· Città del Vaticano ·

Hic sunt leones
Il futuro geopolitico del continente nel contesto del complesso scenario internazionale

2024: Africa quo vadis?

 2024: Africa quo vadis?   QUO-004
05 gennaio 2024

Tra le domande sulle prospettive dell’anno che si apre, sono di rilievo quelle su cosa riserberà per l’Africa. Certezza nelle previsioni non è ovviamente possibile poiché eventi o sviluppi imprevisti potrebbero cambiare il futuro in modo inaspettato. Il primo è quello di una crescita del cosiddetto futuro sostenibile, caratterizzato dal progresso tecnologico in ambiti come l’energia rinnovabile e il digitale, oltre a una maggiore integrazione dell’economia attraverso l’Afcfta (Africa Continental Free Trade Area), l’area di libero scambio all’interno del continente africano. L’Africa costituisce circa il 18 per cento della popolazione mondiale e questa quota salirà al 25 per cento entro il 2050. Inoltre è un continente giovane con un’età media nella macroregione subsahariana stimata attorno ai vent’anni, il che offre potenzialmente significative opportunità di innovazione, crescita e sviluppo.

L’Africa — è bene rammentarlo — possiede il 30 per cento delle risorse minerarie mondiali e il 60 per cento delle terre coltivabili inutilizzate a livello planetario. Siamo di fronte a un grande paradosso se si considera che proprio l’Africa è afflitta da ricorrenti carestie e che le preoccupazioni relative alla sicurezza alimentare in termini generali sono tra le principali priorità dell’agenda internazionale.

Quanto detto finora non può comunque prescindere dal progressivo diffondersi e perdurare di numerosi conflitti armati a livello continentale, legati alle debolezze nei processi di state-building e nation-building; una fenomenologia questa che ha segnato pesantemente il 2023. La dice lunga la raffica di colpi di Stato che ha investito l’Africa nel corrente decennio. Quello in Gabon dell’agosto scorso è l’ottavo in Africa centrale e occidentale dal 2020. Al contempo, sono innegabili le interferenze straniere a partire dallo sfruttamento delle commodity da parte di aziende estere. Si tratta di una vulnerabilità che accresce costantemente l’insofferenza delle masse africane. Motivo per cui i governi locali dovranno necessariamente misurarsi con la crescente disparità di reddito, con gli effetti dei cambiamenti climatici e le turbolenze generate dalle speculazioni finanziarie a livello planetario. A ciò occorre aggiungere la cronica instabilità politica di alcuni Paesi e i disordini sociali generati dal progressivo indebolimento delle politiche di welfare.

Sulla base delle tendenze attuali, lo scenario più probabile per il futuro dell’Africa nel 2024 è quello di un suo graduale allontanamento dall’area d’influenza occidentale. Negli ultimi due decenni, il focus delle esportazioni africane, particolarmente dalla macroregione subsahariana, si è spostato in particolare verso Cina e India, con quote in significativo calo per Stati Uniti e Unione europea.

È evidente, comunque, che in considerazione degli effetti della crisi russo-ucraina e di quella israelo-palestinese, l’Occidente non si tirerà indietro da quello che ancora oggi viene definito dagli osservatori, in versione riveduta e corretta, “The Great scramble for Africa” (“La Grande corsa per l’Africa”). Per esempio Bruxelles ha consentito ai 33 Paesi africani più poveri di godere di un accesso esente da dazi e quote al mercato dell’Unione europea per tutti i prodotti, con la sola eccezione del materiale bellico (armi e munizioni). In aggiunta, per contrastare la crescente influenza cinese della Belt and Road Initiative (nota come “Via della Seta”), dal valore di un trilione di dollari e che intende rispondere ai bisogni strategici di Pechino, l’Unione europea ha lanciato il proprio piano strategico per gli investimenti nelle infrastrutture, salute e cambiamenti climatici denominato Global Gateway. La metà dell’importo promesso da Bruxelles (150 miliardi di euro) è stata destinata al continente africano.

