· Città del Vaticano ·

Il magistero

25 gennaio 2024

Venerdì 19

Non
subordinare
la cura
del malato
al mercato

«La Dichiarazione di Helsinki: ricerche in contesti poveri di risorse» sottolinea il tema della libertà e del consenso informato per la ricerca clinica. Dalla versione originale nel 1964, attraverso aggiornamenti, la Dichiarazione ha offerto un contributo essenziale per il passaggio dalla ricerca sui pazienti alla ricerca con i pazienti.

Molte ingiustizie spingono i Paesi poveri in una posizione svantaggiata, lasciandoli alla mercè di Paesi più ricchi e entità industriali insensibili quando sono in gioco bisogni e diritti fondamentali.

Non possiamo subordinare la cura alle mentalità riduttive del mercato e della tecnologia. Dobbiamo trovare un equilibrio tra opportunità di ricerca e benessere dei pazienti, di modo che spese e accesso ai benefici siano distribuiti in modo equo.

Rispettare la libertà delle comunità coinvolte, che non dovrebbero essere lese da modelli di conoscenza e pratiche che esse non riconoscono come proprie. Dopo la pandemia, abbiamo visto quanto sia importante fornire forme di governance che vadano oltre quelle delle singole nazioni.

(Messaggio alla Conferenza organizzata
dalla Pontificia accademia per la vita)

Funzionalismo
e burocrazia
non soffochino
la passione
per la verità

Fu Pio xi a benedire la prima associazione di diciotto Università Cattoliche nel 1924. Venticinque anni dopo, il Venerabile Pio xii istituì la Federazione (F.I.U.C.). Da queste “radici” emergono due aspetti: primo, l’esortazione a lavorare in rete.

Oggi esistono quasi duemila Università Cattoliche. Immaginiamo le potenzialità che potrebbe sviluppare una collaborazione più efficace.

Secondo: la Federazione — scrisse Pio xii — viene istituita «dopo la guerra», come strumento che apporta «alla conciliazione e alla formazione della pace e della carità tra gli uomini» (Lett. ap. Catholicas studiorum Universitates, 27 luglio 1949).

Purtroppo, questo centenario lo celebriamo ancora in uno scenario di guerra. Pertanto è essenziale che le Università Cattoliche siano protagoniste nella costruzione della cultura della pace.

Nella Costituzione Apostolica Ex corde Ecclesiae, san Giovanni Paolo ii afferma che l’Università Cattolica nasce «dal cuore della Chiesa». Forse sarebbe stato più prevedibile che dicesse che scaturisce dall’intelligenza. Ma il Pontefice dà la priorità al cuore.

In un tempo nel quale anche l’istruzione sta diventando un business e grandi fondi economici senza volto investono nelle scuole come nella borsa, le istituzioni della Chiesa devono muoversi secondo un’altra logica. Un progetto educativo non si basa solo su un programma perfetto, un’efficiente dotazione di strumenti o una buona gestione.

Nell’università si deve vedere una comune ricerca della verità, un orizzonte di senso, e tutto vissuto in una comunità di conoscenza.

Non basta assegnare titoli, modellare carriere competitive: occorre integrare il contributo di ciascuno nelle dinamiche creative.

Bisogna pensare l’intelligenza artificiale, ma anche quella spirituale. Non possiamo affidare alla paura la gestione delle università.

La tentazione di chiudersi in una bolla sociale sicura, evitando rischi o sfide culturali, voltando le spalle alla realtà può sembrare la strada più affidabile. [Ma] è mera illusione!

La paura divora l’anima. Non circondate l’università con muri di paura: quelli della disuguaglianza, della disumanizzazione, dell’intolleranza e dell’indifferenza.

Un’università che si protegge può raggiungere un livello prestigioso, occupando i primi posti nelle classifiche di produzione accademica. Ma, come diceva Miguel de Unamuno, «il sapere per il sapere: è disumano».

La neutralità è un’illusione. Un’Università Cattolica deve fare scelte che riflettano il Vangelo, prendere posizione e “sporcarsi le mani” nella trasformazione del mondo.

(Discorso consegnato alla Federazione internazionale università cattoliche)

Verso
una meta
che non è
irraggiungibile

Siamo in cammino e la meta comune è Gesù. Meta non irraggiungibile, perché il Signore ci è venuto incontro, si è fatto Via, così che possiamo camminare sicuri, in mezzo alle false indicazioni del mondo.

I santi c’incoraggiano a rimanere sul sentiero del discepolato quando facciamo fatica [o] cadiamo.

Ci sono stati momenti in cui la venerazione dei santi sembrava dividere. Così non deve essere e in realtà non è mai stato nella fede del santo Popolo fedele di Dio.

