· Città del Vaticano ·

Nel libro di Matteo Luigi Napolitano momenti di storia diplomatica vaticana

Pio XII
e la visita di Ribbentrop

 Pio  xii  e la visita di Ribbentrop  QUO-025
31 gennaio 2024

La parola alle carte d'archivio


«I pochi giorni passati sono stati emozionanti da un punto di vista esteriore. Ho visitato Roma mentre ancora si combatteva per le strade e ho pronunciato il Sermone alla Sinagoga Maggiore il sabato della Liberazione, di fronte a un’assemblea di 4000 persone. Molti di costoro erano usciti da grotte, catacombe e luoghi segreti sia del sottosuolo sia delle chiese. Il ruolo del Papa e dei molti monasteri che hanno nascosto gli ebrei dai nazisti e li hanno occultamente nutriti, quando la loro individuazione avrebbe potuto significare il sequestro del Vaticano da parte dei nazisti, è a mio avviso un’aggiunta luminosa alla storia della Cristianità». Sono le parole di un giovane rabbino di origini canadesi al seguito delle truppe americane, pubblicate il 22 giugno 1944. A scriverle fu Morris Norman Kertzer (1910-1983), padre dello storico David Kertzer, autore di libri molto duri nei confronti di Papa Pacelli.

È certamente inconsueto parlare di un libro svelandone la fine. Si conclude così, con questa citazione, l’ultima fatica di Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università del Molise, il libro Il secolo di Pio xii (Milano, Luni Editrice, 2023, pagine 624, euro 28). Il volume racconta momenti di storia diplomatica vaticana del Novecento e in diciassette capitoli, grazie alle nuove risultanze degli Archivi vaticani sul pontificato pacelliano, analizza diversi episodi, dalle pagine più tragiche della Shoah alla vicenda del dramma Il Vicario di Rolf Hochhuth. Abbiamo scelto di partire dalla fine perché uno degli argomenti affrontati dallo studioso — che unisce rigore scientifico e capacità di scrivere facendosi capire anche dai non addetti ai lavori — è la cosiddetta «trattativa segreta» fra Hitler e Pio xii , argomento centrale con notevoli echi mediatici di un recente saggio di David Kertzer pubblicato nel 2022. Secondo la sua tesi il pontefice romano e il dittatore nazista, fra la metà del 1939 e il marzo del 1940, intrattennero contatti “riservatissimi”, così segreti «che nemmeno l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede ne era a conoscenza». L’oggetto della trattativa, secondo Kertzer, era la volontà del Vaticano di normalizzare i non facili rapporti con Hitler, puntando a un vero e proprio accordo di natura politica che superasse il concordato esistente inaugurando una nuova era nelle relazioni tedesco-vaticane. Inoltre, lo studioso ha scritto che il Vaticano avrebbe cercato di mantenere questo “segreto” il più a lungo possibile e che i quattro gesuiti curatori dell’imponente opera di documenti della Santa Sede durante la guerra avrebbero eliminato «sistematicamente ogni riferimento a questi incontri».

Bisogna essere grati a Napolitano, che ancora una volta dimostra come la storia non si fa a colpi di presunti scoop, attraverso letture che finiscono per essere viziate da parzialità. Per comprendere ciò che è accaduto serve la pazienza di compulsare gli archivi senza tesi preconfezionate.

Così, nel quarto capitolo del suo libro, lo storico affronta e approfondisce la vicenda del tentato accordo, delle trattative che in realtà non erano affatto sconosciute agli studiosi né occultate da chi compilò la prima abbondante serie di documenti vaticani, dato che aprendo il primo volume degli Actes et Documents du Saint-Siège rélatifs à la Seconde Guerre Mondiale, pubblicato a cura di quattro benemeriti storici gesuiti per volontà di Paolo vi già nel 1965, si legge che «queste trattative segrete in effetti esistevano; si trattava dei preliminari della visita» di Joachim von Ribbentrop in Italia. Nello stesso volume, poche pagine più avanti viene reso noto un appunto di monsignor Domenico Tardini che il 9 marzo 1940 scrive: «Lunedì 11, von Ribbentrop si recherà dal S. Padre. L’udienza è stata preparata segretamente da parecchio tempo...».

