· Città del Vaticano ·

Missionari digitali

«Mi sarete testimoni
fino ai confini della terra…»

 «Mi sarete testimoni fino ai confini della terra…»   QUO-018
23 gennaio 2024

Lo scorso ottobre è stata presentata la Relazione di sintesi della prima Sessione della xvi Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi; la seconda Sessione si terrà il prossimo ottobre. Obiettivo era ed è realizzare un’assemblea del popolo di Dio presieduta dai suoi pastori, i vescovi, insieme a una rappresentanza di laici in un clima di dialogo e scambio di opinioni. Il Papa ne fece un cenno nel 2015, in occasione di un discorso commemorativo del cinquantesimo anniversario del primo Sinodo dei vescovi, voluto da san Paolo vi : «Il cammino della sinodalità è il cammino atteso dalla Chiesa del terzo millennio». Non un cammino inteso come una cosa in più da fare, quanto uno stile nuovo da assumere. Ed è proprio attraverso questo stile che Papa Francesco ritiene si possa avviare il necessario cambiamento per una «trasformazione missionaria della chiesa», ossia una chiesa in uscita, capace di essere segno credibile in quella che è, non una semplice «epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca, sapendo vivere i problemi come sfide e non come ostacoli» . La Relazione di sintesi, pubblicata il 28 ottobre 2023, raccoglie il lavoro dell’Assemblea Sinodale, la quale ha lavorato a sua volta sui contenuti giunti da tutte le Conferenze episcopali del mondo. Un ascolto, dunque, che è partito dal basso per farsi voce in questa assemblea. Ritengo importante sottolineare questo perché allora il tema di nostro interesse, che nella Relazione viene presentato in un paragrafo dal titolo «Missionari digitali», non è un capriccio di pochi, ma è ormai un ambito mondiale nel quale farsi compagni di viaggio nel contesto digitale.

Una seconda premessa che ritengo opportuno fare, è il fatto che il 4 dicembre scorso si è celebrato il 60° anniversario del Decreto conciliare Inter Mirifica dedicato all’uso degli strumenti di comunicazione, documento che raccoglie il cammino compiuto dalla Chiesa nel campo delle comunicazioni e ne rilancia riflessione e azione nel rispetto delle novità emergenti. Un segno di quello sguardo di simpatia e di fiducia che la Chiesa ha sempre riservato al tema della comunicazione, naturale prolungamento dell’atto comunicativo di Dio con il suo popolo: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio…» ; ed è proprio Gesù ad averci svelato il volto del Padre: «Tommaso, chi ha visto me ha visto il Padre» . Certo, Egli è una Parola vivente che non è sempre di facile comprensione: pensiamo solo agli inizi, a un Dio che si incarna nella fragilità di un bambino indifeso, e poi un Dio che rivela la sua onnipotenza morendo in Croce . Eppure questa Parola ha squarciato i cieli , si è fatta Avvenimento per noi pur di comunicarci l’Amore del Padre. Oggi la Chiesa è chiamata a continuare a farsi Parola vivente, a comunicare — attraverso gli strumenti più idonei — le sue azioni, le sue parole e le sue scelte, affinché il mondo, vedendo, creda .

Missionari digitali


Il paragrafo dedicato alla «comunicazione» della Sintesi sinodale riporta un titolo particolarmente evocativo: «Missionari nell’ambiente digitale». Più che inseguire linguaggi ed espressioni oggi in voga — pensiamo solo al termine «influencer» — il Sinodo ha voluto ripartire dalla Scrittura, quasi a voler ricordare l’identità del cristiano, di colui che ha ricevuto da Gesù stesso non solo il mandato di «andare» ma anche il contenuto da «annunciare»: «Mi sarete testimoni/missionari fino ai confini della terra» .

