· Città del Vaticano ·

Arrivata a La Spezia
la nave ospedale “Vulcano”
con i bambini di Gaza

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani in occasione dell’arrivo della nave Vulcano della Marina al ...
05 febbraio 2024

È approdata questa mattina al porto di La Spezia la nave ospedale della Marina militare italiana “Vulcano”, che ha portato in Italia un secondo gruppo di bambini feriti e ammalati provenienti da Gaza. La nave era partita venerdì scorso da Al-Arish in Egitto dove i bambini erano stati condotti dopo aver attraversato il valico di Rafah.

Ad accoglierli sulla banchina il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, e il vicario di Terra Santa, padre Ibrahim Faltas, che ha seguito il progetto fin dal suo inizio, coordinandosi con le istituzioni egiziane, palestinesi e israeliane, risolvendo molte difficoltà logistiche.

Scendendo dalla nave, dopo aver salutato i bambini e i loro accompagnatori, padre Ibrahim ha spiegato a «L’Osservatore Romano»: «È un giorno di grande gioia per la riuscita di questa operazione, ma anche di profonda tristezza nel vedere le condizioni miserabili in cui questi giovani sono arrivati. Alcuni di loro sono effettivamente molto gravi, e subito le ambulanze li hanno trasferiti negli ospedali più vicini che partecipano all’operazione, come il Meyer di Firenze e il Gaslini di Genova. Ancora una volta l’Italia ha mostrato il suo volto migliore e la sua vocazione al soccorso umanitario, e di questo voglio ringraziare, insieme a tutte le autorità militari e civili che hanno collaborato, il ministro Tajani che li rappresenta tutti».

Il numero di bambini che richiederebbe un urgente trasferimento fuori da Gaza è molto alto e si auspica che — data anche la disponibilità espressa da diversi altri ospedali italiani — questi primi arrivi costituiscano solo l’avvio di un’operazione di più larga portata. La continuazione dei bombardamenti nel sud della Striscia e la possibilità ventilata nelle ultime ore che possano estendersi anche a Rafah rende ora tutto più difficile. «Questa mattina ho vissuto momenti di intensa commozione — continua padre Ibrahim —: dal bambino più piccolo di soli 4 mesi ad uno di 18 mesi, arrivato qui da solo perché ha perso tutti. Ai tanti che mi hanno raccontato di essere stati estratti dalle macerie delle loro abitazioni. Purtroppo tra gli operatori nessuno parlava arabo e quindi si sono subito affezionati alla mia presenza. Non volevano che me ne andassi. Un piccolino mi chiamava “papà”. Dobbiamo assolutamente continuare questa operazione, c’è ancora tanta sofferenza a Gaza che non trova ascolto».

di Roberto Cetera