· Città del Vaticano ·

La buona Notizia
Il Vangelo della VI domenica del tempo ordinario (Mc 1, 40-45)

Un segno d’amore,
non una magia

 Un segno d’amore, non una magia  QUO-030
06 febbraio 2024

Un lebbroso si reca da Gesù, implorando il Signore di guarirlo, di renderlo puro. Ci viene detto che Gesù lo tocca e che poi gli parla. Le sue parole incarnano l’immediatezza che Marco insistentemente associa alle azioni di Gesù: «Lo voglio, guarisci». L’intenzione e l’effetto sono tanto simultanei quanto lo consente il linguaggio. Le sue parole potrebbero apparire brusche se Marco non avesse precisato che mentre stendeva la mano Gesù era mosso da compassione per quell’uomo. Sappiamo che Gesù era attorniato da persone che cercavano la guarigione, ma tra questa folla nessuno viene menzionato in modo speciale da Marco o suscita particolare compassione.

Forse ciò che Gesù vede in quell’uomo è la profonda solitudine, poiché la moltitudine che è venuta a cercarlo non tollererebbe il lebbroso. La malattia gli impedirebbe di avvicinarsi a colui che — ne è certo — può aiutarlo poiché ha sentito parlare di queste guarigioni o le ha addirittura viste, sebbene dalla distanza alla quale è costretto. Il tocco di Gesù è più immediato di qualsiasi parola. Significa: conosco il tuo cuore, non ti scanserò, non deluderò le tue amare speranze. Toccandolo, il Signore, come spesso fa, infrange usanze e divieti. Ma la sua indifferenza a queste cose è talmente perfetta che renderla il significato centrale di quel gesto, ridurla a un’affermazione virtuale della dottrina piuttosto che considerarla un impulso di gentilezza ed empatia, disumanizza Gesù. Non può che essere un errore.

Le guarigioni di Gesù nel Vangelo di Marco sono varie. Di solito non comportano un tocco ma ogni tanto lo fanno. A volte la guarigione si svolge anticipando qualsiasi cosa Gesù possa sembrar dire o fare per realizzarla, come con la figlia di Giairo o la donna siro-fenicia. Gesù insiste più volte affinché le persone da lui guarite non lo dicano a nessuno se non ai sacerdoti, come indicato da Mosè. Tuttavia, la sua fama di guaritore si diffonde ovunque. La sua avversione per questo genere di fama potrebbe derivare dalla consapevolezza di un errore inevitabile, un errore che potrebbe aumentare la difficoltà di rendere comprensibile la natura e il significato della sua presenza. Chiaramente Gesù non vuole che la guarigione appaia come una magia. Il suo alleviare la sofferenza è un segno che il Regno di Dio è vicino, che un atto inconcepibile di identificazione e di amore sta trasformando la condizione umana.

Se immaginiamo che Cristo conosceva le persone che incontrava in un modo in cui non potevano conoscersi loro stesse, se pensiamo a Gesù come l’uomo che dice, nel Vangelo di Giovanni, «prima che Abramo fosse, Io Sono», se pensiamo a lui come il Signore per il quale mille anni sono come un giorno, allora potrebbe dire al lebbroso: ti conoscevo quando eri un bel neonato che dormiva tra le braccia di sua madre, poi un birbantello che riusciva sempre a farla ridere. Ti conoscevo quando eri un giovane uomo pieno di orgoglio per la sua forza. Ti conosco adesso che non hai nessuna bellezza, che sei talmente sfigurato che la gente si volta dall’altra parte. Prendo su di me i tuoi dolori. Sei venuto da me per essere guarito, senza sapere che sono tuo fratello e tuo Padre, e io sono venuto per asciugare le tue lacrime.

di Marilynne Robinson