· Città del Vaticano ·

Nel 2023, quasi 7.000 migranti sono morti in mare tra l’Atlantico e la Spagna. Babou, dal Senegal, è riuscito a portare a termine il suo “viaggio della speranza”

Sopravvissuto
alla rotta che uccide

 Sopravvissuto alla rotta  che uccide   QUO-028
03 febbraio 2024

«Attraversare l’Oceano senza sapere a cosa si va incontro… si va incontro alla morte»: Babou Diouf ha 46 anni, è originario di Bassoul, in Senegal, e oggi vive a Burela, lungo la costa settentrionale della Spagna. Nel 2006, Diouf ha intrapreso uno dei tanti “viaggi della speranza” che i migranti compiono dall’Africa occidentale in direzione delle isole Canarie. Il ricordo di quella traversata a bordo di una fragile piroga è sempre vivo e ancora oggi — racconta l’uomo all’agenzia Reuters — «vedere i gommoni che arrivano in Spagna è per me molto difficile».

Diciassette anni fa, Babou Diouf ha fatta parte di una grande ondata migratoria che ha portato in territorio iberico oltre 30.000 migranti, in fuga da una povertà crescente aggravata dal crollo degli stock ittici costieri. Il record di arrivi del 2006 non è rimasto imbattuto: secondo i dati del ministero degli Esteri spagnolo, a gennaio di quest’anno gli sbarchi sulle isole Canarie sono cresciuti del 1000 per cento rispetto a gennaio 2023, mentre la rotta atlantica verso la Spagna, con quasi 7.000 morti in un solo anno, risulta essere la più mortale.

Prima di arrivare a Burela, Diouf ha vissuto una vera e propria Odissea: approdato sull’isola di Gran Canaria, vi è rimasto un mese; poi le autorità lo hanno trasportato nella Spagna continentale, a Madrid. Da lì, l’uomo è andato ad Almeria, in Andalusia, per lavorare nei campi alla raccolta degli ortaggi. Le condizioni di vita erano estreme, ricorda Babou con le lacrime agli occhi: alcuni coltivatori avevano addestrato i cani ad abbaiare se un lavoratore rallentava il ritmo della raccolta. Infine, grazie al passaparola tra migranti, Diouf ha trovato un’occupazione nel settore ittico e nel 2018 ha raggiunto Burela.

Oggi Babou ha una nuova vita da pescatore e lavora sui pescherecci locali, insieme a molti altri stranieri. Sette su dieci, secondo le statistiche, provengono infatti da Paesi diversi dalla Spagna, come il Perú, l’Indonesia, Capo Verde e il Senegal. Ogni giorno, gomito a gomito con gli altri, Diouf traina reti, pesca, pulisce e inscatola chili e chili di nasello. I suoi turni lavorativi possono durare fino a 14 ore. Ma la fatica, la stanchezza e la mancanza di sonno non lo spaventano: «È così da sempre nella mia vita — dice —. Dormo quando posso, non quando voglio».

D’altronde, senza Diouf e tanti altri immigrati come lui, l’industria spagnola della pesca non potrebbe sopravvivere. La conferma arriva dai capitani dei pescherecci di Burela: «Il nostro futuro è nella formazione dei migranti — sottolineano —, perché nel nostro settore i giovani spagnoli sono ormai molto pochi».

Tornano, allora, alla memoria due parole con le quali Papa Francesco definisce spesso i migranti: risorsa e ricchezza. Basti citare un passaggio del Messaggio pontificio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2022: «Il loro lavoro, la loro capacità di sacrificio, la loro giovinezza e il loro entusiasmo arricchiscono le comunità che li accolgono — ha scritto il Papa —. Ma questo contributo potrebbe essere assai più grande se valorizzato e sostenuto attraverso programmi mirati. Si tratta di un potenziale enorme, pronto ad esprimersi, se solo gliene viene offerta la possibilità».

Babou Diouf questa possibilità l’ha avuta. Che possa essere così anche per tanti altri. (isabella piro)