Facciamo che questo appuntamento non si riduca a un adempimento autoreferenziale: che abbia sempre la linfa vitale dello Spirito Santo e sia aperto ad accogliere i fratelli più poveri e dimenticati.

(Alla delegazione ecumenica giunta
dalla Finlandia per la festa di sant’Enrico)

Sabato 20

“Cantieri”
per tutelare
la dignità
delle persone

I territori da cui provenite sperimentano contraddizioni della società e del suo modello di sviluppo. I piccoli Comuni sono spesso trascurati e in condizione di marginalità. I cittadini che li abitano scontano divari in termini di opportunità [perché] risulta dispendioso offrire la stessa dotazione di risorse delle altre aree.

Vediamo qui un esempio di cultura dello scarto: la mancanza di opportunità spinge la parte più intraprendente della popolazione ad andarsene e questo rende i territori marginali abbandonati a sé stessi. A restare sono gli anziani e coloro che più faticano.

Di conseguenza, cresce il bisogno di Stato sociale, mentre diminuiscono le risorse per darvi risposta.

Nelle aree interne si trova la maggior parte del patrimonio naturale (foreste, aree protette): ma lo spopolamento rende difficile la cura del territorio, che da sempre gli abitanti di queste zone hanno portato avanti.

I territori abbandonati diventano più fragili e il dissesto diventa causa di calamità e emergenze, con eventi estremi frequenti: piogge torrenziali, inondazioni, frane; siccità e incendi; tempeste di vento.

Ascoltare il grido della terra significa ascoltare quello dei poveri e scartati e viceversa: nella fragilità delle persone e dell’ambiente riconosciamo che la ricerca di soluzioni richiede di leggere insieme fenomeni pensati come separati.

Le aree marginali possono convertirsi in laboratori di innovazione, scoprendo opportunità dove altri vedono vincoli, o risorse in ciò che altri considerano scarti.

Pratiche sociali che riscoprono forme di mutualità e riconfigurano il rapporto con l’ambiente nella chiave della cura, chiedono di essere riconosciute. Un filone [è] quello della ricerca di nuovi rapporti tra pubblico e privato, per sfruttare appieno le possibilità che la legislazione prevede.

Altro filone è quello delle nuove tecnologie. Stiamo scoprendo quanto possano rivelarsi potenti come strumenti di morte. Possiamo immaginare quanto benefica questa potenza potrebbe risultare se utilizzata nella cura delle persone, comunità, territori.

Preoccupano le poche nascite. C’è una “cultura dello spopolamento”. Si gioca lì il futuro. Fare figli è un dovere.

(Discorso all’Associazione per la sussidiarietà
e la modernizzazione degli enti locali - asmel )

Preghiera
annuncio
e comunione

Sottolineo due aspetti: la preghiera, specie di adorazione, e l’evangelizzazione. Il Rinnovamento nello Spirito dà spazio alla preghiera di lode. In un mondo dominato dalla cultura dell’avere e dell’efficienza, e in una Chiesa troppo preoccupata dell’organizzazione, abbiamo bisogno di rendimento di grazie.

Chiedo un’adorazione in cui sia predominante il silenzio, in cui la Parola di Dio prevalga sulle nostre parole, in cui al centro ci sia il Signore e non noi.

Lo Spirito Santo, accolto nel cuore e nella vita, non può che aprire, far uscire a comunicare il Vangelo. A noi spetta essere docili e collaborare. E il primo annuncio si fa con la testimonianza della vita!

A che servono lunghe preghiere e bei canti, se non so essere paziente con il prossimo e non so stare vicino alla mamma che è sola — quarto comandamento: io mi scandalizzo di uomini che hanno i genitori in una casa di ricovero e non vanno a trovarli — o a quella persona in difficoltà.

La carità concreta, il servizio nascosto è la verifica del nostro annuncio: parole, gesti e cantici, senza carità, non vanno.

Il Successore di Pietro ha un carisma, quello della comunione, e su questo vi deve confermare.

Questo vuol dire che il Movimento dev’essere al servizio dell’intera comunità diocesana [e] parrocchiale, secondo le indicazioni pastorali del Vescovo.

Comunione con altre realtà ecclesiali, associazioni, gruppi: dare testimonianza di fraternità, di stima reciproca nella diversità, di collaborazione, al servizio del popolo di Dio e anche su questioni sociali.

(Al Rinnovamento nello Spirito Santo)

Lunedì 22

«I care»:
messaggio
contro
l’indifferenza

L’evento centrale della vita di Don Milani è la conversione. Il suo “sì” a Dio lo prende, lo trasforma e spinge a comunicarlo agli altri.

