· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-026
01 febbraio 2024

Venerdì 26

Per una reale conversione
pastorale
e missionaria

Avete riflettuto sulla validità dei Sacramenti. Ai ministri è richiesta una particolare cura nell’amministrarli e nel dischiudere ai fedeli i tesori di grazia che comunicano.

Mediante i Sacramenti, i credenti diventano capaci di profezia e di testimonianza. E il nostro tempo ha bisogno di profeti di vita nuova e di testimoni di carità: amiamo dunque e facciamo amare la bellezza e la forza salvifica dei Sacramenti!

Non stancarci di insistere sul primato della persona umana e sulla difesa della sua dignità. So che state lavorando a un documento su questo.

[A] proposito di fede vorrei ricordare il decimo anniversario dell’Evangelii gaudium e l’ormai prossimo Giubileo. In estese aree del pianeta la fede — come ebbe a dire Benedetto xvi — «non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune».

Riflettere su: annuncio e comunicazione della fede, specie alle giovani generazioni; conversione missionaria delle strutture ecclesiali e degli agenti pastorali; nuove culture urbane, con il loro carico di sfide e di inedite domande di senso; centralità del kerigma nella vita e missione della Chiesa.

Qui è atteso un aiuto da parte del Dicastero: “custodire la fede” si traduce in un impegno di discernimento, perché l’intera comunità si adoperi a una reale conversione pastorale e missionaria kerigmatica, che potrà aiutare anche il cammino sinodale.

Ciò che per noi è essenziale è la fede in Gesù. Tutti insieme, a Dio piacendo, la rinnoveremo nel prossimo Giubileo e ciascuno di noi è chiamato ad annunciarla a ogni uomo e donna. È il compito della Chiesa.

In tale contesto di evangelizzazione accenno pure alla Dichiarazione Fiducia supplicans. L’intento delle “benedizioni pastorali e spontanee” è mostrare vicinanza a coloro che, trovandosi in diverse situazioni, chiedono aiuto per portare avanti — talvolta per iniziare — un cammino di fede.

Queste benedizioni, fuori di ogni contesto e forma di carattere liturgico, non esigono una perfezione morale per essere ricevute. Quando si avvicina una coppia a chiederle, non si benedice l’unione, ma semplicemente le persone che ne hanno fatto richiesta.

Non l’unione, ma le persone, tenendo conto del contesto, delle sensibilità, dei luoghi in cui si vive e delle modalità più consone per farlo.

(Al Dicastero per la dottrina della fede)

Per contrastare
la carestia
di pace

Sostenuti dai santi e martiri che ci accompagnano, preghiamo e adoperiamoci per la comunione e per contrastare la carestia di pace che sta attraversando la terra.

È per me una gioia doppia accogliervi, perché avete voluto essere accompagnati da giovani sacerdoti e monaci. La [loro] presenza nutre la speranza e la preghiera!

Saluto i Capi delle Chiese ortodosse orientali, alcuni dei quali mi hanno onorato con visite. Sono preziose, perché permettono al “dialogo della carità” di andare di pari passo con il “dialogo della verità”.

Tali visite, come lo scambio di lettere, di delegazioni e di doni, sono stati segni e mezzi di comunione.

Questi gesti, radicati nel riconoscimento dell’unico Battesimo, non sono [solo] atti di cortesia o diplomazia, hanno un significato ecclesiale e possono essere considerati loci theologici.

Il “dialogo della carità” non deve essere inteso solo come una preparazione al “dialogo della verità”, ma come una “teologia in azione”, capace di aprire prospettive.

Mi sembra bello rileggere il nostro tessuto di relazioni sviluppando una “teologia del dialogo nella carità”.

La vostra Commissione ha tenuto il primo incontro al Cairo nel 2004. Da allora si è riunita ogni anno e ha adottato documenti che riflettono la ricchezza delle tradizioni rappresentate: copta, siriaca, armena, malankarese, etiopica, eritrea e latina.