In secondo luogo, il Sinodo richiama l’enciclica di san Giovanni Paolo ii , Redemptoris Missio, dedicata al tema delle missioni, dove al suo interno viene dedicatoun paragrafo all’areopago delle comunicazioni, con l’invito ad abitare questo territorio per portare l’annuncio del Vangelo, segnalando contestualmente che questo «abitare» ha un suo preciso profilo: «La chiamata alla missione deriva di per sé dalla chiamata alla santità. Ogni missionario è autenticamente tale se si impegna nella via della santità…». Infine, come accennavamo in premessa, nell’intera esortazione apostolica Evangelii Gaudium Papa Francesco chiede alla Chiesa tutta di farsi missionaria, chiesa in uscita, consapevole, come ebbe modo di dire Papa Benedetto xvi , che i media hanno creato «Un enorme allargamento delle frontiere della comunicazione…con nuovi divari tra inclusi ed esclusi e…conseguenti pericoli di omologazione e controllo, di relativismo morale…di flessione dello spirito critico» . Perciò il “missionario digitale” è chiamato a raggiungere tutti attraverso questa strada.

Accanto al termine «missionario», il termine «digitale». «L’ambiente digitale — scrive il testo finale del Sinodo — modifica i nostri processi di apprendimento, la percezione del tempo, dello spazio, del corpo, delle relazioni interpersonali e il nostro intero modo di pensare. Il dualismo tra reale e virtuale non descrive adeguatamente la realtà e l’esperienza di tutti noi, soprattutto dei più giovani, i cosiddetti “nativi digitali”». In questo vortice di cambiamento, Papa Francesco in questi ultimi anni ci ha offerto una sorta di «grammatica» per abitare questo tempo e questi spazi, imparando ad «andare a vedere», «ascoltare» e «parlare col cuore» . Il filo rosso che unisce questa sorta di trilogia è il cuore: «È il cuore che ci ha mosso ad andare, vedere e ascoltare ed è il cuore che ci muove a una comunicazione aperta e accogliente» . Parole che sottolineano e incoraggiano ad «abitare» il digitale con il cuore ardente e appassionato del Signore Gesù, unica Via di Verità per una Vita piena e matura .

La Relazione finale di questa prima parte del Sinodo non offre risposte preconfezionate, e non tenta di «occupare spazi» con teoriche formule, ma ha «aperto processi», consapevoli che il tempo è superiore allo spazio: «Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone…».

Missionari digitali: alcuni tratti


La curiosità. È quell’innata spinta a interessarsi di quanto ancora non si conosce, è desiderio di fare nuove esperienze e accogliere le novità. Recuperando un’immagine biblica, si tratta di lasciare la riva del lago e prendere il largo su questo “mare digitale”, pronti a gettare la rete dell’impegno e della passione, imparando a trasformare la curiosità in opportunità, sapendo uscire dai propri schemi.

Il coraggio. Lasciarsi guidare dalla curiosità chiede il coraggio di ammettere di non sapere tutto, di avere bisogno d’imparare, di capire e, quindi, anche di accettare di farsi aiutare pur di meglio servire chi ci sta accanto. Ma il coraggio non sta solo nell’imparare una “nuova lingua”, come quella del “digitale”, ma anche saper restare saldi nell’«Eccomi» con il quale abbiamo aderito all’invito del Signore di stare dietro a Lui .

Perché c’è sempre il rischio, come capitò con Simon Pietro, di voler cambiare strada pur di addolcire la proposta del Vangelo o rendere più appetibile la sequela al Signore Gesù . «I veri riformatori sono i santi…solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo» . In altre parole, la domanda di fondo che con coraggio il “missionario digitale” deve sempre farsi è: quanto sto cercando, vedendo, ascoltando, quanto sto proponendo…è un passo dietro a Gesù verso il Padre, o sto prendendo la mia strada? Che il Sinodo ha così tradotto: «Come Chiesa e come singoli missionari digitali abbiamo il dovere di chiederci come garantire che la nostra presenza online costituisca un'esperienza di crescita per coloro con cui comunichiamo» . Accettare questa «missione» è prima di tutto accettare di mettersi in un «cammino di santità», sapendo annunciare-testimoniare il Signore Gesù: «Quello che abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunziamo a voi» . In altre parole, ciò di cui noi abbiamo fatto esperienza noi ve lo annunciamo.