Nelle pagine de Il secolo di Pio xii Napolitano dimostra, documentando ogni affermazione, come la normalizzazione fosse «desiderata dalla Germania, e non dal Vaticano; ed era una falsa normalizzazione, basata su qualche barocchismo di facciata». Non è poi vero che fosse così segreta al punto da essere ignota all’ambasciatore tedesco von Bergen, dato che proprio lui era stato convocato fin dalla primavera del 1939 per stilare insieme a Ribbentrop la roadmap della normalizzazione dei rapporti con il Vaticano voluta da Hitler per appianare i rapporti bilaterali che non erano affatto distesi. Di fronte all’apparente volontà del Terzo Reich di arrivare ad una conciliazione su nuove basi, il Papa e i suoi diplomatici vollero vedere le carte. In realtà Hitler era interessato soltanto a razionalizzare la situazione religiosa nei territori che i tedeschi avevano annesso, dall’Austria alla Cecoslovacchia, cancellando i concordati esistenti per far prevalere su tutta l’allora “grande Germania” la competenza esclusiva di Berlino in materia politica e religiosa.

Da parte sua Pio xii era invece interessato a cercare di aiutare la Chiesa cattolica tedesca, restituendo ai cattolici quella libertà religiosa nel campo dell’educazione e della cura dei giovani di cui non godevano più. «Non si trattava insomma — scrive Napolitano — di un “patto con il diavolo” ma di trovare un modus vivendi con il regime nazista, mentre questo proponeva alla Santa Sede un modus non moriendi». In dettaglio — come si evince dall’appunto del 3 gennaio 1940 preparato personalmente da papa Pacelli, consegnato al principe Filippo d’Assia e destinato ad Hitler, pubblicato dal nostro autore nel suo libro — Pio xii chiedeva «la sospensione degli attacchi contro il Cristianesimo e contro la Chiesa negli scritti del Partito e dello Stato»; la cessazione degli «influssi anti-ecclesiastici sui giovani in ambito scolastico» consentendo «ai membri cattolici delle organizzazioni giovanili statali e di altre organizzazioni simili di adempiere ai loro doveri religiosi»; il «ripristino della libertà della Chiesa di difendersi apertamente dagli attacchi pubblici»; l’astensione «da ulteriori sequestri di beni della Chiesa». Si trattava di quello che papa Pacelli considerava il “minimo sindacale” per la Chiesa in Germania e che poneva come base per la visita del ministro degli Esteri tedesco von Ribbentrop in Vaticano, il quale a sua volta puntava a un accomodamento con la Santa Sede da usare per fini propagandistici così da migliorare la reputazione dell’Asse in Italia.

La visita avvenne l’11 marzo 1940. Appena terminato il faccia a faccia tra il Pontefice e von Ribbentrop, Tardini raccolse a caldo le immediate impressioni di Pacelli, il quale descrisse l’interlocutore «come un uomo giovane, ma non troppo vigoroso, che, quando parla, si accende come un esaltato». Nella versione del colloquio di fonte tedesca, Ribbentrop sosteneva di aver convinto Pio xii sul fatto che il clero in Germania faceva politica e questo giustificava le iniziative contro la Chiesa. Negli Archivi vaticani è conservato un verbale con il resoconto del colloquio durato un’ora e dieci, dal quale si evince che a parlare fu molto il ministro tedesco e poco il Papa e che le cose stavano esattamente al contrario: Pacelli aveva contestato le affermazioni del suo interlocutore a proposito del ruolo che il clero esercitava nella politica in Germania.

Fu dunque Hitler e non il Papa a desiderare ardentemente un nuovo accordo con il Vaticano, al fine di offrire un allentamento della morsa contro la Chiesa tedesca in cambio dell’accettazione da parte di Pio xii della fine dei concordati di Baviera, Prussia, Baden, Austria, e del Reichskonkordat; e cancellazione del concordato cecoslovacco. Offerta che Pacelli rifiutò. «La visita di Ribbentrop — conclude Napolitano — fu un fallimento e una delusione».

La tesi di David Kertzer, che tanto clamore mediatico aveva avuto due anni orsono, viene dunque messa in discussione dalle carte. Mentre rimangono, con tutta la loro freschezza e autenticità, le parole del padre, il rabbino Morris Norman, testimone oculare di quei frammenti di bene, di quelle fiaccole nel buio orrendo della Shoah, che videro molti conventi romani aprirsi per salvare la vita ai perseguitati. Un’azione che seguiva l’invito del Vescovo di Roma, attestato nel noto articolo non firmato de «L’Osservatore Romano» che subito dopo la razzia del Ghetto, nell’ottobre 1943, parlava della «operosa carità universalmente paterna del sommo Pontefice, la quale non si arresta davanti ad alcun confine né di nazionalità, né di religione, né di stirpe».

di Andrea Tornielli