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A oltre dieci anni dalla fine della dittatura di Mu’ammar Gheddafi

Libia: un Paese
nell’instabilità continua

 Libia: un Paese  nell’instabilità continua  QUO-021
26 gennaio 2024

Il conflitto in Libia non fa più notizia. Eppure il Paese vive nel caos dal 2011, quando, sull’onda delle cosiddette “primavere arabe”, una rivolta sostenuta dalla Nato rovesciò e poi uccise il leader Mu’ammar Gheddafi. Il territorio è oggi dominato da due amministrazioni rivali, ciascuna sostenuta da una serie di truppe armate e diversi attori stranieri: Tripoli e il nord-ovest controllati dal “governo di unità nazionale” (Gnu), riconosciuto dall’Onu e dall’Ue (eccetto la Francia), che beneficia del sostegno di Turchia e Usa. L’est e vaste zone del centro-sud sotto l’autorità della Camera dei Rappresentanti a Tobruk, nella Cirenaica, che ha nel generale Khalifa Haftar – ex fedelissimo e poi nemico di Gheddafi – il vero uomo forte.

Tre anni dopo l’uscita di scena del leader libico, al fallimento degli accordi tra le fazioni coinvolte nelle rivolte, prende avvio una seconda guerra civile, in cui si inserisce anche il sedicente Stato islamico (Is), a Derna e Sirte. Nel 2016 un accordo negoziato sotto l’egida dell’Onu porta all’insediamento a Tripoli di un “governo di accordo nazionale” (Gna) internazionalmente riconosciuto, guidato da Fayez Al-Sarraj, ma senza l’appoggio di Haftar. Nel 2017 si svolgono a Parigi alcuni incontri per la pace, ma nel biennio 2019-2020 proseguono gli scontri armati tra Gna e miliziani del Lybian National Army (Lna) di Haftar.

Il 23 ottobre 2020 arriva l’intesa per il cessate-il-fuoco. Con le elezioni del 5 febbraio 2021 la Libia si dà un nuovo esecutivo ad interim guidato da Abdul Hamid Dbeibeh, chiamato a guidare il Paese nel percorso di transizione fino alle elezioni del 24 dicembre 2021, che formalmente pone fine alla separazione tra i due esecutivi. Ma nel marzo 2022 a Tobruk si crea un nuovo governo parallelo, sostenuto da Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, con Fathi Bashagha come primo ministro, sostenuto da Haftar. Le tensioni tra le varie parti politiche, le violenze delle milizie, i fallimenti delle mediazioni internazionali e le ingerenze di attori esteri mettono in crisi il processo elettorale: il voto viene rinviato sine die.

Nell’agosto 2023 a Tripoli scoppiano scontri e combattimenti fra miliziani della “Brigata 444”, un gruppo armato attivo nella parte occidentale e guidato dal comandante Mahmoud Hamza, e della “Special Deterrence Force” che appoggia il Gna: muoiono 27 persone e oltre 100 rimangono ferite. Ma è solo uno degli ultimi – e numerosi – episodi di ormai ordinaria violenza, in un Paese dove dilaga la corruzione, prosperano i trafficanti di esseri umani e vige l’instabilità generata da jihadismo e crisi saheliane. I negoziati internazionali al Cairo e a Ginevra oggi sono in stallo, e rimane lo spettro della ripresa della guerra civile.

Al centro della contesa anche il controllo dei pozzi petroliferi: la Libia possiede la più grande riserva di greggio dell’intero continente africano, con 48 miliardi di barili.

di Roberto Paglialonga