· Città del Vaticano ·

«L’Osservatore di Strada» al Teatro dell’Opera di Roma

Dal marciapiede al velluto rosso

 Dal marciapiede al velluto rosso  ODS-018
03 febbraio 2024

Un primo dell’anno che non si dimentica. Non lo dimenticheremo noi, dell’«Osservatore di Strada», e non lo dimenticheranno neanche le tante persone che il primo gennaio sono andate al Teatro dell’Opera di Roma. In cartellone non c’era un balletto o la solita «Traviata», quel giorno al teatro Costanzi è andata in scena la vita, quella vera.

In occasione della iniziativa CapodArte, promossa dal comune di Roma, il sovrintendente del teatro, Francesco Giambrone, e i suoi collaboratori Chiara e Andrea hanno aperto le porte del teatro a una rappresentanza della nostra redazione, invitandoci a raccontare la povertà in parole povere, come dice Fabrizio, il nostro “chitarrista di strada”. Così, tra le poltroncine di velluto rosso della platea, chi non si è mai potuto permettere neanche un posto in piccionaia ha accompagnato il pubblico in un viaggio dinamico nella fragilità umana come lo definisce Attilio, un viaggio che coinvolge chi lo ha fatto e chi, per la prima volta, lo ascolta. Ascolta Daniele che, pur essendo laureato, si sveglia ogni mattina alle quattro per lavorare, e la prima cosa che dice al pubblico non è: Sono stanco, non è: Possiamo fare a cambio? La prima cosa che Daniele dice è: Grazie. Da quel momento parte un inedito concerto di Capodanno e il Teatro dell’Opera diventa un valzer di voci inascoltate perché, come dice Domenico: Quando sei per strada la tua voce non la sente nessuno. A Domenico e, poi, a Ciro fa eco Sergio che ricorda che la povertà non è una colpa e i poveri non sono una categoria sociale: sono persone.

All’uscita dal teatro il pubblico dice a una voce: «Non ce l’aspettavamo». «Che cosa?», chiedo. «Che a brillare non fossero i lampadari di cristallo, ma le persone che vivono per strada». Gemiliana conclude il nostro viaggio nella fragilità umana recitando, accompagnata dalla chitarra di Fabrizio, una poesia di Alda Merini: «Quelle come me». Allora, nel teatro cala il silenzio, anche le persone che erano venute così, per una visitina, si commuovono e quando la poesia si conclude noi tutti, che a diverso titolo sediamo sulle poltroncine di velluto rosso, tutti noi allora pensiamo che non ci sono poveri e ricchi, belli o brutti, non c’è nessuna categoria in cui rinchiudere la gente che non ci piace, no, il primo dell’anno e tutti i giorni a venire io so che siamo tutti uguali, tutti come me.

Violante Sergi