· Città del Vaticano ·

Il dramma della Siria dilaniata da 13 anni di conflitto interno

Una pace ancora attesa

 Una pace ancora  attesa  QUO-021
26 gennaio 2024

Daraa non è un nome che compare spesso sulle cronache internazionali. Eppure, questa cittadina della Siria, situata nel sud del Paese, a circa 20 km dal confine con la Giordania, rappresenta l’epicentro di un drammatico conflitto interno che, il prossimo 15 marzo, vedrà iniziare il suo 14° anno, ma i cui prodromi risalgono al 2011.

Quell’anno, sul Medio Oriente e sul Nord Africa soffiava il vento della cosiddetta “primavera araba”: in Egitto prima, e poi in Tunisia, Algeria, Yemen…la popolazione scese in piazza, chiedendo riforme politiche ed economiche. Anche i cittadini siriani fecero sentire la loro voce e a Daraa, il 15 marzo 2011, alcuni studenti scrissero su un muro slogan di protesta contro il presidente, Bashar al-Assad. Il loro successivo arresto scatenò numerose proteste che il governo frenò con l’intervento dell’esercito e l’imposizione della quarantena all’intera città. Ma tra le fila dei militari molti quelli che scelsero di unirsi alla società civile, dando così origine a quello che, nel mese di luglio, sarebbe divenuto l’Esercito siriano libero (Esl), ovvero l’opposizione armata al governo di Assad.

Divenuto presidente nel 2000, dopo la morte del padre Hafez che aveva governato il Paese per quasi trent’anni, Bashar al-Assad racchiudeva inizialmente le speranze di tanti che attendevano cambiamenti positivi nella struttura statale. Tali innovazioni, tuttavia, non si erano verificate, anzi: in Siria, la povertà era cresciuta di anno in anno, anche a causa di una siccità protrattasi dal 2006 al 2010.

Le proteste esplose a Daraa si moltiplicarono nel corso dei mesi, insieme alla repressione messa in atto dalle forze governative. All’inizio del 2012, i combattimenti raggiunsero città cruciali come Damasco, la capitale, e Aleppo, e gli scontri videro coinvolti anche gruppi islamisti. Ad agosto 2013, poi, un violento attacco si verificò a Ghouta, alla periferia orientale di Damasco: un rapporto stilato dall’Onu rilevò l’uso di armi chimiche, per la precisione di gas sarin, profilando un crimine contro l’umanità. Contro la Siria scattarono, dunque, le sanzioni internazionali.

Intanto, il conflitto si tramutò in una vera e propria guerra civile tra forze governative e molteplici gruppi di miliziani. Il 5 marzo 2020 si raggiunse un cessate-il-fuoco, perché gli schieramenti vicini al presidente Assad avevano ripreso il controllo su gran parte del territorio, e la pandemia da covid-19 costrinse tutto, anche i combattimenti, a fermarsi.

Ostilità e tensioni, tuttavia, persistono a Idlib, il governatorato nord-occidentale del Paese. Innumerevoli finora le vittime: secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, solo nel 2019 si contavano circa 570.000 morti e quasi tre milioni di feriti e mutilati. E tra loro, c’erano almeno 13.000 bambini.

Anni dopo, la Siria è ancora in cerca di pace. Anche se nella prima metà del 2023 il governo di Damasco ha ristabilito relazioni formali con molti Paesi arabi, dopo 12 anni di isolamento, e anche se la Siria è stata reintegrata, lo scorso maggio, nella Lega Araba, la pace sembra ancora lontana. Il recente conflitto esploso tra Hamas e Israele il 7 ottobre, poi, ha avuto ed ha tuttora inevitabili ricadute su Damasco. Senza dimenticare i diversi bombardamenti della Turchia contro le forze curde presenti nel Paese.

Al momento, qualche possibilità sembra profilarsi con il ciclo di negoziati in Kazakhstan, il 24 e 25 gennaio, inseriti nel contesto del “processo di Astana”, ovvero il percorso di pace avviato a dicembre 2016 dalle diplomazie di Russia, Turchia e Iran, con l’Onu come osservatore.

Intanto, però, a pagare le conseguenze più dure di tutto questo è la popolazione: secondo l’Unicef, il conflitto ha fatto sì che oggi 15,3 milioni di siriani necessitino di assistenza umanitaria, mentre gli sfollati interni e i rifugiati, complessivamente, sono 14 milioni, ovvero la metà della popolazione siriana prima del 2011. Si tratta di dati già di per sé drammatici, ma ai quali vanno aggiunti quelli relativi al devastante terremoto che, il 6 febbraio 2023, ha colpito la Siria e la vicina Turchia. Sono 8,8 milioni i siriani danneggiati dal sisma, di cui 3,3 milioni bambini sotto i 18 anni. Nel Paese, oltre il 40 per cento dei centri sanitari non è funzionante e 13,6 milioni di persone hanno bisogno di acqua. A dicembre 2023, inoltre, il Programma alimentare mondiale è stato costretto a interrompere la consegna degli aiuti umanitari, a causa di una grave mancanza di fondi.

Torna alla memoria, allora, la domanda posta da Papa Francesco il 3 settembre 2022, nel corso dell’udienza ai partecipanti all’iniziativa “Ospedali aperti”, impegnata a sostenere diversi nosocomi cattolici operanti nel Paese. «Considerando il numero imprecisato di morti e feriti, le distruzioni di interi quartieri e villaggi, e delle principali infrastrutture, tra cui anche quelle ospedaliere — ha detto il Pontefice —, viene spontaneo chiedersi: “Chi potrà ora guarirti, Siria?”». Un interrogativo ancora senza risposta.

di Isabella Piro