Dialogo della carità, della verità, della vita: tre modi inseparabili di procedere nel cammino ecumenico che la Commissione promuove da vent’anni.

(A una Commissione per il dialogo tra cattolici
e ortodossi orientali)

Sabato 27

«Diplomazia umanitaria»

Da secoli il vostro Ordine serve Dio e la Chiesa adempiendo le finalità per cui siete stati fondati dal beato Gerardo, cioè «la santificazione dei membri attraverso la tuitio fidei e l’obsequium pauperum». Tutela della fede e ossequio dei poveri: insieme.

Chiamate i vostri assistiti: “i signori malati”. Date loro la signoria. Servendo loro, servite Gesù. Prima della passione, anch’Egli ha ricevuto da Maria di Betania un atto di “ossequio”: un’unzione con olio profumato di vero nardo, assai prezioso.

Cristo accolse molto bene il gesto e, alle proteste indignate di chi lo riteneva uno spreco, rivelò il senso di quell’atto, compiuto in vista della sua sepoltura.

Quando ci avviciniamo agli ultimi, agli ammalati, agli afflitti, ricordiamo che quanto facciamo è segno della compassione e tenerezza di Gesù.

La vostra opera non è solo umanitaria, come quella di tante istituzioni: è religiosa. In questa prospettiva va considerata anche l’attività diplomatica che svolgete in 113 Paesi e in 37 missioni presso Organizzazioni internazionali.

Non esistono due diverse realtà, quella del Sovrano Militare Ordine di Malta, soggetto internazionale deputato alle opere caritative ed assistenziali, e quella dell’Istituto religioso.

Il vostro Ordine ha acquisito anche uno status internazionale e sono sorte le prime “ambascerie”. In tal modo si delinea la rilevanza dell’Ordine, come strumento di azione apostolica, con la sua subordinazione alla Santa Sede e l’obbedienza al Papa, Superiore di tutti gli Istituti religiosi.

È importante che tra il Rappresentante diplomatico dell’Ordine e il Legato Pontificio del luogo si stabilisca un’azione congiunta per il bene della Chiesa e della società; così il legame con il Papa non è una limitazione, ma si esprime nella sollecitudine di Pietro, come avvenuto con interventi in momenti di difficoltà.

Alcuni considerano la vostra una “diplomazia umanitaria”. Il Rappresentante diplomatico è portatore del carisma dell’Ordine, per cui si sente chiamato a svolgere il suo incarico come una missione ecclesiale.

Questa natura peculiare della vostra diplomazia, lungi dal diminuirne l’importanza, è un segno eloquente anche per le altre ambasciate, affinché pure la loro attività sia volta al bene dei popoli e [dei] deboli.

(Ai partecipanti alla Conferenza degli ambasciatori del Sovrano militare ordine di Malta)

Dare speranza ai bambini rwandesi dopo
il terribile
genocidio

Da Giugliano e altre località siete giunti in Vaticano nel venticinquesimo dell’Associazione, nata a beneficio dei bambini della Cité des Jeunes Nazareth a Mbare, in Rwanda, per iniziativa di Monsignor Salvatore Pennacchio, allora Nunzio Apostolico in quel Paese, e del compianto parroco, don Tommaso Cuciniello.

Fu Giovanni Paolo ii a patrocinare quest’iniziativa a favore dei numerosi orfani provocati dal terribile genocidio che si scatenò in Rwanda nel 1994. Non bisogna dimenticarlo mai, per non ricadere.

Il vostro slogan dice: «Doniamo la speranza di ricominciare!». È bello che l’abbiate vissuto, accogliendo alla Cité centinaia di bambini e, con l’adozione a distanza, provvedendo i mezzi per il loro sostentamento e la formazione. Grazie alle Suore Bizeramariya e ai sacerdoti di Kabgayi.