L’appartenenza. Non basta l’entusiasmo del navigare se non sappiamo a Chi apparteniamo, Chi ci manda e qual è il messaggio da portare: «I missionari sono sempre partiti con Cristo verso nuove frontiere, preceduti e spinti dall’azione dello Spirito. Oggi tocca a noi raggiungere la cultura attuale in tutti gli spazi in cui le persone cercano senso e amore, compresi i loro telefoni cellulari e tablet» . Ecco perché per il «missionario digitale» vale la parola sempre di Gesù: «Li scelse perché stessero con Lui e anche per mandarli» , per evitare di ritrovarsi anonimi cittadini digitali confusi tra un’anonima folla. L’appartenenza è garanzia di vita, di capacità di essere nutriti e di portare frutto: «Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me… senza di me non potete far nulla» . E in questa relazione di amicizia con il Signore, il “missionario digitale” cresce e si nutre tra le braccia di Madre Chiesa . Solo così non “perde la bussola”.

Competenza. Non basta buona volontà ed entusiasmo, curiosità e coraggio per navigare in questo nuovo mondo. Serve anche competenza, ossia capacità di capire questo “mondo”, il suo linguaggio, le sue regole, i suoi punti di forza e di debolezza, per evitare di lasciarsi sballottare da qualsiasi moda . La “missione digitale” bene rappresenta quel pezzo di terra che il Signore affida affinché sia “coltivato e custodito”.

Una competenza che chiede studio, confronto, intuizione, umiltà e prudenza, perché «Tutto mi è lecito/utile! Ma non tutto giova… non mi lascerò dominare da nulla» . Non si dimentichi che quando il Signore Gesù mandò i discepoli nel mondo, li inviò «due a due»: per dire, con la semplice parola, che l’esperienza cristiana si vive in compagnia; che la vita vissuta nella carità vale più di molte parole. Questo valeva ieri e vale anche oggi per i “missionari digitali”: assumere lo stile sinodale significa crescere insieme, lavorare insieme, imparare insieme perché comunque non si è impegnati in questo ambito pastorale per farci strada, ma per aiutarci vicendevolmente a servire quanti il Signore ci ha posto accanto in un “mondo” che tutti fa vicini. In altre parole, tutti si è e si rimane «servi inutili» , nel senso che si fanno le cose non per tornaconto, così come da sempre operano i catechisti, gli animatori dei gruppi o di altri ambiti pastorali. Lo spazio digitale è parte dell’unica azione pastorale che chiede di essere servita con amore e fedeltà al mandato del Signore e che vede tutti animati dallo stesso «fuoco d’amore» che brucia nei cuori, anche quando emergono noia, difficoltà o incomprensioni: «Mi dicevo: “Non penserò più a Lui, non parlerò più nel suo nome!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger, 20,9). È questo fuoco ardente che il “missionario digitale” — così come ogni testimone del vangelo — deve custodire e alimentare, perché senza questo fuoco dentro, si rischia di perdersi e di trovare, ancora una volta, tutto inutile, tempo sprecato.

L’invito alle diocesi di prendere il largo


Il “missionario digitale”, dicevamo, appartiene a una Comunità, non è un libero professionista. Ma questo chiede che ogni singola Diocesi — sottolinea il Sinodo — impari a prendere con fiducia il largo; a fidarsi e affidarsi a quanti conoscono meglio le “rotte” di questo mare aperto che è il digitale. I “nativi digitali” hanno una marcia in più, un senso di orientamento innato che chiede di essere riconosciuto e valorizzato. Si tratta di accompagnare la loro familiarità, anche se talvolta sa di ingenuità e un pizzico di santa incoscienza, e aiutarli a dare spessore alle loro intuizioni, per orientarsi tra le dolci onde del digitale così come tra le tempeste che talvolta giungono anche in questo mare aperto e talvolta inesplorato: «Non possiamo evangelizzare la cultura digitale senza averla prima compresa. I giovani…sono i più adatti per portare avanti la missione della Chiesa nell’ambiente digitale, oltre che per accompagnare il resto della comunità, compresi i pastori, a una maggiore familiarità con le sue dinamiche».

