· Città del Vaticano ·

I sogni infranti di tanti bambini costretti a lavorare nelle miniere aurifere del Venezuela

Oro sporco

A Venezuelan mining boy unloads a bag of mud into a wooden container used to strain and wash mud in ...
05 gennaio 2024

Ricoperta dal fango, si intravede una maglia da calciatore. Ma per il bambino ritratto in questa foto non c’è alcun gioco a cui giocare. C’è solo la terribile fatica del lavoro a cui è costretto: quello di minatore in un giacimento aurifero. Siamo nella città di El Callao, nello Stato di Bolivar, in Venezuela. Si tratta della zona orientale del Paese, non lontana dal confine con la Guyana; un territorio ricco di giacimenti, tanto da attrarre sempre più persone in cerca di un’occupazione. Basti dire che, fino a qualche anno fa, El Callao contava circa 40.000 abitanti, mentre ora fa registrare almeno 300.000 minatori.

Per molti bambini venezuelani, il lavoro nei giacimenti inizia come una divertente “caccia al tesoro”: rilevare tracce d’oro, perlustrando il terreno. Ma a poco a poco, quello che è nato come un gioco diventa un vero e proprio sfruttamento. Accovacciati in pozzanghere di acqua fangosa, con le mani e i piedi nudi, decine e decine di minori imparano in fretta a far roteare grandi piatti cavi, alla ricerca di frammenti aurei. Tutto ciò che brilla, viene messo in un sacchetto e lavato con l’acqua. E questo è il lavoro più “facile”, perché c’è anche chi è costretto a trasportare grossi sacchi di fango da una pozzanghera all’altra, schiacciato da un carico più grande di lui.

Il futuro di questi bambini nasce e finisce così, infranto sulle pareti di una miniera: non sono alfabetizzati, non frequentano alcuna scuola e il loro sogno è quello di diventare minatori e possedere un mulino, ovvero una struttura in cui si frantumano terra e pietre da cui estrarre l’oro.

Insieme a piccoli, ci sono anche tanti adulti: persone disperate, costrette dalla povertà a lavorare con turni lunghi anche 12 ore, calandosi in profondi cunicoli senza protezione alcuna. E il loro guadagno se ne va, in parte, ai gruppi criminali che controllano le miniere e, in altra parte, ai proprietari dei mulini. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr), anche le donne sono costrette a lavorare nel circuito minerario, oltre a essere spesso vittime del traffico di esseri umani, per lo più a scopo di prostituzione. Nei giacimenti, sottolinea l’Ohchr, si vive un clima di terrore a causa di gruppi criminali che infliggono severe punizioni a chi non rispetta le loro regole, praticando pestaggi e taglio delle mani, fino ad arrivare all’omicidio per poi gettare i corpi dei minatori uccisi in fosse comuni.

E le previsioni non sono delle migliori: secondo Metal Focus, società di consulenza indipendente leader nella ricerca sui metalli preziosi, la produzione mineraria mondiale dell’oro è destinata ad aumentare del 2 per cento, raggiungendo un massimo di 3.650 tonnellate.

Tornano però alla memoria le parole di Papa Francesco, pronunciate giù nel settembre 2013, in occasione Giornata di riflessione sulle questioni ambientali e sociali legate al settore dell’industria mineraria mondiale, promossa dall’allora Pontificio Consiglio della giustizia e della pace: esortando a «un serio esame di coscienza sul da farsi affinché l’industria mineraria possa offrire un positivo e costante contributo allo sviluppo umano integrale», il Pontefice esortava a prendere decisioni «non in vista dei profitti economici», quanto piuttosto in base a «un’armonia tra gli interessi, che tenga conto delle esigenze degli investitori, dei lavoratori, delle loro famiglie, del futuro dei figli, della preservazione dell’ambiente e che costituisca, al contempo, un contributo alla pace mondiale». (isabella piro)