Una cosa è certa: la transizione energetica verde e la trasformazione digitale a cui tutti i grandi player internazionali ambiscono pongono l’Africa subsahariana come punto focale per ogni genere di partenariato. Infatti le immense ricchezze del sottosuolo — dal cobalto al rutilio; dal rame agli idrocarburi (petrolio e gas); dai giacimenti di oro, diamanti, uranio, cassiterite (da cui si ottiene lo stagno), a quelli di manganese, piombo, e zinco — hanno scatenato una competizione senza precedenti. Considerando che nell’attuale congiuntura internazionale il multilateralismo vacilla e il commercio globale risente dei diversi e contrapposti allineamenti dei principali attori, non c’è da farsi grandi illusioni sulla crescita del Pil africano nel 2024. Stando ai dati della Banca mondiale, nel 2023 il Pil della macroregione subsahariana è aumentato del 2,5 per cento, in calo rispetto all’aumento del 3,6 per cento registrato l’anno precedente. È previsto un rimbalzo quest’anno e poi nel 2025, con incrementi rispettivamente del 3,7 e del 4,1 per cento.

A trainare la tendenza al ribasso sono state nel 2023 le maggiori economie del continente. Il Sud Africa, ad esempio, dove imperversa una crisi del settore dell’energia che non conosce precedenti, la crescita prevista per l’anno che si è appena concluso è dello 0,5 contro il +1,9 per cento del 2022. In Nigeria e Angola, principali produttori africani di petrolio, si prevede un calo rispettivamente dal 3,3 al 2,9 per cento e dal 3 all’1,9 per cento.

Non può essere poi sottovalutata l’impennata dei tassi d’interesse a livello globale che nel 2023 ha reso sempre più difficile la ricerca di fonti di finanziamento alternative per molti Paesi che hanno fatto di tutto per testare i limiti della capacità dei propri mercati nazionali per ovviare alla scarsità di fondi internazionali.

Un altro tema scottante è quello del debito pubblico africano che nel 2023 ha raggiunto i 1140 miliardi di dollari. Si tratta di un valore assoluto certamente inferiore a quello delle economie avanzate. È però una cifra debitoria elevata se raffrontata al valore complessivo del Pil africano che è di 3,1 trilioni di dollari. Per avere un confronto, basti pensare che quello dell’Unione europea è di 16 trilioni e mezzo. Nei circoli finanziari si parla spesso di ristrutturazione del debito, anche se poi tutti sanno che alla prova dei fatti questo servirebbe a dilazionare il problema, non a risolverlo. Secondo l’agenzia di rating Fitch, il Ghana e lo Zambia potrebbero uscire dal default sul loro debito in valuta estera nel 2024, anche se, in entrambi i casi, i rischi rimangono. Per quanto concerne l’Etiopia, invece, Fitch ha annunciato in questi giorni il declassamento del debito valutario internazionale da “C”, cioè dalla categoria speculativa, a “default parziale”, in seguito al mancato pagamento, l’11 dicembre scorso, di una cedola di 33 milioni di dollari. Il governo di Addis Abeba sta attualmente negoziando un piano di aiuti con il Fondo monetario internazionale, ma deve prima raggiungere un accordo con la maggior parte dei creditori.

Fitch ipotizza che la crescita globale nel 2024 sarà più debole rispetto all’anno precedente, anche a causa del rallentamento della Cina. Anche se si prevede che la Federal Reserve statunitense e la Banca centrale europea inizieranno a tagliare i tassi nel 2024, pare certo che rimarranno elevati rispetto agli anni precedenti la pandemia da covid-19. Ciò implica, sempre secondo l’agenzia di rating, che le condizioni di finanziamento del mercato per i titoli sovrani dell’Africa subsahariana rimarranno costose e fortemente vincolate. Per i Paesi sovrani che si troveranno a richiedere liquidità esterna, ciò potrebbe portare — e questo pare già scontato — a una pressione sui tassi di cambio che si ripercuoterebbe sull’inflazione rendendo il debito pubblico più oneroso.

In conclusione, il futuro dell’Africa si presenta ricco di incognite. È comunque fondamentale il superamento delle numerose situazioni di conflittualità, alimentate dal diffondersi del jihadismo, dalla fascia saheliana fino al Mozambico. Un altro elemento determinante sarà la capacità degli Stati di migliorare la qualità della vita nelle aree rurali. La fuga dalle campagne verso le metropoli sempre più estese e caotiche a causa della mancanza di servizi, dei cambiamenti climatici e talvolta del land grabbing (accaparramento di terre) a opera di spregiudicate multinazionali, sono tutti fattori sui quali i governi africani sono chiamati ad intervenire. La partita geopolitica sul continente africano è dunque molto complessa, con esiti difficilmente prevedibili, ma comunque fortemente condizionati dallo scenario internazionale.

di Giulio Albanese