Inviati nel mondo digitale da persone pensanti


Nell’alleanza educativa e missionaria appena richiamata deve accompagnarci la consapevolezza che non basta mano d’opera digitale — ossia i tecnici — se questa non è accompagnata anche da un’azione di mente d’opera digitale — ossia persone pensanti che aiutano a cogliere senso e significato delle cose. Solo in questa alleanza sarà più facile aiutarsi e sostenersi, imparando insieme a cogliere i punti di forza e i punti di debolezza del mondo digitale. Si tratta d’imparare a trarre il bene e il vantaggio di questa nuova opportunità, sapendo chiamare per nome le criticità e ambiguità in esso presente.

Tra le ambiguità e criticità, pensiamo alle fake news o le attività fraudolente; o le grandi battaglie contro l‘inquinamento, senza essere consapevoli che la vita online è fonte di inquinamento (www.comparethemarket.com). D’altro canto, è sotto gli occhi di tutti che il digitale permette di potersi collegare con gli estremi confini della terra e raggiungere con un abbraccio solidale quanti vengono coinvolti da calamità naturali, così come è uno spazio dove tutti o comunque molti hanno (quasi) possibilità di parola, quando invece i tradizionali mezzi di comunicazione filtrano ogni messaggio.

Il buon samaritano «digitale»


Attraverso le conclusioni del Sinodo, abbiamo cercato di tratteggiare un primo abbozzo del profilo del “missionario digitale”, che non può essere ridotto a una semplice attività da fare, quanto a un atteggiamento da assumere e che ha come modello il Signore Gesù, il buon samaritano . È l’icona biblica che fa da filo conduttore all’intero documento pastorale pubblicato online dal Dicastero per la Comunicazione, nel giugno scorso, «Per una nuova presenza: riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media», che attualizza il messaggio evangelico nel «mondo digitale».

Conclusioni: «Il tuo volto Signore io cerco»


Parafrasando san Paolo, potremmo dire che «Non è un vanto predicare il vangelo nel mondo digitale; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo in questo “nuovo mondo”!... È un incarico che mi è stato affidato» . È un compito per aiutare chi incontro lungo la via «digitale» a far emergere il volto di ciascuno e saper indicare loro a quale Volto volgere lo sguardo, cioè a quello di Gesù, Uomo perfetto.

Un tempo si diceva che “non siamo macchine”, ebbene oggi possiamo dire che non possiamo ridurci o appiattirci a meri strumenti digitali: noi siamo e restiamo un di più iscritto nel palmo stesso delle mani di Dio, siamo sue amate creature per le quali Egli stesso si è fatto Uomo pur di salvarci dal vortice di superficialità, banalità, distorsioni…di peccato, per renderci suoi figli. Siamo figli di Dio, questa è la nostra identità. E da figli desideriamo abitare questo «mondo digitale» portando la bella notizia che Dio ci ama, si prende cura di noi perché ha a cuore ciascuno di noi. Non teme e non si vergogna di alcuno, e anche se il nostro peccato può soffocare le aspirazioni del nostro cuore, Dio è più grande del nostro peccato. Come all’Areopago di Atene forse anche noi, come capitò a Paolo, non verremo subito ascoltati, ma il seme caduto in terra prima o poi porterà frutto. Gli “abitanti” del mondo digitale hanno lo stesso cuore, gli stessi sentimenti, gli stessi pensieri, le stesse aspirazioni di tutti, né più né meno: spetta ai “missionari digitali” intercettarli e far sentire che quanto custodiscono nel loro cuore può trovare corrispondenza anche in altri amici che abitano questo tempo e questi luoghi.

A volte non servono molte parole, ma il modo di rilanciare un pensiero, di pubblicare un’immagine, di rispondere…Così è stato un tempo, così è e sarà oggi: «I tuoi fedeli al vedermi avranno gioia, Signore» . Al semplice «vedermi». Questa è la luce che un “missionario digitale” è chiamato a portare. È chiamato ad essere.

di Andrea Vena