Nello stemma della Cité è raffigurato un paniere ruandese, simbolo di solidarietà e condivisione. Ricorda, in un mondo in cui sembrano moltiplicarsi muri e divisioni, che la carità non ha barriere.

La guerra e le armi tolgono il sorriso e l’avvenire ai bambini, e questo è tragico. È bello invece, nella solidarietà, creare occasioni di amicizia.

Si crea una rete di affetti che travalica le differenze di età, nazionalità, cultura e condizione sociale.

Preghiamo che cessino nel mondo violenze e conflitti, a causa dei quali ancora, purtroppo, troppi bambini continuano a soffrire, a essere sfruttati e a morire.

(All’Associazione «Nolite timere»)

Festeggiare
il giorno
del Battesimo

Vi preparate a ricevere la Cresima, che si chiama anche Confermazione perché conferma dono e impegni del Battesimo.

Chi conosce la data del suo Battesimo? Pochi eh?... Chi se la ricorda? Non solo i ragazzi, ma anche i genitori e i catechisti! Chi non la ricorda o non la sa, prenda l’impegno di cercarla. La data del battesimo va festeggiata ogni anno come un secondo compleanno.

Fatevi fare anche la torta con le candeline! Quel giorno siamo nati alla vita cristiana, che dura per sempre! Poi siamo entrati nella grande famiglia della Chiesa e lo Spirito Santo è venuto ad abitare in noi e non ci abbandona più; e abbiamo ricevuto l’eredità più grande: il Paradiso!

E con la Cresima questo viene confermato, reso più saldo, più forte.

Da chi? dallo Spirito Santo, che rinnova con i suoi doni; poi dalla Chiesa, che ci affida il compito di annunciare Gesù e il Vangelo; e infine da noi stessi, che accettiamo un impegno personale, da protagonisti e non da spettatori.

Voglio ricordare l’esempio di un ragazzo: Carlo Acutis. È vissuto a Milano. Purtroppo è morto giovane, nel 2006, a soli 15 anni, ma nella vita ha fatto in pochi anni moltissime cose belle.

Soprattutto era appassionatissimo di Gesù; e poiché era bravo in internet, l’ha utilizzato a servizio del Vangelo, diffondendo l’amore per la preghiera, la testimonianza della fede e la carità.

Tre cose importanti [che] Carlo Acutis ha vissuto con impegno: stava molto tempo con Gesù, specie nella Messa, a cui partecipava ogni giorno, e pregava davanti al Tabernacolo, per poi annunciare, con parole e gesti, che Dio ci ama e ci aspetta. Allora, mentre si avvicina il giorno della Cresima, anche voi andate da Gesù, incontratelo, e poi dite che è bello stare con [Lui]!

( Ai cresimandi dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto)

Lunedì 29

Per una
informazione controcorrente

Molto è cambiato nel panorama mediatico. L’innovazione tecnologica ha trasformato modalità di produzione dei contenuti e fruizione; e ora l’intelligenza artificiale sta modificando in modo radicale anche l’informazione e la comunicazione.

In questo vortice, che trascina non solo gli operatori del settore, ci sono tuttavia principi che restano fissi, come stelle alle quali guardare per non smarrire la rotta.

Ciò riguarda in modo particolare voi, che, insieme al quotidiano “Avvenire” e all’Agenzia Sir, avete un’appartenenza precisa: la Conferenza Episcopale Italiana.

Non è un limite, anzi è espressione di grande libertà, perché comunicazione e informazione hanno radici nell’umano. E sottolinea l’importanza di incarnare la fede nella cultura attraverso la testimonianza, narrando storie in cui il buio intorno a noi non spenga il lume della speranza.

Vorrei indicare tre parole per il vostro lavoro. [Prima]: prossimità.

Ogni giorno — tramite televisione o radio — vi fate vicini a tante persone, che trovano in voi amici da cui ricevere informazioni, con cui trascorrere del tempo o andare alla scoperta di realtà, esperienze e luoghi nuovi. Questa prossimità si estende anche ai territori dove la gente abita.

