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Storie Sotto il Cupolone

Non basta il necessario, serve qualcosa in più

 Non basta il necessario, serve qualcosa in più  ODS-018
03 febbraio 2024

Alcuni volontari della parrocchia di San Gregorio vii ogni mercoledì, quando il sole è già tramontato, vanno in strada per incontrare chi in strada vive. «Lo avete fatto a me…» è il nome del servizio attivato da un paio d’anni, che nasce dall’idea che non basta portare beni di prima necessità, ma serve qualcosa di più.

L’intenzione è quella di conoscere chi vive in strada, condividerne la storia, creare rapporti e, settimana dopo settimana, riuscire anche a mantenere un legame.

Non sempre è facile, perché chi le persone senza dimora spesso non sono raggiungibili e diventano irrintracciabili. Per questo è importante creare una rete di rapporti che serve a non disperdere quanto fatto assieme.

Oltre ad incontrare persone nuove, abbiamo i nostri amici che vediamo ogni settimana nel giro che facciamo attorno a San Pietro.

Dedicare un giorno al servizio serve anche a dare un tempo di attesa all’incontro: ci aspettano e noi ritroviamo volti e nomi ormai noti  e se non ci sono ci preoccupiamo, li cerchiamo. Chi vive in strada incontra tante difficoltà, anche le cose semplici diventano faticose: trovare un posto dove lasciare le proprie cose per non portarle in giro tutto il giorno, oppure una presa dove poter ricaricare il cellulare. Anche cose banali sono problemi. Conoscere queste persone dona occhi diversi sia sulla loro vita che per ripensare alla nostra quotidianità. Soprattutto ti fa accedere ad un diverso mondo, parallelo rispetto a ciò che è il quotidiano di tanti di noi, fino a scoprire che il grande rischio è di vivere senza mai incrociare mondi diversi, almeno fino a quando non sei tu a decidere di farlo guardando in una nuova direzione.  

Il nostro gruppo di volontari ha deciso di non chiudere gli occhi, di entrare in questo mondo fatto di persone per provare a conoscerle e a capire come essere comunità con tutti, anche con chi vive in strada proprio vicino a noi. 

Non dimentico ancora il primo giorno di servizio e la domanda che mi è stata rivolta: «Voi cosa portate?».  La mia risposta è stata: «Nulla, siamo qui per conoscerti».

Ricordo benissimo il suo sguardo spiazzato, forse anche diffidente e beffardo. Oggi, invece, quella stessa persona e tante altre ci aspettano e se arriviamo per l’orario in cui cenano ci dicono: «Mangio dopo». Si fermano a chiacchierare. Raccontano cosa gli è accaduto.

In genere a chi vive in strada vengono offerte attività volte a soddisfare bisogni primari. I servizi sono tanti e tutti utili. Rispondono a precisi bisogni: mense, centri di ascolto, aiuto per le diverse necessità, permessi di soggiorno, richieste di posti letto. Sono servizi indispensabili, ma noi abbiamo scelto di fare altro. Abbiamo risposto al desiderio dell’incontro per l’incontro, qualcosa che va oltre ogni necessità pratica, per farci riconoscere, l’uno con l’altro, fratelli e sorelle, differenti solo per storie, ma comunque sempre uniti da un filo comune, quello dell’amore gratuito ricevuto, che chiede solo di essere ridonato.  

Nell’incontro con l’altro si comprende che ciascuno ha davvero una propria identità preziosa e che, una volta conosciuta, va salvaguardata e coltivata. Noi lo facciamo cercando il rapporto personale con ciascuna delle persone che incontriamo, persone in difficoltà, ma sempre e prima di tutto persone. E ricordarlo fa bene.

Ci chiamano “quelli del mercoledì”, ma può capitare di incontrarci in altri giorni, in altri luoghi. Allora ci si ferma a salutarsi e questi incontri parlano di normalità, di lasciare da parte stereotipi per consentire di instaurare relazioni semplici e autentiche. 

La situazione di marginalità non elimina mai la persona. A volte è sepolta. Ci vuole tempo per farla emergere: serve guadagnare fiducia. Alcune volte è difficile: le storie pesano e lasciano segni nei corpi e nei cuori. In questi casi impari che anche i silenzi parlano. Ma ormai con molti ci conosciamo per nome e ci capita di parlare di un film, di un viaggio, di esperienze fatte fino a rendere chiaro che le cadute nella vita, per quanto grandi e gravi, non possono mai annullare la persona.

La condivisione e il frequentarsi fanno scoprire la reciproca umanità, insegnano che nessuno di noi è solo ciò che appare, la vera illusione è quella della società che spinge ad identificare la persona con la condizione di vita. Basta però spingersi oltre l’apparenza per scoprire che sentimenti e sogni appartengono a tutti, che spesso si somigliano e servono proprio a farci riconoscere simili, creati della stessa materia, anima e cuore.

Ci si scopre vicini nei desideri di serenità, pace, amore, famiglia, casa, lavoro, nella voglia di sorridere e nella capacità di farlo assieme. Allora scopri che il servizio può capovolgere i paradigmi a cui siamo abituati e ti ritrovi più simile a chi hai di fronte di quanto immaginavi, fino a metterti dinanzi alla tue personali povertà.  

Ed è allora che scopri che un caffè, un tè o un semplice gesto sono solo strumenti per condividere ben altro e che il confronto è alla pari, fino a comprendere che l’essenza del nostro servizio è tutta compresa nella frase del Vangelo: «Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,42). Quando si condivide una storia, ciò che resta impresso nei rispettivi cuori vi resta indelebile.

di Ofelia Oliva