· Città del Vaticano ·

Il successo di Sinner agli «Australian Open» e una lezione sulla libertà

Se la vittoria
è «non rimanere caduti»

epa11110424 Jannik Sinner of Italy celebrates after winning  the Men’s Singles final against ...
29 gennaio 2024

«Quello che importa non è non cadere, ma non rimanere caduti». Questa frase di Papa Francesco ci è venuta alla mente a conclusione della finale degli Australian Open di tennis in cui il giovane italiano Jannik Sinner ha vinto contro il russo Daniil Medvedev. Durante il terzo set — dopo aver perso i primi due — Sinner è stato colto dalle telecamere mentre pronunciava due parole inequivocabili: «Sono morto». E tuttavia, non solo non è “morto”, ma da quel momento in poi ha preso in mano il match fino a aggiudicarsi una storica vittoria in uno dei quattro grandi tornei mondiali del tennis, il celebre Grande Slam. Insomma, il ventiduenne altoatesino non è «rimasto caduto» e con la sua rimonta, che entra nella storia di uno sport amato da milioni di persone in tutto il mondo, ha anche offerto una lezione che fa bene a tanti giovani (e meno giovani) che praticano lo sport. Certo, Sinner è un fuoriclasse e i suoi risultati sono frutto non solo di allenamenti, sudore e sacrifici. I talenti sono innati e se alcuni atleti prevalgono sugli altri è anche perché la natura li ha dotati di potenzialità superiori. E tuttavia, la componente della forza di volontà, del saper stringere i denti di fronte alle difficoltà per andare avanti e migliorarsi rimarrà sempre una variabile fondamentale dell’equazione sportiva, che si tratti di competizioni amatoriali o agonistiche.

A colpire i tanti telespettatori, che hanno seguito il match a Melbourne, sono state anche le parole di Jannik Sinner che nel “discorso della vittoria” ha voluto innanzitutto ringraziare i suoi genitori per tutto quello che hanno fatto per sostenerlo. «Vorrei che tutti avessero dei genitori come quelli che ho avuto io — ha detto il tennista — mi hanno permesso di scegliere quello che volevo, anche da giovane. Non mi hanno mai messo sotto pressione. Auguro a tutti i bambini di avere la libertà che ho avuto io». La libertà richiama la fiducia. Non ci può essere l’una senza l’altra. E questo vale forse ancor di più nella relazione genitore-figlio. Del resto, come ha anche osservato Papa Francesco, quello della libertà «è un cammino faticoso che dura tutta la vita. È faticoso rimanere libero, ma non è impossibile». Quanti genitori oggi sognano un futuro da campioni per i propri figli (in Italia, specialmente nel calcio). Non sempre purtroppo riescono a vincere la tentazione di “mettere pressione” ai propri ragazzi, invece di lasciarli liberi di giocare per il gusto di giocare. Le parole del neo campione degli Australian Open sono allora un messaggio significativo per genitori e figli che guardano allo sport come a una dimensione importante della loro vita.

Il richiamo di Sinner alla libertà ci ha ricordato anche le parole di un altro grande atleta italiano, il campione olimpico Filippo Tortu. Dialogando con il cardinale José Tolentino de Mendonça in un’iniziativa promossa da Athletica Vaticana, il centometrista raccontò cosa significasse avere per allenatore suo padre, anche lui velocista. «Avere l’allenatore in casa — confidava il venticinquenne Tortu — può essere complicato: se una sera torni tardi lui dovrebbe sgridarti. Mio padre, invece, mi ha sempre dato la possibilità di scegliere liberamente, come a dire “questa è la strada se vuoi fare l’atleta, ma scegli tu”. Mi sono detto: sono libero di fare quello che voglio ma non voglio sbagliare. Ma il merito è suo: oltre a essere un buon padre è un ottimo allenatore». In un tempo in cui la parola libertà si presta anche a pericolosi fraintendimenti, arriva dunque dal mondo dello sport un segnale di grande valore, di cui si può fare tesoro in ogni ambito della nostra vita: la libertà è tale solo se si basa su una relazione piena e autentica tra le persone. Solo così potrà davvero renderci migliori, renderci “campioni” di umanità.

di Alessandro Gisotti