· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-014
18 gennaio 2024

Venerdì 12

Giovani
che si sporcano
le mani

Oggi sembra diffondersi quello che alcuni chiamano “pensiero breve”: fatto di pochi caratteri, si brucia subito; non guarda in alto e avanti, ma solo qui e ora, frutto dei bisogni del momento; si muove per istinto e si misura per istanti; fatto di emozioni e compresso in poche parole, sembra sostituire il pensiero già “debole” del post-modernismo.

Dinanzi alla complessità, porta a generalizzare e a criticare, a semplificare e a truccare la realtà, nella ricerca dei propri interessi immediati. Sono preoccupato quando sento di giovani barricati dietro a uno schermo.

Esser giovani non è pensare di tenere il mondo in mano, ma sporcarsi le mani per il mondo; è avere davanti una vita da spendere, non da conservare o archiviare.

Tanti sembrano “spremuti”: oggetto di prestazioni sempre più esigenti, rischiano di veder inaridire il succo della vita.

Voi sognate? o siete già “in pensione”? È triste vedere giovani abulici e anestetizzati, distesi sui divani anziché impegnati nelle scuole e nelle strade. Professionali fuori e spenti dentro.

Abbiamo bisogno della creatività e dello slancio che solo voi potete darci. I giovani sono le leve che rinnovano i sistemi, non gli ingranaggi che devono mantenerli.

Nel contesto occidentale si vive circondati da cose inutili, immersi in prodotti che fanno perdere lo stupore per la bellezza. Uscite dal virtuale, dal mondo ipnotico dei social. Una ricerca che vi appassiona, una preghiera fatta col cuore, un’inchiesta che vi scuote, una pagina che donate, un gesto d’amore per chi non può ricambiare.

Questo è creare, assimilare lo stile della gratuità, che fa uscire dalla logica del “faccio per avere” e “lavoro per guadagnare”.

Vi può aiutare la testimonianza del Beato Giuseppe Toniolo. Vorrei concretizzare queste idee attorno a un tema urgente, quello della pace. Uno sguardo sull’oggi fa apparire lontana quell’aspirazione alla concordia di cui l’attività diplomatica è sempre stata veicolo.

Tanta diplomazia sembra aver dimenticato la sua natura. La si vede rincorrere i fatti senza quella forza preventiva, quel sognare-dialogare-rischiare per la pace che argina il ricorso alle armi.

Dove sono le imprese audaci, le visione ardite? Da chi possono venire, se non da cuori giovani, che accolgono il bene e impugnano il Vangelo?

Quanti altri aspetti, come l’economia, la lotta alla fame, alla produzione e al commercio delle armi, la questione climatica, la comunicazione, il mondo del lavoro, hanno bisogno di rinnovamento e creatività?

(Ai partecipanti all’incontro promosso
dalla “Toniolo young professional association”)

Profezia
di carità
e germi di unità

Il vostro Comitato offre a studenti provenienti dalle Chiese ortodosse e ortodosse orientali l’opportunità di perfezionare la formazione presso istituti cattolici.

Questo contatto con comunità concrete, nelle quali si sperimenta lo stesso desiderio di seguire l’unico Maestro, aiuta a superare pregiudizi, abbattere barriere e costruire ponti di dialogo.

Pensate ai primi discepoli; erano molto diversi: c’era chi era stato discepolo del Battista e chi zelota, chi pescatore e chi pubblicano; quante differenze di provenienza, carattere, affinità! Eppure è difficile pensare a un gruppo più unito.

Se alla base c’è la condivisione fraterna di quest’esperienza, credo che le nostre storie passate, viziate da sbagli e incomprensioni, da peccati e stereotipi, possano essere gradualmente risanate.

Il mio auspicio è che questi anni siano, attraverso l’accoglienza e il rispetto, l’ascolto e la condivisione, profezia di carità e germi di unità, per il bene di tutti i cristiani, e del mondo.

( Al Comitato cattolico per la collaborazione culturale con le Chiese ortodosse
e le Chiese ortodosse orientali)

Testimonianza coraggio
e sguardo largo

La comunicazione è la vostra missione in un mondo iperconnesso e bombardato di notizie. Perciò avete deciso di fare una sosta per condividere, pregare, ascoltare.

