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Musica italiana e spiritualità

Ricerca di senso

 Ricerca di senso  QUO-003
04 gennaio 2024

La religiosità si sta destrutturando in un’epoca segnata dallo smarrimento, colpa di epidemie e di guerre che tolgono pace ai nostri giorni. La musica d’autore lo certifica, riappropriandosi del suo ruolo sociale e cioè di evidenziare le contraddizioni del nostro tempo. La musica non è solo veicolo di piacere, ma può aiutare a comprendere e giudicare la realtà che sembra aver messo da parte Dio. Riguardo la spiritualità nella musica, non serve chiarire se un artista è più o meno cattolico, credente praticante, ateo o devoto. Mai nessun artista lo dirà a chiare lettere. Nelle canzoni non troveremo conferme ai dogmi di fede, piuttosto la temerarietà di chi vuole approfondire il Mistero a modo suo e quel desiderio di eternità che non si spegne, malgrado il nichilismo imperante.

Puoi di Fulminacci, dal nuovo disco Infinito +1, cantato in coppia con i Pinguini Tattici Nucleari, rappresenta la gioventù di oggi che non si sente guardata con la stima necessaria: «È un po’ il problema della mia età / Rigori che si negano al Var / Esiste un dio, ma fa la rockstar / Suona e poi va, ignora i suoi fan». Manchiamo di qualcuno che ci guardi con misericordia, che ci assicuri che ne è valsa la pena essere nati. Lo canta Ligabue, nel suo ultimo disco Dedicato a noi rileva il bisogno d’essere intercettati da Qualcuno. Lo dice in Chissà se Dio si sente solo: «Qui sotto la paura rende soli più che mai / Chissà se Dio si sente solo / Se gli bastiamo / Se gli manchiamo / Paura di essere visti / E di non essere visti mai». Anime perse nella stessa paura che diventano un verso del brano d’apertura dell’album di Motta, La musica è finita. Nel disco, tra i migliori pubblicati in Italia negli ultimi anni, il cantante toscano scrive di una compagnia in cui trovare protezione: «È grazie a te che poi ho capito che in fondo c’era del buono / Nella mia rabbia e nel confondere l’amore e l’abbandono».

L’apocalittica title track certifica che la vita è stata privata del suo carattere sacro: «Nell’era desacralizzata non serve più pregare/ Gesù è senza via di uscita/ Cammina solo sopra il mare». In un mondo che rifiuta Gesù facendo finta che tutto va bene, l’angoscia spaventa e mette a dura prova. Il testo è stato scritto da Francesco Bianconi, autore sopraffino e ossessionato dalla questione di Dio. Lo dimostra con i Baustelle e nel curriculum da solista. L’album Elvis presenta canzoni in cui si certifica la separazione tra Dio e gli uomini. Brani come Milano è la metafora dell’amore, Betabloccanti cimiteriali blues e Il regno dei cieli cercano una spiritualità decontestualizzata da ogni forma di religione organizzata. L’album si fonda su contrasti tra l’umano e il divino, sulla vergogna di non essere felici, sulla finitudine, tra vizi che conseguono un’etica desueta e una rinascita repentina. Un uomo che risorge è il tema della canzone Cuore: «Cuore dentro un buco, sulla strada, in hotel / Nella casa, sulla croce, ti avevo abbandonato / Ti ho riconosciuto e oggi ritorni da me / Tutte queste cose finalmente, crescendo, so».

In La nostra vita i Baustelle raggiungono il picco più alto della ricerca: «Che cosa abbiamo a cena, amore / Che vento ci sorprenderà? / Che ipotesi di cambiamento segnerà la croce del nostro dolore? / In fondo sono solo un uomo / Perduto nell’oscurità/ Continuo a chiedere perdono e poi chissà / Da quale Cristo arriverà / Fine dell’estate della nostra vita/ Sembrano rimaste solo sigarette spente/ E un gigantesco niente».

Nelle canzoni dei cantautori si cerca una ragione al dolore, un orizzonte di senso da raggiungere, ma nessuno indica la meta. Non ci sono maestri da seguire. L’umanità descritta in musica comunque non cede all’angoscia. La troviamo ferita e non sconfitta in L’uomo buono che muore di Giovanni Truppi, dall’album Infinite possibilità per essere finiti. Qui un verso: «E gli altri uomini si vergognano di tutte le volte che sono feroci / Cinici, stronzi, arroganti e cattivi, avidi, falsi, egoisti e sleali / Tornano a casa e piangono soli dietro le porte degli sgabuzzini / Restano al buio e guardano fuori / E nella notte si sentono i cori delle loro domande e dei loro pensieri / Che per una notte ritornano puri». Truppi che compare nei dischi di Fulminacci e di Motta. Sensibilità accomunate dallo stesso desiderio di trovare quella benedetta voglia di felicità nelle lande solitarie delle nostre vite.

I dischi scelti e qui elencati indicano le conseguenze dell’assenza di Dio sulla terra. Ricordano La strada, il celebre racconto di Cormac McCarthy. In un mondo distrutto e senza un futuro, l’uomo fatica a realizzare il bene. Confuso e lontano dal Signore, non trova più un significato all’esistenza. Ed una sola cosa la rende nobile e interessante: i rapporti con le altre persone. Il valore della fraternità e la resistenza al male sono rappresentati da due canzoni di Capossela, Il tempo dei regali e Con i tasti che ci abbiamo, dall’album Tredici canzoni urgenti. In un universo sbagliato in cui gli uomini si autodistruggono, specie in All can you eat e La cattiva educazione, Vinicio decanta l’azione della grazia citando Anthem di Leonard Cohen: «Il tempo dei regali troverà il modo di creparci ancora il cuor / È solo la crepa che libera la luce / Solo con la crepa la grazia ci ricuce / E se tutto è stato un regalo / Quel che conta è solo regalar». La musica è come uno stoppino fumigante che non si spegne in mezzo alle tenebre (Matteo 12,20). In ogni circostanza, bisogna fare di un limite una possibilità e affrontare senza paura l’esistenza che ci è stata donata. E la musica buona che gira intorno ci aiuterà.

di Massimo Granieri