Incoraggio a continuare a creare reti, a tessere legami, a raccontare il bello e il buono delle comunità, a rendere protagonisti quanti di solito finiscono a fare le comparse o non presi in considerazione.

La comunicazione rischia di appiattirsi su logiche dominanti, piegarsi al potere o addirittura costruire fake news.

Non cadete nella tentazione di allinearvi, andate controcorrente, consumando le suole delle scarpe e incontrando la gente. Così potete essere “autentici per vocazione”. Non dimenticate quanti sono ai margini, le persone povere, sole e scartate.

La seconda parola è cuore, nella pregnanza del senso biblico. L’avete ritrovata nei Messaggi per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali.

Potrebbe sembrare fuori luogo accostare il cuore al mondo tecnologico, invece tutto nasce da lì. Non si può osservare un fatto, non si può intervistare qualcuno, raccontare qualcosa se non a partire dal cuore.

Il comunicare non si risolve nella trasmissione di una teoria o nell’esecuzione di una tecnica, ma è un’arte che ha al centro la capacità del cuore che rende possibile la prossimità. Ciò permette di fare spazio all’altro, liberarci dalle catene dei pregiudizi, dire la verità senza separarla dalla carità.

E avere coraggio. Non è un caso che derivi da cor. Chi ha cuore ha anche il coraggio di essere alternativo, senza diventare polemico o aggressivo; essere credibile, senza avere la pretesa di imporre il proprio punto di vista; essere costruttore di ponti.

Terza: responsabilità. Ognuno deve fare la propria parte per [una] comunicazione obiettiva, rispettosa della dignità. In questo modo potremo ricucire le fratture, trasformare l’indifferenza in accoglienza.

Il vostro è uno di quei mestieri che hanno il carattere della vocazione: siete messaggeri che informano con rispetto, con competenza, contrastando divisioni e discordie. Dieci anni fa avete avviato una riorganizzazione del lavoro; [e] aggiunto un tassello con il lancio della vostra “App”. Che contribuisca a comunicare con prossimità, cuore e responsabilità, ricordando quel che diceva il Patrono san Francesco di Sales: «Non è per la grandezza delle nostre azioni che noi piaceremo a Dio, ma per l’amore con cui le compiamo».

(A dipendenti di Tv2000 e di Radio inblu)

Educare
i piccoli a fare
sport senza
smettere di
essere bambini

Sono lieto di sottolineare le opportunità che lo sport offre per la crescita di ogni persona e della società. Oggi dobbiamo congratularci con gli italiani perché ieri hanno vinto in Australia.

Il tennis, non essendo uno sport di squadra, bensì individuale o di coppia, presenta un aspetto interessante. Sembrerebbe che la sfida tra giocatori abbia a che vedere soprattutto con il desiderio di prevalere sull’avversario. Tuttavia, guardando al vostro club, si può osservare che fin dalla sua origine inglese, è espressione dell’apertura dei fondatori a ciò che di buono poteva venire dall’esterno e a un dialogo con altre culture.

Nel tennis, come nella vita, non possiamo vincere sempre, ma sarà una sfida che arricchisce se, giocando secondo le regole, impareremo che non è lotta ma dialogo che implica sforzo e consente di migliorarci.

Nell’esistenza, a volte ci sentiamo soli, altre volte sostenuti da chi gioca con noi questa partita della vita. Ma, anche quando giochiamo “singoli”, siamo sempre alla presenza del Signore che ci insegna cosa significano rispetto, comprensione e il bisogno di comunicazione costante con l’altro.

Avete formato figure del tennis internazionale, ma quando lavoriamo coi bambini che sognano un futuro sportivo, le esigenze dell’allenamento non possono prevalere sulla loro crescita; è più importante [lo] sviluppo umano e spirituale.