Questi momenti servono a ritrovare la radice di quello che comunichiamo, la verità che siamo chiamati a testimoniare; ci aiutano a non pensare che l’oggetto della comunicazione siano le nostre strategie o imprese; a non chiuderci; a non puntare tutto sul progresso.

La sfida della comunicazione è complessa e il rischio è di affrontarla con l’ossessione del controllo, del potere, del successo; con l’idea che i problemi siano materiali, tecnologici, organizzativi, economici.

Comunicare non è sovrastare con la voce quella degli altri, non è propaganda; a volte è anche tacere; non è nascondersi dietro slogan o frasi fatte.

Non è puntare sull’organizzazione, non è marketing. Comunicare è stare nel mondo per farsi carico degli altri; è non arrendersi alla cultura dell’aggressività e della denigrazione; è costruire una rete del bene, del vero fatta di relazioni sincere.

Come non ricordare la frase di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e dei comunicatori cattolici: «Le bruit fait peu de bien, le bien fait peu de bruit».

La comunicazione è testimonianza. Questo rende credibili nella relazione con i media secolari e anche più attrattiva la nostra rete di comunicazione.

Dopo la vergogna degli abusi, la Chiesa in Francia sta vivendo un cammino di purificazione. Non esitate a condividere attraverso la comunicazione il bene che c’è nelle diocesi, congregazioni, movimenti.

Siate accoglienti. La società ha bisogno di sentire la parola della Chiesa come Madre amorevole. Abbiate il coraggio che viene dall’umiltà e dalla serietà, e che fa della vostra comunicazione una rete coesa.

Anche se i destinatari possono sembrarvi indifferenti, scettici, critici, addirittura ostili, non scoraggiatevi. Non giudicateli.

Condividete la gioia del Vangelo. Anche gli uomini e le donne del nostro tempo hanno sete di Dio.

Guardare al mondo nella sua bellezza e complessità. In mezzo alle mormorazioni, all’incapacità di vedere l’essenziale, scoprire che ciò che unisce è sempre più grande di quel che divide; e va comunicato. È una verità ignorata, ma la carità spiega tutto.

(Discorso consegnato ai partecipanti al simposio “Université des communicants en église”
promosso dalla Conferenza dei vescovi di Francia)

Un patrimonio ricco
ma fragile

Iniziative come il progetto dedicato al censimento delle fonti audiovisive relative ai Giubilei e quelli tesi a riscoprire il patrimonio d’istituzioni rilevanti per la Chiesa testimoniano la bontà dei vostri obiettivi.

La mancanza di un’istituzione centrale dedicata a tramandare alle future generazioni la memoria audiovisiva dei Pontificati e della Chiesa, ha generato una situazione senza un riferimento.

La Fondazione Memorie Audiovisive del Cattolicesimo (Mac) traccia un modello da seguire, convalidato dalla collaborazione con la Biblioteca Apostolica Vaticana e l’Archivio Apostolico Vaticano.

A causa delle proprie specificità, la documentazione audiovisiva ha costi di gestione ai quali molte istituzioni archivistiche faticano a far fronte.

L’urgenza di investire in questo campo è impellente, perché i costi economici saranno minori di quelli che si pagheranno dal punto di vista storico, culturale e religioso con la perdita di tanto patrimonio audiovisivo. Per questo chiedo di iniziare a ordinare il patrimonio della Filmoteca Vaticana.

Accolgo il progetto di restauro dei film sui Giubilei. In vista dell’Anno Santo 2025, sembra un modo virtuoso per indicare un percorso possibile di valorizzazione del ricco ma fragile patrimonio audiovisivo ecclesiastico.

(Discorso consegnato alla Fondazione memorie audiovisive del cattolicesimo - MAC)

Lunedì 15

In Terra Santa il martirio
di un popolo

Siete dove l’apostolo Pietro giunse duemila anni fa partendo, da quella casa di Cafarnao, sui cui resti possiamo recarci e pregare grazie al lavoro di professori e archeologi. Adesso non si può andare perché l’area bellica lo impedisce.

Lo Studium Biblicum Franciscanum veniva inaugurato a Gerusalemme, presso il Santuario della Flagellazione, il 7 gennaio 1924, e poco dopo era posto in collegamento con il Collegio S. Antonio di Roma, attuale Pontificia Università Antonianum.

Ci sono troppe Università ecclesiastiche a Roma. Dovete mettervi d’accordo e fare qualche forma di unità nei piani di studio.

