Focolai di violenza
Un sanguinoso conflitto “dimenticato” affligge dal 2016 le province occidentali del Camerun, al confine con la Nigeria. Una crisi molto violenta, anche se lontana dai riflettori mediatici, le cui radici sono individuabili nelle divisioni dell’epoca coloniale. Già colonia tedesca fino alla prima guerra mondiale, il Camerun venne poi spartito tra francesi e inglesi prima dell’indipendenza nel 1960: i primi occuparono la porzione maggiore del territorio, mentre i secondi ottennero il controllo della parte occidentale.
L’attuale conflitto interessa proprio le province anglofone del sud-ovest e del nord-ovest, che ospitano circa il 20 per cento dei quasi 30 milioni di cittadini camerunesi. Da circa 7 anni i ribelli anglofoni hanno scelto la strada della violenza armata, dopo che il governo centrale legato alla maggioranza francofona ha scalzato le iniziali richieste in senso federale. Il conflitto, come ricorda la rivista «Nigrizia», è scaturito dall’iniziale repressione da parte del governo e della maggioranza francofona delle rivendicazioni di insegnanti, avvocati e attivisti di lingua inglese per una maggiore autonomia.
La scelta del ricorso alle armi da parte dei ribelli è stata seguita nel 2017 dall’autoproclamazione dell’Ambazonia, uno pseudo Stato nelle province del sud-ovest e del nord-ovest. Il termine deriva dalla parola Ambozes, nome locale della baia di Ambas, coniata negli anni Ottanta nell’ambito di una campagna di valorizzazione della cultura anglofona e dell’autonomia della regione.
Ne è seguita una vera e propria guerra tra i gruppi armati che reclamano l’indipendenza e le forze di sicurezza schierate in maniera consistente dal governo di Yaoundé: circa 650.000 sfollati, 1,8 milioni di persone bisognose di aiuti umanitari, oltre 6.000 vittime e più di 2.200 scuole chiuse. Quest’ultime sono prese di mira nell’ambito di una campagna contro l’insegnamento della lingua francese. L’ong Human rights watch denuncia che negli ultimi sei mesi del 2023 le violenze nelle regioni anglofone sono aumentate con i civili «gravemente colpiti» e l’incremento dei casi di «uccisioni illegali, rapimenti e incursioni nei villaggi». Dallo scorso settembre la campagna di attacchi armati sembra essersi intensificata, in particolare dopo l’uccisione da parte dell’esercito di uno dei leader dei separatisti anglofoni. A fine settembre un attacco alla scuola cattolica primaria di St. Martin of Tour’s di Kembong, nel nord-ovest, ha causato il ferimento di un sacerdote e quattro insegnanti.
Dall’altra parte il presidente, Paul Biya, assicura che la minaccia dei separatisti oggi si è fortemente ridotta. Biya è l’uomo forte del Camerun, al potere senza soluzione di continuità dal 1982: oggi ha quasi 91 anni, di cui oltre 40 al potere, ma al momento non si può escludere un suo nuovo mandato dopo le elezioni presidenziali in programma nel 2025. Anche se sulla futura stabilità del Paese gravano molte incognite, tanto più in un contesto regionale segnato dai golpe nel Sahel e nel vicino Gabon.
Già nel 2019, spinto dalle pressioni della comunità internazionale, il governo guidato da Biya aveva lanciato un dialogo nazionale per cercare una soluzione. Ma il processo è stato definito poco credibile alla luce del fatto che molti leader separatisti si trovano in carcere. Secondo un rapporto dell’International Crisis Group, in questo contesto la Chiesa cattolica — che rappresenta circa il 40 per cento della popolazione camerunese — appare come la sola istituzione in grado di mediare tra le parti in conflitto. «La Chiesa non ha preso posizione né per i separatisti né per il governo, proprio per avere la possibilità di offrire i propri servizi di mediazione», ha spiegato in un’intervista lo scorso settembre il presidente della Conferenza episcopale camerunese Andrew Nkea Fuanya, arcivescovo di Bamenda, capoluogo del nord-ovest.
Il protrarsi del conflitto nelle province anglofone, secondo il portale dell’Onu Relief web, contribuisce intanto ad una «crisi alimentare senza precedenti». Stesso discorso anche per l’altro grave fronte di violenza e conflittualità che affligge il Camerun: quello nell’estremo nord, una stretta striscia di terra che si insinua tra la Nigeria e il Ciad fino alle sponde dell’omonimo lago. È di questi giorni la notizia di nuovi violenti scontri tra Boko Haram e affiliati alla provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico (Iswap) sulle rive del lago Ciad, al confine tra Nigeria e Camerun. Il bacino del Lago Ciad, crocevia dei traffici illeciti internazionali di armi e di ogni tipo, sta diventando l’epicentro degli scontri tra queste fazioni islamiche rivali. Le violenze dei gruppi terroristi nella regione, risalenti al 2009, si stima abbiano provocato lo sfollamento, oltre che di quasi 2 milioni di nigeriani, anche di oltre 320.000 camerunesi.
di Valerio Palombaro