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Storie Sotto il Cupolone

Due sedie di plastica: «Una per me e una pe’ gli ospiti»

 Due  sedie di plastica: «Una per me e una pe’ gli ospiti»  ODS-018
03 febbraio 2024

Non avevamo un appuntamento, gli ho solo detto: Domani ripasso. Poi ho avuto tutte le sere spettacolo, che il titolo era pure caruccio: «Si sposi chi può» e quando finalmente torno a San Pietro ci trovo i turisti che si fanno i selfie con l’albero di Natale — ci sarebbe pure il presepe, ma il povero San Giuseppe ha seri problemi di outfit: Ancora co’ sta tunichetta beige, San Giuse’? Vuoi mette co’n abete piemontese di 5 metri d’altezza e pure multicolor? E dai! 

Scattate le ultime fotografie, i turisti se ne vanno e vicino al colonnato rimangono i gabbiani che fanno la ronda e i militari con una mano sempre sul mitra, rimango io che supero un pilastro del Bernini dopo l’altro finché mi fermo: Ma andò stanno? Vuoi vedè che se so’ trasferiti? C’è un uomo che sta sistemando il sacco a pelo per la notte, così gli dico: Mi scusi? Lui non risponde. Mi scusi… — ripeto — Rita e Giovanni? L’uomo mi guarda e inizia a gridare: «Food?» Mangiare? E io: Non mangiare, Rita, do you know Rita e Giovanni? «Jesus!», fa lui, «Are you looking for Jesus?».

Io riprendo a scorrere il colonnato del Bernini: supero uno, due, tre pilastri e… È permesso? Sotto una grossa coperta vedo che s’agita qualcosa, ma nessuno risponde. Voj vedè che stanno a dormì. Ma che ore sono? Guardo l’orologio. Non sono neanche le 19.30: Certo che pe’ strada la notte arriva molto prima. M’avvicino e ripeto: È permesso? «Chi è?» domanda la voce raschiata di un uomo. Sono io, quella dell’altra volta. Al che una voce squillante grida: «Mi metto gli occhiali e arrivo!». Tempo un secondo la testolina argentata di Rita fa capolino da sotto la coperta: «Ah, sei te!». Non so perché la gente si aspetta sempre qualcun altro. «Giovanni! — grida la donna — Giovanni c’è… Com’è che ti chiami?». 

Rita grida il nome mio all’uomo che le dorme accanto mentre gli scoperchia la testa, lui mi guarda senza muovere un muscolo, mi scruta coi suoi occhi scuri che dentro non ci vedi la notte, ci vedi la vita con tutte le cose belle e le cose brutte.

Ciao Giovanni! gli dico. «Ma che fai ancora in piedi? Accomodati!». E mentre m’accomodo sulla base gelata di un pilastro chiedo: Ma vi siete trasferiti? Rita s’aggiusta l’occhiale. «No perché?». Non stavate qualche pilastro più in là? La donna mi lancia un’occhiataccia — ma che se pensa che ho bevuto? — poi grida: «Sempre stati qui». Poi s’accorge che non mi ha convinta e aggiunge: «Nun c’avremo un tetto, ma ’na casa sì».

Sì, penso io, ’na casa ’n po’ diversa dall’altre, tipo la casa de Gino Paoli quando miagola: “Quando sei qui con me questa stanza non ha più pareti, ma alberi, alberi infiniti, quando sei vicino a me questo soffitto viola no, non esiste più, io vedo il cielo sopra noi…”. Lo vedo anche io il cielo e pure Rita lo vede. Giovanni no, perché si sta a fa’ ’n sonnetto.

E non c’avete niente? Rita mi guarda e sbatte gli occhi. Dico: La notte, non mettete nulla? Lei continua a sbattere gli occhi tipo civetta. Sprechen italienisch? Rita, le dico, non vi danno fastidio la luce, le macchine, la gente che passa? «‘N ci faccio caso», grida lei. Manco al freddo? «No». 

Io me la guardo. Siamo in pieno inverno e sotto al colonnato di San Pietro nun c’hanno messo manco  er cappotto termico. Qua fori se more, le dico. Ma come fai? Sarà una delle tante domande che rimarranno senza risposta, non perché Rita non ce l’abbia la risposta, sono io che non posso capirla, pure se vado in giro con un golfino e una giacchetta mentre che Rita c’ha milleduecentocinquanta cose addosso, sono io quella che c’ha troppi strati per sapere veramente cos’è il freddo, cos’è il caldo, per sapere cos’è la luce, cos’è il buio, per sapere cosa significa averci sempre qualcuno accanto.

A me le persone mi danno fastidio pure quando ci parlo al telefono, mi danno fastidio pure quando mi vengono a vedere a teatro, per non parlare di quanto me dai fastidio te quando mi t’appiccichi a tanto così dal naso che io ti vorrei dire: Stamme lontano! Stamme lontano che nu’ respiro!