Prete innamorato della Chiesa, servitore del Vangelo nei poveri, ha vissuto fino in fondo le Beatitudini evangeliche della povertà e dell’umiltà, lasciando i privilegi borghesi, ricchezza, comodità, per farsi povero fra i poveri. Da questa scelta non si è mai sentito sminuito, perché era la sua missione; Barbiana era il suo posto.

La scuola è stato l’ambiente in cui operare per restituire dignità agli ultimi, il rispetto, la titolarità di diritti e cittadinanza, soprattutto il riconoscimento della figliolanza di Dio.

Don Milani è stato testimone del cambiamento d’epoca in cui l’industrializzazione si affermava sul mondo rurale, quando i contadini e i loro figli dovevano andare a fare gli operai.

Trova
la risposta
nella
educazione

Comprende che anche la scuola pubblica in quel contesto era discriminante, perché mortificava chi partiva svantaggiato e contribuiva a radicare le disuguaglianze.

Non era un luogo di promozione sociale, ma di selezione, non era funzionale all’evangelizzazione perché l’ingiustizia allontanava i poveri dalla Parola, allontanava contadini e operai dalla fede.

Si interroga su come la Chiesa possa incidere, perché i poveri non rimangano sempre indietro. E trova la risposta nell’educazione.

Il motto “I Care” non è un generico “mi importa”, ma un accorato “m’importa di voi”, una dichiarazione d’amore per la sua comunità; e nello stesso tempo il messaggio consegnato ai suoi scolari, che diventa insegnamento universale.

Invita a non rimanere indifferenti, a identificare le nuove povertà [e] ad avvicinarci agli esclusi.

(Al Comitato nazionale per il centenario
della nascita di don Lorenzo Milani)

Fare
il giornalista
è un modo
imparare
l’umiltà

Giornalisti, operatori, fotografi, producers: conosco la vostra passione per ciò che raccontate, la fatica. È una vocazione, come quella del medico... il giornalista sceglie di toccare con mano le ferite della società.

Una chiamata che nasce da giovani e porta a capire, mettere in luce, raccontare. Quanta necessità di coltivare un amore incondizionato alla verità! Come disse san Paolo vi , ci sono «simpatia, stima e fiducia per quello che fate» (1963). Grazie per i sacrifici nel seguire il Papa in giro per il mondo e nel lavorare spesso pure la domenica e i giorni di festa.

Chi è il vaticanista? Prendo a prestito le parole di un vostro collega (L. Accattoli). Parlando del suo lavoro, lo ha definito «un mestiere veloce fino a risultare spietato, due volte scomodo quando si applica a un soggetto alto come la Chiesa, che i media commerciali inevitabilmente portano al loro livello di mercato». «In tanti anni di vaticanismo — ha aggiunto — ho appreso l’arte di cercare e narrare storie di vita, che è un modo di amare l’uomo. Ho imparato l’umiltà. Ho avvicinato tanti uomini di Dio che mi hanno aiutato a credere e a restare umano».

Vorrei aggiungere la delicatezza che avete nel parlare degli scandali nella Chiesa. Ringrazio per lo sforzo che fate nel mantenere questo sguardo che sa vedere dietro l’apparenza, sa cogliere la sostanza, non vuole piegarsi alla superficialità di stereotipi e formule preconfezionate, le quali, alla difficile ricerca della verità, preferiscono la facile catalogazione dei fatti secondo schemi precostituiti.

La bellezza del vostro lavoro attorno a Pietro è quella di fondarlo sulla roccia della responsabilità nella verità, non sulle sabbie fragili del chiacchiericcio e delle letture ideologiche; sta nel non nascondere la realtà e le sue miserie, senza edulcorare le tensioni ma al tempo stesso senza clamori inutili.

( All’Associazione internazionale dei giornalisti accreditati presso il Vaticano - Aigav)

Il lavoro
della terra
è condivisione
di sapienza

Le linee su cui avete scelto di muovervi — attenzione all’ambiente, lavoro e sane abitudini di consumo — indicano un atteggiamento incentrato sul rispetto.

Per un prodotto di qualità non bastano tecniche industriali e logiche commerciali; la terra, la vite, i processi di coltivazione, fermentazione e stagionatura richiedono costanza, attenzione e pazienza.

Competenze, solo in parte trasmissibili in modo tecnico, “scolastico”, spesso invece legate alla condivisione di una sapienza pratica, di vita, da acquisire sul campo.

E se il rispetto e l’umanità valgono nell’uso della terra, sono ancora più decisivi nel lavoro, nella tutela delle persone e nel consumo dei prodotti.

