· Città del Vaticano ·

La Colombia alla ricerca di una nuova riconciliazione

Per una società
più umana e fraterna

 Per una società  più umana  e fraterna  QUO-021
26 gennaio 2024

Un cessate-il-fuoco rinnovato per altri sei mesi, dopo l’entrata in vigore il 3 agosto dell’anno scorso. È il primo risultato concreto del nuovo round di negoziati tra governo della Colombia ed Esercito di liberazione nazionale (Eln), guerriglia ancora attiva nel Paese sudamericano dopo l’accordo di pace con le Forze armate della Colombia (Farc) del 2016. Il sesto tavolo di colloqui, aperto lunedì scorso a L’Avana, fa seguito agli incontri ripartiti a novembre 2022 dopo l’insediamento del presidente Gustavo Petro, con i negoziati tenutisi, oltre che a Cuba, anche in Venezuela e Messico.

Nei primi sei mesi, la tregua — inizialmente prevista fino al 29 gennaio — ha portato ad una significativa riduzione della violenza, hanno constatato i negoziatori. Ma al centro delle trattative a L’Avana, in programma fino ai primi di febbraio, rimangono anche altri temi cruciali, come lo sviluppo delle cosiddette aree critiche, il rafforzamento dei processi di partecipazione e l’attenzione alle questioni umanitarie. Ai lavori si cerca di «riflettere in particolare sulla partecipazione delle comunità in quelle regioni maggiormente colpite dal conflitto armato», spiega monsignor Héctor Fabio Henao Gaviria, delegato della Conferenza episcopale della Colombia per i rapporti tra la Chiesa e lo Stato, che ha seguito l’intero processo di pace con l’Eln. Raggiunto telefonicamente a Cuba — dove si trova per il round negoziale, pure se, ci tiene a precisare, come Chiesa colombiana «accompagniamo le trattative, non siamo negoziatori: siamo presenti per aiutare a far sentire la voce delle vittime, nell’ottica di una società diversa, più umana e fraterna» — monsignor Henao ribadisce come «ci siano 30 diversi settori della società civile colombiana che hanno già delegati presenti in un comitato nazionale: si riuniscono e cercano di dare idee chiare sulla metodologia e sulla partecipazione al processo di pace. È previsto che la popolazione delle regioni più interessate dal conflitto sia invitata a partecipare, parlando delle trasformazioni delle quali ha bisogno il territorio, dalla questione del lavoro alla problematica della terra, alla protezione della casa comune. Un altro punto è quello inerente alla risposta dello Stato alle comunità che hanno chiesto dei cambiamenti nelle zone dove la gente è sfollata, dove si trovano delle situazioni di minacce assai forti o dove c’è necessità di trasformazioni strutturali», a fronte di povertà e insicurezza. La Chiesa è sempre stata «molto coinvolta nel lavoro al fianco degli sfollati»: nel percorso negoziale, ricorda il delegato dei vescovi colombiani, sono state individuate «otto aree umanitarie» su cui intervenire. Si tratta di Bajo Calima y San Jua; Baudó, Chocó; Bajo Cauca antioqueño; Buenaventura, Dagua y Cali; Nordeste antioqueño; Sur de Bolívar; Departamento de Nariño; Naya, Valle del Cauca.

In un Paese in cui sono attive pure formazioni armate di altra natura, come il Clan del Golfo, organizzazione a cui fanno capo elementi paramilitari e narcotrafficanti, ancora a novembre scorso la continuità e l’intensità delle azioni di quelli che l’ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) ha individuato come «gruppi armati non statali» hanno provocato nuove situazioni di emergenza, in particolare nelle zone del Pacifico e nel nord-ovest della Colombia: colpite circa 20.000 persone attraverso sfollamenti di massa e confinamenti.

Rimane poi in primo piano, nei colloqui con l’Eln, la questione della pratica illecita dei rapimenti, tema che ha portato in questi mesi anche a momenti di crisi nelle trattative, come in occasione del sequestro del padre del calciatore colombiano del Liverpool, Luis Díaz, per 13 giorni nelle mani della guerriglia lo scorso autunno e poi liberato. «L’Eln ai colloqui precedenti si era detta disponibile a interrompere i sequestri a scopo di estorsione», ricorda monsignor Henao. Poi in dicembre l’annuncio da parte dei guerriglieri di non voler abbandonare i rapimenti, prendendo così le distanze dalla decisione di uno stop a tale pratica da parte dell’Estado mayor central (Emc), gruppo dissidente delle disciolte Farc che si era astenuto dal trattato di pace di otto anni fa. Con l’Emc il governo della Colombia ha concluso la scorsa settimana il terzo ciclo di colloqui, nel quadro della politica di “pace totale” portata avanti dallo stesso Petro.

Il presidente della Colombia il 19 gennaio è stato ricevuto da Papa Francesco in Vaticano e ha avuto colloqui in Segreteria di Stato, dai quali è emersa — si legge in una nota della Sala stampa della Santa Sede — la «positiva collaborazione» tra la Chiesa e lo Stato in vista della promozione del dialogo, della giustizia sociale e della riconciliazione. «La Chiesa tutta, non soltanto la Chiesa in Colombia, lavora dunque per la costruzione della pace», testimonia monsignor Henao, riportando alla mente la visita del Pontefice nel Paese latinoamericano del 2017. «Speriamo che l’incontro tra il Papa e il presidente sia una spinta ad andare avanti e un incoraggiamento per coloro che cercano una soluzione politica, attraverso il dialogo», alle questioni ancora irrisolte del Paese, dalla «guerra» alle « tante attività economiche illegali», narcotraffico ed estrazione mineraria illegale in primis.

di Giada Aquilino