· Città del Vaticano ·

Un film sul calcio e quel richiamo del Pontefice al valore dell’amatorialità

Se l’importante
non è partecipare
ma divertirsi

 Se l’importante   non è partecipare  ma divertirsi  QUO-013
17 gennaio 2024

Perdere una partita 31-0 ma continuare ad amare il calcio, perché anche una sconfitta rovinosa non toglie il gusto del gioco. È quello che è successo alla nazionale delle Samoa Americane, arcipelago in mezzo all’Oceano Pacifico, che l’11 aprile del 2001 perse contro l’Australia — alle qualificazioni ai Mondiali di Calcio del 2002 — la partita con il maggior scarto di reti in una competizione internazionale. Da questo catastrofico risultato muove la storia raccontata nel film Chi segna vince del regista neozelandese Taika Waititi, in questi giorni nelle sale cinematografiche. Un allenatore professionista, esonerato dalla federazione statunitense per il suo carattere irascibile, viene chiamato a risollevare le sorti della nazionale di Samoa. Inizia così una partita nella partita, un confronto tra due visioni del fútbol (e per estensione della vita): quella occidentale competitiva e mirata esclusivamente al risultato e quella dei “calciatori per divertimento” samoani che vivono il calcio… come un gioco.

Il film, e ancor più la storia che lo ispira, mettono l’accento su un tema tante volte toccato dal Papa nei suoi numerosi incontri con il mondo sportivo, quello dell’amatorialità. Proprio pochi giorni fa, ricevendo i membri dell’associazione Athletica Vaticana, ha sottolineato che è l’amatorialità a «custodire lo sport», «è il succo che dà la vita all’attività sportiva». Messaggio che, nell’anno da poco concluso, aveva condiviso pure con i calciatori scozzesi del Celtic e prima ancora con la Federazione italiana di Tennis e Padel. Del resto, già cinque anni fa, Francesco si era soffermato sul valore dell’amatorialità dialogando con gli studenti del liceo romano “Pilo Albertelli”. «Una delle cose più brutte che succede oggi nel mondo nel calcio — osservava rispondendo alla domanda di un ragazzo sull’importanza del giocare — è che hanno perso l’amatoriale, è diventato troppo commerciale, ma l’amatoriale nello sport è proprio il gioco che ti fa crescere. Ti fa crescere».

Per il Papa, non va dispersa questa dimensione della “gratuità” del gioco, che è ciò che rende lo sport amatoriale “alla portata di tutti”, ne favorisce la dimensione di fraternità e inclusione, contribuisce al dialogo e alla pace. E, per dirla con una battuta del film, «offre a tutti un secondo tempo». Soprattutto i giovani possono crescere a livello personale, parlando «il linguaggio della testa, del cuore e delle mani», come ha consigliato ai ragazzi di Scholas Occurrentes. Certo, il Papa sa bene che lo sport agonistico è necessariamente portato a oltrepassare il limite e gli atleti professionisti sono chiamati a superarsi nelle loro prestazioni, con impegno e disciplina. Tuttavia, sarebbe una sconfitta se questa dimensione competitiva fosse a discapito del piacere del gioco. Tutti ricordiamo dei nostri beniamini la felicità che esprimevano al momento delle loro gesta in campo o in pista. È’ quella l’immagine che ci dà un’emozione anche a distanza di anni. Mentre mancano ormai pochi mesi all’inizio dei Giochi Olimpici e Paralimpici di Parigi, possiamo allora parafrasare Pierre de Coubertin nell’affermare che forse l’importante non è vincere e in fondo nemmeno partecipare. L’importante è divertirsi.

di Alessandro Gisotti