Il vino, la terra, l’abilità agricola e l’attività imprenditoriale sono doni di Dio, ma il Creatore li ha affidati alla nostra sensibilità e onestà, perché ne facciamo una fonte di gioia per ogni uomo, non solo di quelli che hanno più possibilità.

(Ai partecipanti al convegno organizzato
da vinitaly su “L’economia di Francesco e il mondo del vino italiano”)

Mercoledì 24

Intelligenza
artificiale
e sapienza
del cuore:
per una
comunicazione umana

L’«intelligenza artificiale» sta modificando anche l’informazione e la comunicazione e le basi della convivenza civile. La diffusione di meravigliose invenzioni, il cui funzionamento e le cui potenzialità sono indecifrabili per la maggior parte di noi, suscita stupore.

In quest’epoca ricca di tecnica e povera di umanità, solo dotandoci di uno sguardo spirituale, recuperando una sapienza del cuore, possiamo riscoprire una comunicazione pienamente umana.

Opportunità
e pericolo

Le macchine possiedono una capacità smisuratamente maggiore rispetto all’uomo di memorizzare dati e correlarli, ma spetta all’uomo decodificarne il senso.

Si tratta di svegliare l’uomo dall’ipnosi in cui cade per il delirio di onnipotenza, credendosi autonomo e autoreferenziale, separato da ogni legame sociale.

L’uomo da sempre cerca di superare la vulnerabilità [con] ogni mezzo. A partire dai manufatti preistorici utilizzati come prolungamenti delle braccia, attraverso i media impiegati come estensione della parola, siamo giunti a sofisticate macchine che agiscono come ausilio del pensiero.

A seconda dell’orientamento del cuore, ogni cosa diventa opportunità o pericolo.

I sistemi d’intelligenza artificiale possono liberare dall’ignoranza e facilitare lo scambio di informazioni tra popoli e generazioni diverse. Ma possono essere strumenti d’inquinamento cognitivo, di alterazione della realtà tramite narrazioni false eppure credute vere.

Basti pensare alla disinformazione, nella fattispecie delle fake news, che si avvale del deep fake, cioè creazione d’immagini che sembrano verosimili ma sono false (è capitato anche a me di esserne oggetto) o di messaggi audio che usano la voce di una persona dicendo cose che non ha detto.

Della prima ondata d’intelligenza artificiale, quella dei social media, abbiamo compreso l’ambivalenza toccando con mano opportunità, rischi e patologie.

Il secondo livello di intelligenze artificiali generative segna un salto qualitativo. È importante capire e regolamentare strumenti che nelle mani sbagliate potrebbero aprire scenari negativi.

Gli algoritmi non sono neutri. È necessario agire preventivamente, proponendo modelli di regolamentazione etica. Adottare un trattato internazionale vincolante.

Crescere
in umanità

Essere all’altezza di una società complessa, multietnica, pluralista, multireligiosa e multiculturale.

La rivoluzione digitale può renderci più liberi, ma non se c’imprigiona nei modelli noti come echo chamber. In questi casi anziché accrescere il pluralismo dell’informazione, si rischia di trovarsi in una palude, assecondando gl’interessi del potere.

La rappresentazione della realtà in big data, per quanto funzionale, implica una perdita sostanziale della verità, che ostacola la comunicazione e rischia di danneggiare la nostra umanità.

Penso al racconto delle guerre e a quella “guerra parallela” che si fa tramite campagne di disinformazione. E a quanti reporter sono feriti o muoiono sul campo per permetterci di vedere quello che i loro occhi hanno visto. Perché solo toccando con mano la sofferenza di bambini, donne e uomini, si comprende l’assurdità delle guerre.

Interrogativi

Come tutelare professionalità e dignità dei lavoratori della comunicazione e dell’informazione, insieme a quella degli utenti?

Come garantire l’interoperabilità delle piattaforme [e] far sì che le aziende che sviluppano piattaforme digitali si assumano responsabilità rispetto a ciò che diffondono e da cui traggono profitto, analogamente agli editori dei media tradizionali?

Come rendere più trasparenti i criteri alla base degli algoritmi di indicizzazione dei motori di ricerca, capaci di esaltare o cancellare persone e opinioni, storie e culture? Come garantire la trasparenza dei processi informativi, rendere evidente la paternità degli scritti e tracciabili le fonti, impedendo il paravento dell’anonimato?

Come rendere manifesto se un’immagine o un video ritraggono un evento o lo simulano? Come evitare che le fonti si riducano a una sola, a un pensiero unico? Come preservare il pluralismo? Come rendere sostenibile questo strumento energivoro? Come renderlo accessibile ai Paesi in via di sviluppo?

La risposta non è scritta. Spetta all’uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi o nutrire di libertà il cuore, senza il quale non si cresce nella sapienza.

( Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali)