· Città del Vaticano ·

Con la memoria alle ore del pellegrinaggio di Paolo vi in Terra Santa

Il primo dopo san Pietro

 Il primo  dopo san Pietro  QUO-002
03 gennaio 2024

Fin dalle prime ore della mattina una folla mai vista si era accalcata alla Porta di Damasco e lungo il Cardo Maximus che attraversa Gerusalemme da sud a nord, e poi lungo la Via Dolorosa. L’attesa aveva d’altronde un buon motivo: dopo quasi due millenni, quel 4 gennaio 1964, un Papa, il primo dopo san Pietro, tornava a Gerusalemme. Lì, dove tutto era iniziato. Un viaggio, quello di san Paolo vi , che ha segnato la storia della Chiesa e del quale ricorrono i 60 anni. Un ritorno alle origini del cristianesimo che si inseriva in quel più generale richiamo alle radici della storia della Chiesa che negli stessi mesi stava animando il Concilio Vaticano ii . Lo si potrebbe quasi definire una tappa della storica assise conciliare, ma fu anche una svolta decisiva nel rapporto tra le diverse confessioni cristiane, attraverso lo storico incontro tra Montini e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Athenagoras. Un incontro, anch’esso, in linea con l’impronta ecumenica del Concilio, che porterà il 7 dicembre dell’anno successivo alla consegna in Vaticano al metropolita Melitone, rappresentante del patriarca Athenagoras, della bolla di cancellazione ufficiale delle reciproche scomuniche.

Nel salone della Delegazione apostolica, qui a Gerusalemme, sul Monte degli Ulivi, campeggia oggi un grande ritratto di quello storico momento: il salone è chiamato per questo “Sala dell’incontro” (fra l’altro lì, nel maggio 2014, si sono incontrati Papa Francesco e il patriarca ecumenico Bartolomeo).

Il giorno successivo all’incontro presso la Delegazione apostolica, Papa Montini restituì la cortesia di Athenagoras andandolo a visitare nel monastero ortodosso Viri Galilaei, che si trova di fronte al luogo dell’Ascensione di Gesù. Paolo vi era arrivato in Terra Santa il 4 gennaio atterrando ad Amman, accolto da Re Hussein di Giordania. Tre anni più tardi la “Guerra dei sei giorni” avrebbe cambiato i connotati della geografia politica della regione ma all’epoca la Terra Santa, e con essa la Città Vecchia di Gerusalemme, insistevano nella giurisdizione del Regno di Giordania. Il confine tra Giordania e Israele correva grosso modo dove oggi si apre la Porta Nuova, anche detta Porta Francescana perché prospiciente il Convento di San Salvatore, sede della Custodia di Terra Santa. Da Amman il Pontefice era giunto a Gerusalemme attraversando il Giordano e sostando a Betania nella casa di Lazzaro, Marta e Maria. Il percorso che dalla Via Dolorosa conduce alla Basilica del Santo Sepolcro, poche centinaia di metri — ricordano le cronache di quei giorni —, richiese quasi due ore, tanta era la gente che si accalcava lungo la strada per vedere il Papa.

Entrato nell’edicola che protegge la Tomba di Gesù, Paolo vi pronunciò una straordinaria preghiera che per la sua profonda intensità spirituale («torniamo come gli omicidi tornano nel luogo del delitto») è rimasta negli annali. Una preghiera che esprimeva appieno il carattere innanzitutto penitenziale che Montini aveva voluto attribuire all’intero viaggio-pellegrinaggio. Nello stesso 5 gennaio dell’incontro con Athenagoras il Pontefice volle varcare il confine ed entrare in Israele. All’epoca la Santa Sede non riconosceva ancora lo Stato israeliano, perciò l’incontro con il presidente Zalman Shazar avvenne non nella capitale Tel Aviv ma sul colle di Meghiddo. «Da questa terra unica al mondo per la grandezza degli eventi di cui è stata teatro — disse il Pontefice in quell’occasione — la nostra umile preghiera si rivolge a Dio per tutti gli uomini, credenti e non credenti, e in essa includiamo volentieri i figli del “popolo dell’Alleanza”, il cui ruolo nella storia religiosa dell’umanità non possiamo dimenticare».

Una volta tornato da Israele a Gerusalemme, Papa Montini espresse parole molto ferme in difesa di Pio xii e del suo ruolo durante la persecuzione degli ebrei: «Tutti sanno cosa fece per la difesa e la salvezza di quelli che erano in difficoltà, senza alcuna distinzione. Eppure, come sapete, vollero gettare sospetti e persino accuse contro la memoria di questo grande pontefice. Lo sapevano bene anche coloro che, all’indomani della fine della guerra, sono venuti con le lacrime agli occhi a ringraziarlo per avergli salvato la vita».

Il viaggio, pur nella sua brevità, ebbe un programma intensissimo che condusse il Papa a visitare anche la Galilea, fermandosi a Nazaret, a Tabga, al Monte delle Beatitudini, a Cafarnao e sul Monte Tabor. A Nazaret consacrò la nuova basilica dell’Annunciazione, poi ultimata e santificata nel 1969. Anche qui pronunciò un memorabile discorso: «La casa di Nazaret è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara a osservare, ascoltare, meditare, penetrare il significato così profondo e misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Qui tutto ha una voce, un significato [...]. Oh! Come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth!». L’ultimo giorno della sua permanenza in Terra Santa, il 6 gennaio, solennità dell’Epifania del Signore, Paolo vi lo trascorse a Betlemme dove celebrò la messa nella Grotta della Natività. Qui, nella città nativa di Gesù, il Papa decise di lasciare un segno permanente della caritas cristiana nel nome di Gesù Bambino: la costruzione del collegio “Effetà” per bambini sordomuti. Ancora oggi la struttura, che si trova nel sobborgo di Beit Jala ed è gestita dalle suore dorotee, si prende cura ogni anno di circa duecento bambini audiolesi e costituisce un’eccellenza educativa e terapeutica. Lo stesso 6 gennaio il Pontefice fece ritorno a Roma, ripartendo da Amman.

Fu un viaggio di soli tre giorni ma che ha costituito un passaggio decisivo nella storia della Chiesa, come lo stesso Pontefice ebbe poi a rilevare al suo ritorno: «Il mio viaggio non è stato solo un fatto singolare o spirituale, ma è diventato un avvenimento che può avere grande importanza storica […] È forse l’inizio di nuovi eventi che possono essere grandi e benefici per la Chiesa e per l’umanità tutta». La sera stessa del rientro convocò in Vaticano i cardinali sottolineando come i due capisaldi del viaggio su cui lavorare in futuro fossero stati la tensione all’unità dei cristiani e l’invocazione alla pace tra i popoli. Un lavoro che dopo 60 anni ancora continua.

da Gerusalemme
Roberto Cetera