Quello per i testi biblici è per voi un amore fondato nella stessa volontà di San Francesco. Per [lui] la conoscenza della Parola di Dio e il suo studio, non sono questioni di semplice erudizione, ma esperienze di natura sapienziale, che hanno come fine, di aiutare gli uomini a vivere meglio il Vangelo e di renderli buoni.

Lo aveva capito bene San Bonaventura da Bagnoregio, del quale vi apprestate a ricordare i 750 anni della morte.

Lo studio scientifico delle fonti bibliche, arricchito dalle più aggiornate metodiche e discipline connesse, sia per voi sempre unito al contatto con la vita del santo popolo di Dio e finalizzato al servizio pastorale.

Fuori della Chiesa questi studi non servono a niente. Vi incoraggio a continuare a svolgerli e a qualificarli nella ricerca, nella docenza e nell’attività archeologica.

L’attuale situazione della Terra Santa ci addolora. È gravissima. Ho ascoltato padre Faltas, le cose che mi ha fatto conoscere; e ogni giorno comunico con la parrocchia di Gaza. Sono due esempi, ma tutto questo è più grande. Dobbiamo pregare e agire perché cessi questa tragedia.

Ciò vi sia ancor più di sprone per approfondire le ragioni della vostra presenza in quei Luoghi martoriati, della vostra presenza lì, nel martirio di quel popolo, in cui affondano le radici della nostra fede.

(Allo Studium Biblicum Franciscanum)

Mercoledì 17

La pace esige
di affrontare
le ingiustizie
alla base
dei conflitti

L’incontro del Forum economico mondiale di quest’anno si svolge in un clima preoccupante di instabilità internazionale. [Esso], volto a guidare e a rafforzare la volontà politica e la mutua cooperazione, offre un’occasione per esplorare modi innovativi per costruire un mondo migliore.

I vostri dibattiti tengano conto dell’urgente bisogno di promuovere la coesione sociale, la fratellanza e la riconciliazione tra gruppi, comunità e Stati.

Purtroppo, vediamo un mondo sempre più lacerato, dove milioni di persone, i cui volti in gran parte non conosciamo, continuano a soffrire, non ultimo per gli effetti di conflitti prolungati e guerre.

La pace a cui anelano i popoli del mondo non può essere che il frutto della giustizia. Pertanto esige qualcosa di più che il semplice mettere da parte gli strumenti di guerra; esige che si affrontino le ingiustizie che sono le cause alla radice del conflitto.

Tra quelle più importanti c’è la fame, che continua ad affliggere intere regioni, mentre altre sono segnate da uno spreco eccessivo di cibo.

Lo sfruttamento delle risorse naturali continua ad arricchire pochi, lasciando intere popolazioni in uno stato d’indigenza.

Né possiamo ignorare il diffuso sfruttamento di uomini, donne e bambini costretti a lavorare per salari bassi e privati di prospettive di progresso e di crescita.

In un mondo sempre più minacciato dalla violenza, dall’aggressione e dalla frammentazione, è essenziale che Stati e imprese si uniscano nel promuovere modelli di globalizzazione lungimiranti ed eticamente sani, che devono comportare la subordinazione della ricerca di potere e di guadagno individuale, sia esso politico o economico, al bene comune della famiglia umana, dando priorità ai poveri e a quanti si trovano in situazioni di vulnerabilità.

Il mondo degli affari e della finanza opera in contesti ancora più ampi, dove gli Stati nazionali hanno una capacità limitata di controllare cambiamenti. I Paesi meno sviluppati non dovrebbero essere alla mercé di sistemi ingiusti o usurari.

C’è bisogno di un’azione politica internazionale che, attraverso misure coordinate, possa perseguire gli obiettivi della pace globale e dello sviluppo autentico.

È importante che le strutture intergovernative possano svolgere le loro funzioni di controllo e guida nel settore economico.

Confido che i partecipanti al Forum siano consapevoli della responsabilità morale di ognuno nella lotta contro la povertà, nel raggiungimento di uno sviluppo integrale per tutti e nella ricerca di una pacifica coesistenza tra i popoli.

( Messaggio al World economic forum di Davos)

L’amore tra
uomo e donna
non è per usarsi ma per donarsi

Gli antichi Padri insegnano che, dopo la gola, il secondo “demone”, cioè vizio, che sta sempre accovacciato alla porta del cuore è quello della lussuria.

