· Città del Vaticano ·

Numerose le situazioni “calde”, soprattutto in Africa e in Asia, che rischiano di peggiorare

Tra guerre e cambiamento climatico

 Tra guerre  e cambiamento climatico  QUO-021
26 gennaio 2024

Le prime settimane dell’anno sono sempre di bilancio per quello trascorso, ma anche di previsioni per il nuovo.

Il 2023 è stato contraddistinto, in particolare, dal sanguinoso conflitto tra Israele e Hamas, che ha provocato una tragedia umanitaria nella Striscia di Gaza. Una guerra — che assieme all’inarrestabile invasione militare russa in Ucraina e alle violenze in Sudan — si inserisce in un quadro geopolitico mondiale conflittuale e incandescente, che pone al mondo nuove sfide, anche sul piano della sicurezza, mentre nel frattempo si sono manifestate altre drammatiche crisi — definite da Papa Francesco «la terza guerra mondiale a pezzi», ma spesso passate inosservate sui media — che rischiano di peggiorare durante il 2024. Con il rischio di lasciare milioni di persone senza cibo, riparo, cure mediche o aiuti umanitari. Guerra che non significa solo armi, morte e distruzione, ma anche migrazione, carestia e diritti umani violati.

Sudan e Myanmar sono tuttora teatro di due terribili conflitti civili, causa di diffuse atrocità e crimini di guerra. Entrambi i Paesi sono sprofondati in un abisso di violenza dal quale al momento sembra molto difficile riemergere. In Sudan, diventato la più grande crisi di sfollati del mondo, gli ininterrotti combattimenti tra l’esercito nazionale e le forze paramilitari di supporto rapido hanno lasciato più di metà della Nazione bisognosa di aiuti umanitari e costretto circa 6 milioni di persone alla fuga.

Oltre al drammatico scenario sudanese, è l’Africa che ospita la maggior parte dei potenziali “punti caldi”, a cominciare dalle tre Nazioni della cosiddetta “cintura golpista”, ovvero quelli guidati da giunte militari: Burkina Faso, Mali e Niger, ma anche il Gabon. L’esercito burkinabé è in difficoltà di fronte a un’ondata di assalti islamisti, con diverse fazioni che controllano più della metà del Paese. In Mali e Niger, dove si registrano dinamiche simili, la crescente insicurezza e l’esaurimento degli aiuti esteri stanno facendo precipitare milioni di persone verso la malnutrizione. Altri Paesi da tenere particolarmente d’occhio sono la Somalia, dove gli insorti jihadisti di al-Shabaab continuano ad operare, con l’obiettivo di creare uno Stato islamico-fondamentalista nel Corno d’Africa, e l’Etiopia, già teatro di un lungo conflitto con la confinante Eritrea, dal 2020 alle prese con una guerra interna con la regione del Tigray e di un conflitto interetnico nell’Oromia.

Lo scorso anno, a causa di conflitti di diversa entità, in Africa ci sono stati oltre 40 milioni di sfollati e rifugiati; un dato che non sembra destinato a diminuire nel 2024. Secondo una ricerca del Centro africano per gli studi strategici, sono oltre 149 milioni gli africani alle prese con crisi alimentare, di cui l’82% vive in Paesi in guerra. Un numero aumentato del 150% rispetto al 2019.

Le altre aree del Continente particolarmente calde sono la Repubblica Centroafricana, l’est della Repubblica Democratica del Congo e la Libia. Non di meno il Mozambico, destabilizzato da continui attacchi di gruppi armati e controffensive dell’esercito, la Nigeria, sempre nel mirino degli estremisti di Boko Haram, e il Camerun, alle prese con le forti tensioni tra anglofoni e francofoni.

Permane poi gravissima la situazione in Siria, che si appresta a compiere il tredicesimo anno di guerra. E dove a pagarne le conseguenze peggiori sono i civili inermi. Sempre in Asia, l’incendio più grande sta divampando nel Myanmar, dove la giunta militare golpista al potere sta fronteggiando una vasta offensiva lanciata da una coalizione di milizie ribelli. L’attenzione rimane alta anche nello Yemen, con conseguenze sempre più drammatiche soprattutto per i bambini, nello Stato indiano del Manipur e sull'Afghanistan, tornato nella morsa dei talebani da agosto 2021, che impongono misure sempre più drastiche ai danni delle donne, mentre il Paese sta sprofondando nella povertà e nella fame.

Un mondo che rimane anche sotto il fuoco continuo delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Il 2023 è stato infatti l’anno da caldo record e fenomeni meteorologici estremi a ripetizione, a riprova della gravità e dell’accelerazione dell’emergenza climatica in tutti i continenti. Tra gli episodi più disastrosi si ricordano, lo scorso settembre, le torrenziali piogge in Libia, che hanno portato al cedimento delle dighe e inondazioni improvvise che hanno travolto la città nordorientale di Derna, uccidendo più di 11.000 persone.

Secondo le previsioni degli esperti, anche nel 2024 alcuni di questi scenari proseguiranno e molte delle crisi già in atto sono destinate a peggiorare, facendo aumentare sempre di più le aree del mondo colpite dalla siccità. E la mancanza o l’insufficienza di risorse idriche rappresentano un’aggravante in zone di guerra aumentando la letalità di un conflitto.

Le 10 Nazioni della watchlist stilata dal Comitato internazionale della Croce Rossa rappresentano l’86% di tutte le persone bisognose di aiuti umanitari a livello globale. Dietro l’instabilità politica in molte Nazioni si nasconde lo spettro di un pianeta che si surriscalda, poiché siccità e altri shock climatici colpiscono alcune delle comunità più vulnerabili del mondo. Tre decenni fa, il 44% dei conflitti avveniva in Stati vulnerabili dal punto di vista climatico, mentre ora quella cifra è salita al 67%. In effetti, secondo fonti concordanti, sono già in atto 300 micro-conflitti in tutto il mondo per il possesso o il controllo dell’acqua, l’”oro blu”. Un esempio più significativo è la diga Renaissance in Etiopia, che gestisce il flusso delle acque del Nilo (Bianco) che attraversa il Sudan, ma soprattutto che condiziona la portata idrica in Egitto.

Molti i focolai di tensione anche nelle Americhe: apice della regione è Haiti, dominata dalle bande criminali, in bilico sull'orlo del collasso dello Stato dopo l'assassinio del presidente Jovenal Moïse nel 2021. Altro scenario incandescente è l’aspra contesa territoriale sull’Esequibo, regione che costituisce i due terzi dello Stato della Guyana, ricca di petrolio e risorse minerarie. Un recente referendum tenutosi in Venezuela con esito positivo rivendica la sovranità su quel territorio, al centro di una disputa che dura da quasi 200 anni. Il Brasile, che confina con entrambi i Paesi, ha già aumentato i propri militari lungo le frontiere, temendo una possibile escalation e l’inizio di un conflitto armato. Interrogativi rimangono sulla Colombia, sempre in preda ai cartelli della droga e zona di transito di ingenti flussi migratori verso gli Stati Uniti. 

di Francesco Citterich