledì 7

La tristezza
egoista
verme
del cuore

Nel nostro itinerario di catechesi sui vizi e le virtù, ci soffermiamo su un vizio piuttosto brutto, la tristezza, intesa come abbattimento dell’animo, afflizione costante che impedisce all’uomo di provare gioia.

I Padri avevano elaborato una distinzione. Vi è una tristezza che conviene alla vita cristiana e che si muta in gioia: questa, ovviamente, non va respinta, fa parte del cammino di conversione.

Ma vi è una tristezza che si insinua nell’anima e la prostra in uno stato di abbattimento: è questo secondo genere che deve essere combattuto con forza, perché viene dal Maligno.

C’è dunque una tristezza amica, che porta alla salvezza. Pensiamo al figlio prodigo: quando tocca il fondo della degenerazione prova amarezza, e questa lo spinge a tornare a casa di suo padre.

È una grazia gemere sui propri peccati, ricordarsi dello stato da cui siamo decaduti, piangere perché abbiamo perduto la purezza in cui Dio ci ha sognati.

Ma c’è una seconda tristezza, che invece è una malattia dell’anima. Nasce nel cuore dell’uomo quando svanisce un desiderio o una speranza. Qui possiamo fare riferimento ai discepoli di Emmaus.

Quei due se ne vanno da Gerusalemme con il cuore deluso. La dinamica della tristezza è legata all’esperienza della perdita.

Nel cuore dell’uomo nascono speranze che vengono a volte deluse. Può essere il desiderio di possedere una cosa che non si riesce ad ottenere; ma anche qualcosa di importante, come una perdita affettiva.

Quando capita, è come se il cuore dell’uomo cadesse in un precipizio, e i sentimenti che prova sono scoraggiamento, debolezza di spirito, depressione, angoscia.

Tutti attraversiamo prove che generano tristezza, perché la vita ci fa concepire sogni che poi vanno in frantumi.

In questa situazione, qualcuno, dopo un tempo di turbamento, si affida alla speranza; altri si crogiolano nella malinconia, permettendo che incancrenisca il cuore.

Il piacere
del
non piacere

La tristezza è come il piacere del non piacere; come prendere una caramella amara, senza zucchero, cattiva, e succhiarla.

Il monaco Evagrio racconta che tutti i vizi hanno di mira un piacere, per quanto effimero esso possa essere, mentre la tristezza gode del contrario: del cullarsi in un dolore senza fine.

Certi lutti protratti, dove una persona continua ad allargare il vuoto di chi non c’è più, non sono propri della vita nello Spirito.

Certe amarezze rancorose, per cui una persona ha sempre in mente una rivendicazione che le fa assumere le vesti della vittima, non producono una vita sana, tantomeno cristiana.

C’è qualcosa nel passato di tutti che dev’essere guarito. La tristezza, da emozione naturale può trasformarsi in uno stato d’animo malvagio.

È un demone subdolo. I padri del deserto lo descrivevano come un verme del cuore, che erode e svuota chi l’ha ospitato.

Allora cosa? Fermarti e vedere. E reagire secondo la natura della tristezza.

Essa può essere una cosa molto brutta che porta al pessimismo, a un egoismo che difficilmente guarisce.

Dobbiamo stare attenti e pensare che Gesù porta la gioia della risurrezione.

Gesù riscatta
tutte le felicità
incompiute

Per quanto la vita possa essere piena di contraddizioni, di desideri sconfitti, di sogni irrealizzati, di amicizie perdute, grazie a Gesù possiamo credere che tutto sarà salvato.

Gesù non è risorto solo per sé stesso, ma anche per noi, per riscattare tutte le felicità che nella nostra vita sono rimaste incompiute.

La fede scaccia la paura, e la risurrezione di Cristo rimuove la tristezza come la pietra dal sepolcro.

Ogni giorno del cristiano è un esercizio di risurrezione. Georges Bernanos, nel celebre romanzo Diario di un curato di campagna, fa dire al parroco di Torcy: «La Chiesa dispone della gioia, di tutta quella gioia che è riservata a questo triste mondo. Ciò che avete fatto contro di lei, lo avete fatto contro la gioia».

E un altro scrittore francese, León Bloy, ha lasciato quella frase: «Non c’è che una tristezza, [...] quella di non essere santi».

Lo Spirito di Gesù risorto ci aiuti a vincere la tristezza con la santità.

(Udienza generale
nell’Aula Paolo vi )