Mentre la gola è voracità nei confronti del cibo, questo secondo vizio è una “voracità” verso un’altra persona; il legame avvelenato che gli esseri umani intrattengono tra loro, specie nella sfera della sessualità.

Nel cristianesimo non c’è una condanna dell’istinto sessuale. Un libro della Bibbia, il Cantico dei Cantici, è uno stupendo poema d’amore tra due fidanzati.

Tuttavia, questa dimensione così bella, la dimensione sessuale, dell’amore, non è esente da pericoli.

Guardiamo all’esperienza umana dell’innamoramento. Perché questo mistero accada, e perché sia così sconvolgente nella vita delle persone, nessuno lo sa.

Una persona si innamora di un’altra. È una delle realtà più sorprendenti. Buona parte delle canzoni riguardano amori che si illuminano, sempre ricercati e mai raggiunti, carichi di gioia o che tormentano.

Se non viene inquinato dal vizio, l’innamoramento è uno dei sentimenti più puri. Una persona innamorata diventa generosa, gode nel fare regali, scrive lettere e poesie. Smette di pensare a sé stessa per essere completamente proiettata verso l’altro.

Se chiedete a un innamorato: “per quale motivo ami?”, non troverà risposta: il suo è un amore incondizionato, senza ragione.

Pazienza se quell’amore, tanto potente, è anche un po’ ingenuo: l’innamorato non conosce veramente il volto dell’altro, tende a idealizzarlo, è pronto a pronunciare promesse di cui non coglie subito il peso.

Questo “giardino” dove si moltiplicano meraviglie non è però al riparo del male.

Esso viene deturpato dal demone della lussuria, e questo vizio è particolarmente odioso, per due motivi.

Anzitutto perché devasta le relazioni tra le persone. Per documentare una realtà del genere è sufficiente purtroppo la cronaca di tutti giorni.

Quante relazioni iniziate nel migliore dei modi si sono poi mutate in relazioni tossiche, di possesso, prive di rispetto?

Sono amori in cui è mancata la castità: virtù che non va confusa con l’astinenza sessuale, bensì va connessa con la volontà di non possedere l’altro.

Amare è rispettare l’altro, ricercare la sua felicità, coltivare empatia per i suoi sentimenti, disporsi nella conoscenza di un corpo, di una psicologia e di un’anima che non sono nostri e che devono essere contemplati per la bellezza di cui sono portatori. La lussuria, invece, si fa beffe di tutto: depreda, rapina, consuma in fretta, non vuole ascoltare l’altro ma solo il proprio bisogno e il proprio piacere.

La lussuria giudica una noia ogni corteggiamento, non cerca quella sintesi tra ragione, pulsione e sentimento che aiuterebbe a condurre l’esistenza con saggezza.

Il lussurioso cerca scorciatoie: non capisce che la strada dell’amore va percorsa con lentezza, e questa pazienza, lungi dall’essere sinonimo di noia, permette di rendere felici i rapporti amorosi.

Seconda ragione: tra tutti i piaceri dell’uomo, la sessualità ha una voce potente. Coinvolge tutti i sensi, dimora sia nel corpo che nella psiche; ma se non è disciplinata con pazienza, se non è inscritta in una relazione e in una storia dove due individui la trasformano in una danza amorosa, essa si muta in una catena che priva di libertà.

Il piacere sessuale, che è un dono di Dio, è minato dalla pornografia: soddisfacimento senza relazione che può generare dipendenza. Dobbiamo difendere l’amore del cuore, della mente, del corpo, amore puro nel donarsi uno all’altro. Questa è la bellezza del rapporto sessuale.

Vincere la battaglia contro la lussuria, contro la “cosificazione” dell’altro, può essere un’impresa che dura tutta una vita.

Però il premio è il più importante in assoluto, perché si tratta di preservare quella bellezza che Dio ha scritto nella sua creazione quando ha immaginato l’amore tra l’uomo e la donna, che non è per usarsi l’un l’altro, ma per amarsi.

Quella bellezza che ci fa credere che costruire una storia insieme è meglio che andare a caccia di avventure, coltivare tenerezza è meglio che piegarsi al demone del possesso — il vero amore non possiede, si dona —, servire è meglio che conquistare. Perché se non c’è l’amore, la vita è triste solitudine

( Udienza generale nell’Aula Paolo vi )