Mentre m’abbottono la giacchetta fino al collo, mi guardo questi due vecchietti stesi sotto a una coperta che a guardarla bene è un tappeto. Rita e Giovanni c’avranno 60, 70 anni, 80 anni — i poveri sono come gli orientali: impossibile definirne l’età —, loro stanno tutta la notte appiccicati l’uno all’altra, di giorno si spostano verso la stazione, e pure là sempre vicini. Non l’ho mai sentiti dire: «Scrostate! Famme vive!». Mica che ’sti due so’ santi: i santi stanno solo sopra le colonne del Bernini. E nun so’ manco eroi. Rita e Giovanni so’ du’ germogli de l’asfalto che ’n se fanno calpesta’ da la gente e manco dal vento.

E mentre che la gente gli ronza attorno tutto il giorno Giovanni dorme, ma Rita sta sveglia e mai una volta che ringhia, che fa come se ’a gente nun esistesse. No, lei saluta, ci chiacchiera, chiede: «Come stai? Come sta tuo marito? Come sta tua moglie?».

Io ci penso un attimo: di tutti quelli che conosco manco so chi ha una moglie, un marito, un partner, e poi… poi penso a quando è stata l’ultima volta che t’ho chiesto: Come stai?

Da quant’è che è state qui? domando a Rita che nel frattempo s’è tirata un po’ su e se ne sta in modalità mezzo busto. «Un paio d’anni», grida lei. «Da quando ci siamo sposati». E come una schicchera quella parola “sposati” mi rimanda allo spettacolo di ieri, quand’ho chiesto al pubblico: Perché ci si sposa? Silenzio. Poi una donna s’è fatta coraggio e ha detto: «Ci si sposa per la pensione di reversibilità». E tutti giù a ridere. 

E prima? Prima di sposarti, Rita, tu dove vivevi? «’N po’ de qua, ’n po’ de là». E non c’avevi paura? «De che?». Io resto un attimo in fermo immagine. Come de che? Che te facessero male, dico. Lei mi guarda con quell’occhi da civetta che ’n dorme mai: «Che te ponno fa’?».

Io vorrei farle un elenco, un lunghissimo elenco di tutte le cose brutte che ponno fa’ gli uomini soprattutto alle donne, ma Rita ’st’elenco lo conosce mejo di me. Anzi, l’elenco suo ha parecchie cose che io manco immagino, così le dico: Com’è che a te la strada non t’ha distrutta? Rita non risponde e vedo che si riaccuccia per dormire così le faccio l’ultima domanda: Domani che fate? «Me svejo alle quattro…» Alle 04.00, così presto? «E chi lo lava Giovanni, tu?».

Come punto nell’orgoglio l’uomo disteso sotto la coperta che in realtà è un tappeto spalanca gli occhi e inizia a gridare: «Se vuoi te ne puoi pure andare!». Non è il grido di un bambino, non è il grido di un vecchio, non è il grido di un malato, non è il grido di un egoista, è il grido di un uomo, un uomo che pure che è paralizzato non ha bisogno di stampelle pe’ anda’ avanti, tantomeno di carrozzella o di qualcuno che la spigne ’sta carrozzella.

«Vattene!» grida Giovanni. La donna accanto a lui non si muove. La donna accanto a lui fa l’unica cosa che fa una donna: rimane accanto all’omo suo, in salute e povertà, in ricchezza e malattia.

Ieri, durante lo spettacolo a un certo punto ho chiesto al pubblico: Perché ci si separa? A quel punto tutti ad alzare la mano, tutti avevano una ragione più o meno buona per dire: «Te saluto, stammi bene!».

«Non c’ho più la forza», mi dice Rita senza che l’abbia chiesto niente. «Non ce la faccio più a fa’ tutto». Poi si volta e guarda quella che dentro una casa normale sarebbe la carta da parati, e a casa loro sono quintali di roba: buste, valigie, carrelli, sacchi pieni di vestiti, e pure due sedie di plastica — «Una per me e una pe’ gli ospiti, ’n se sa mai», dice Rita.

Parcheggiata accanto alla colonna del Bernini c’è una bella carrozzella. «Ce mancava solo ’sta sedia a rotelle», dice Rita. «Prima n’avevamo una più leggera, poi Giovanni l’ha voluta cambia’, je piaceva questa... Giovanni! — grida la donna — Giovanni dormi?». Senza aprire gli occhi, l’uomo farfuglia qualcosa. «Dorme», mi fa Rita. Allora mi alzo, guardo la carta da parati che tutti i giorni Rita si incolla addosso: Tu lo ami a Giovanni? Rita e guarda con quell’occhi da civetta che ’n dorme mai: «A volte sì, a volte no». Poi non dice niente. Poi riprende: «Sta’ co’ Giovanni significa rinunciare a tante cose…». No, Rita non dice rinunciare, dice: «Giovanni ti nega tante cose. Da quando sto con lui non posso più bere, fumare, lui invece sì e quando glielo chiedo: Giova’, perché tu sì e io no? Lui sai che risponde?». Io scuoto la testa. «Me dice: Io voglio morire». 

Ieri, alla fine dello spettacolo, ho chiesto al pubblico: Che cos’è l’amore? Nessuno m’ha riposto, nemmeno tu.

di Violante Sergi