Lo sport deve aiutare questo. Prendetevi cura dei bambini, di quanti possono beneficiare dello sport in ambiti sociali complessi, e anche di quanti potrebbero avere successo in competizioni di alto livello. Che non smettano di essere bambini!

(Al “Real Club de Tenis Barcelona”)

Mercoledì 31

L’ira distrugge
ma la “santa
indignazione” rende umani

L’ira è un vizio tenebroso ed è semplice da individuare. La persona dominata dall’ira difficilmente riesce a nascondere quest’impeto: mosse del corpo, aggressività, respiro affannoso, sguardo torvo e corrucciato. Nella sua manifestazione più acuta è un vizio che non lascia tregua.

Se nasce da un’ingiustizia patita (o ritenuta tale), spesso si scatena contro il primo malcapitato. Ci sono uomini che trattengono l’ira sul lavoro, dimostrandosi calmi e compassati, ma che una volta a casa diventano insopportabili per moglie e figli.

L’ira è un vizio dilagante, capace di togliere il sonno e farci macchinare in continuazione, senza riuscire a trovare uno sbarramento ai ragionamenti e ai pensieri.

È un vizio distruttivo dei rapporti umani. Esprime l’incapacità di accettare la diversità. Non si arresta ai comportamenti sbagliati di una persona, ma getta tutto nel calderone: è l’altro in quanto tale a provocare rabbia e risentimento.

Si detestano il tono della voce, i gesti quotidiani, i modi di ragionare. Perché una delle caratteristiche dell’ira, è non riuscire a mitigarsi col tempo. Anche distanza e silenzio, anziché quietare gli equivoci, li ingigantiscono. Perciò l’apostolo Paolo raccomanda di affrontare subito il problema e tentare la riconciliazione: «Non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4, 26).

È importante che tutto si sciolga subito. Se durante il giorno può nascere qualche equivoco, e due persone possono non comprendersi, percependosi lontane, la notte non va consegnata al diavolo. Il vizio ci terrebbe svegli, a rimuginare le nostre ragioni e gli sbagli che sono sempre dell’altro.

Le relazioni
umane terreno
minato

Nel “Padre nostro” Gesù ci fa pregare per le relazioni umane che sono un terreno minato: un piano che non sta mai in equilibrio.

Nella vita abbiamo a che fare con debitori inadempienti nei nostri confronti; come anche noi non abbiamo sempre amato nella giusta misura.

Tutti con i conti in rosso!

Tutti abbiamo i conti in rosso! Abbiamo bisogno di imparare a perdonare per essere perdonati. Ciò che contrasta l’ira è la benevolenza, la larghezza di cuore, la mansuetudine, la pazienza.

Ultima cosa: è un vizio terribile, sta all’origine di guerre e violenze. Il proemio dell’Iliade descrive “l’ira di Achille”, che causa “infiniti lutti”.

Ma non tutto ciò che nasce dall’ira è sbagliato. Gli antichi erano consapevoli che sussiste una parte irascibile che non può e non deve essere negata.

Le passioni in qualche misura sono inconsapevoli: capitano. Non siamo responsabili dell’ira nel suo sorgere, ma sempre nel suo sviluppo.

Qualche volta è bene che l’ira si sfoghi. Se una persona non si arrabbiasse mai, se non si indignasse davanti a un’ingiustizia, se davanti all’oppressione non sentisse fremere le viscere, allora vorrebbe dire che quella persona non è umana e cristiana.

Esiste una santa indignazione, che non è l’ira ma un movimento interiore. Gesù l’ha conosciuta: non ha mai risposto al male con il male, ma nel suo animo ha provato questo sentimento e, nel caso dei mercanti nel Tempio, ha compiuto un’azione forte, dettata dallo zelo per la casa del Signore.

Distinguere: lo zelo, la santa indignazione, [e] l’ira, che è cattiva. Sta a noi, con l’aiuto dello Spirito, trovare la giusta misura delle passioni, educarle bene, perché si volgano non al male.

(Udienza generale in Aula Paolo vi )