· Città del Vaticano ·

Il cardinale Parolin alla presentazione di un libro su Achille Silvestrini

Diplomazia della speranza

 Diplomazia della speranza  QUO-014
18 gennaio 2024

«Un protagonista a tutto tondo della vita della Chiesa». Così il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ha definito il cardinale Achille Silvestrini, intervenendo ieri, 17 gennaio, alla presentazione a Roma del libro della storica Emma Fattorini La diplomazia della speranza, dedicato al porporato nato a Brisighella nel 1923 e morto nell’Urbe nel 2019.

Alla presenza del presidente del Senato della Repubblica italiana, Ignazio La Russa, presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, Parolin ha ricordato il confratello nel collegio cardinalizio che fu collaboratore di quattro pontefici: Pio xii , san Giovanni xxiii , san Paolo vi e san Giovanni Paolo ii. «Figura di prim’ordine nelle trattative della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa che si conclusero con la firma degli Accordi di Helsinki nel 1975, presente alla revisione del Concordato tra Stato italiano e Santa Sede nel 1984, dopo decenni di lavoro presso la Segreteria di Stato» egli «venne creato cardinale nel 1988 e nominato poi prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica, quindi, dal 1991 al 2000, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali».

Il volume, ha spiegato Parolin, «intreccia tre piani: quello delle vicende politiche degli Stati e della loro posizione sullo scacchiere internazionale; quello che riguarda i cambiamenti che nel corso dei decenni hanno coinvolto la Segreteria di Stato, gli uffici e i metodi; quello del racconto intimo e amichevole di uno dei protagonisti della diplomazia vaticana».

Ricordandolo come «uomo curioso e senza pregiudizi», il segretario di Stato ha definito Silvestrini «un caleidoscopio di interessi e capacità, unificati dall’amore per la Chiesa di cui sapeva anche vedere criticità e chiusure». In particolare ne ha rievocato il rapporto con il cinema: «a Helsinki andò a vedere La Via lattea di Buñuel e quel film dalle suggestioni surrealiste avviò in lui la riflessione su quanto fosse importante e urgente che la Chiesa ammettesse con coraggio gli errori commessi»; senza tralasciare «il rapporto con Federico Fellini, di cui celebrò il funerale».

Altra sua passione, quella «per la storia e la comprensione dei suoi sommovimenti», che lo portò «a stringere rapporti di amicizia con Alberto Cavallari, direttore del “Corriere della Sera”, un laico che preferiva le spiegazioni al giudizio».

Ma soprattutto il cardinale Parolin nella sua rievocazione non poteva non accennare alla premura di Silvestrini e alla «cura per i ragazzi e per le ragazze di Villa Nazareth» — il collegio universitario romano per studenti meritevoli con scarsità di mezzi economici — di cui oggi il segretario di Stato ha raccolto l’eredità impegnandosi a «proseguire nel solco del suo insegnamento». Perché, ha chiarito, la sua «è stata una vita con un centro preciso: la fedeltà al Signore e al suo Vangelo nel servizio alla Chiesa».

In particolare il relatore ha messo in luce «la sensibilità e la cura spirituale» di Silvestrini «nel lavoro diplomatico, svolto con consapevolezza e con senso di responsabilità». In proposito ha evidenziato i «molti incontri, avvenimenti e accordi» che lo hanno avuto tra i protagonisti. «Testimone del cambiamento della diplomazia vaticana quando, con la fine della guerra di Corea nel 1953, iniziò una stagione più distesa tra i due blocchi che governavano il mondo» — quello filostatunitense e quello filosovietico — in quegli «anni intensi» egli «cercava di comprendere come i Paesi che avevano raggiunto o stavano raggiungendo l’indipendenza potessero creare un’area intermedia che andasse a rompere lo schema bipolare».

Ma c’è soprattutto un tema che accomuna Parolin a Silvestrini ed è la Cina. «Dopo la pubblicazione della lettera apostolica di Pio xii a difesa della cristianità cinese (Cupimus imprimis, 1952) che ebbe come conseguenza espulsioni e torture di missionari, sacerdoti e vescovi, oltre che la riduzione drastica della comunità cristiana, e a seguito dell’enciclica Ad Sinarum (1954) che inasprì la repressione, nel 1958 lo stesso Pontefice pubblicò l’enciclica Ad Apostolorum che dichiarava illecita la nomina dei vescovi da parte della Chiesa cinese — ha ricostruito il cardinale Parolin —. Una questione molto complessa e delicata che si può almeno in parte comprendere a partire dal caso di Bernardino Dong Guangqing, un frate minore eletto vescovo senza il benestare di Roma (che fu avvisata attraverso un telegramma). La risposta non tardò: la Segreteria di Stato intimò al frate Bernardino di ricusare la nomina. Da quel momento si iniziò a parlare di due Chiese, una clandestina e l’altra patriottica. Ancora una volta, gli appunti di don Achille rivelano il suo essere un fine diplomatico ma anche un pastore profondo». Del resto, egli «aveva talmente a cuore la situazione della Cina e della Chiesa in Cina, al punto che chiese, in occasione della visita di Stato di Craxi», presidente del Consiglio dei ministri italiano, «al governo cinese di Deng Xiaoping, di inserire nei colloqui di vertice la richiesta di un confronto tra il Vaticano e il governo della Repubblica cinese. Da quel momento molte sono state le occasioni per tessere il dialogo: dopo l’intervento di Benedetto xvi nel 2007, durante il pontificato di Francesco, nel 2018, è stato firmato un primo accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, rinnovato poi nel 2020 e nel 2022, procedendo così sulla strada del dialogo bilaterale, che prosegue».

Ma soprattutto, ha concluso Parolin, «l’acume diplomatico di Silvestrini spicca nel Trattato di Helsinki», con cui «iniziò a instaurarsi quello che lui chiamava “il galateo della fiducia”. Nel 2015, in occasione del 40° anniversario della firma, in un intervento a Villa Nazareth, davanti a un don Achille anziano ma sorridente, ebbi a dire: “per noi è stato uno degli operai della prima ora, di quella svolta epocale, di quegli anni di lavorio, di incontri, di negoziato e di risultati diplomatici rilevanti”».