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Hic sunt leones
L’AI può contribuire allo sviluppo del continente ma non mancano le perplessità

L’Africa e la sfida dell’intelligenza artificiale

 L’Africa e la sfida  dell’intelligenza artificiale  QUO-297
29 dicembre 2023

Il tema dell’intelligenza artificiale sta suscitando grande interesse in Africa. A questo proposito è utile leggere un recente articolo pubblicato il 23 giugno scorso sul sito dell’Università delle Nazioni Unite (Unu). Innanzitutto chiariamo l’identità della fonte. Si tratta di un think tank globale con sede in Giappone. La missione della Unu è quella di contribuire, attraverso la ricerca collaborativa e l’istruzione, agli sforzi per risolvere i pressanti problemi globali della sopravvivenza umana, dello sviluppo e del benessere dei popoli. Secondo le informazioni raccolte dall’Institute for Natural Resources in Africa dell’Unu si prevede che «entro il 2030 l’intelligenza artificiale contribuirà con l’incredibile cifra di 15,7 trilioni di dollari al Pil globale, di cui 6,6 trilioni di dollari provenienti dall’aumento della produttività e 9,1 trilioni di dollari dagli effetti sui consumi».

Da questo punto di vista, sempre secondo la stessa fonte, «l’intelligenza artificiale ha il potenziale per cambiare radicalmente il modo in cui operano le aziende, promuovere l’innovazione e migliorare la vita di milioni di persone in tutta l’Africa. Alcuni dei settori chiave che potrebbero trarre vantaggio dall’intelligenza artificiale includono sanità, agricoltura, istruzione e finanza. Esistono già numerose applicazioni dell’intelligenza artificiale in Africa, in particolare nei settori della salute, dell’approvvigionamento idrico, delle previsioni sull’energia pulita, delle previsioni sui cambiamenti climatici, dell’economia e della finanza, nonché della governance».

Naturalmente, tutto quello che viene detto oggi non può essere preso come oro colato nella consapevolezza, come scrive Papa Francesco nel suo Messaggio per la 57ª Giornata mondiale della pace, sul tema “Intelligenza artificiale e pace”che si celebra, com’è noto, il prossimo 1° gennaio: «Non tutto può essere pronosticato, non tutto può essere calcolato; alla fine “la realtà è superiore all’idea” e, per quanto prodigiosa possa essere la nostra capacità di calcolo, ci sarà sempre un residuo inaccessibile che sfugge a qualsiasi tentativo di misurazione. Inoltre, la grande quantità di dati analizzati dalle intelligenze artificiali non è di per sé garanzia di imparzialità. Quando gli algoritmi estrapolano informazioni, corrono sempre il rischio di distorcerle, replicando le ingiustizie e i pregiudizi degli ambienti in cui esse hanno origine. Più diventano veloci e complessi, più è difficile comprendere perché abbiano prodotto un determinato risultato».

Tenendo presenti queste sagge considerazioni sotto il segno dell’invito alla prudenza e al discernimento, occorre comunque tenere presente che il dibattito è aperto e a tutto campo. Nel corso di una conferenza sul tema “Nature Speaks: Artificial Intelligence and Growth”, presso l’Università del Ghana il 25 maggio scorso, il professor Tshilidzi Marwala, rettore dell’Unu ed ex vice-rettore dell’università di Johannesburg, ha condiviso approfondimenti su come l'intelligenza artificiale può contribuire al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile in Africa. Secondo lo studioso, «l’adozione dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie correlate in Africa potrebbe avere il potenziale di un impatto significativo sul raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) delle Nazioni Unite. Stimolando la crescita economica, migliorando l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria di qualità e promuovendo l’agricoltura sostenibile, l’intelligenza artificiale può svolgere un ruolo cruciale nell’affrontare alcune delle sfide più urgenti del continente».

Il professor Marwala ha spiegato, ad esempio, che durante la pandemia da covid-19 l’intelligenza artificiale è stata utilizzata per pronosticare i picchi dell’emergenza sanitaria. All’università di Johannesburg, gli scienziati sono stati in grado di prevedere la prima ondata pandemica in Sud Africa, prima che si diffondesse ampiamente in tutto il resto del Paese. L’intelligenza artificiale consente di fare previsioni sulla base di dati limitati. Pertanto, l’intelligenza artificiale, se utilizzata in modo congruo, può svolgere un ruolo fondamentale nel miglioramento della salute e del benessere globali verso il raggiungimento dell’Sdg3.

Com’è noto, anche la climatologia può utilizzare l’intelligenza artificiale per supportare le previsioni meteorologiche. Ciò può essere utile per prevedere i livelli dell’acqua e i rischi di inondazioni, come anche, di converso, il pericolo di siccità e desertificazione. Rilevare inondazioni e siccità è particolarmente importante per la pianificazione agricola. Previsioni accurate possono supportare misure di adattamento e aiutare le autorità locali a pianificare gli interventi per ridurre al minimo gli impatti negativi. Per un continente le cui economie sono fortemente condizionate dal cosiddetto global warming, l’applicazione dell’ intelligenza artificiale può giocare un ruolo davvero strategico. Sempre secondo il professor Marwala, i governi africani necessitano di previsioni accurate per pianificare le scelte di governance. In questo senso, un’area applicativa che secondo lo studioso potrebbe rivelarsi importante è quella delle previsioni dei conflitti basate sul rischio e su altre variabili.

Questa intelligence, se debitamente usata, potrebbe indurre all’adozione di misure per prevenirne o minimizzarne la diffusione e i danni dei conflitti. Inoltre, l’intelligenza artificiale potrebbe facilitare le attività commerciali e il trasferimento di tecnologie ad esempio nell’ambito dell’African Continental Free Trade Area (AfCFTA), il mercato di libero scambio africano.

Detto questo, il professor Marwala è comunque consapevole delle difficoltà che con le quali deve confrontarsi l’Africa nel suo complesso: dalla mancanza di competenze tecniche pertinenti, alla inadeguatezza delle infrastrutture di base e digitali; dal deficit di investimenti nella ricerca e sviluppo alla necessità di sistemi normativi più flessibili e dinamici. Il vero problema è che tutto il know-how è d’importazione motivo per cui, ad esempio, i programmi di intelligenza artificiale come ChatGpt, almeno per ora, non conoscono le lingue africane e questo in prospettiva potrebbe emarginare una quota non indifferente della popolazione africana che non parla le lingue occidentali. In Sud Africa, Paese membro del cartello delle potenze emergenti, meglio note con l’acronimo Brics, è nata una startup denominata “Lelapa Ai” che ha progettato “Vulavula”, che significa “parlare” in lingua xitsonga. Si tratta di un’intelligenza artificiale in grado di convertire la voce in testo e rilevare nomi di persone e luoghi nei vari idiomi africani.

È evidente che i dubbi e le perplessità, come peraltro è già avvenuto nei paesi occidentali, sono molti. John Okello, studente di ingegneria informatica a Nairobi, in Kenya, pur valutando positivamente le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale, è molto preoccupato per le ripercussioni sul mercato del lavoro, dal punto di vista occupazionale: «Come studioso di questa materia — dice — sono pienamente consapevole che vi sia un consenso generale sul fatto che sarà impossibile invertire il trend perché l’intelligenza artificiale con l’automazione del settore manifatturiero, molto importante per noi qui in Africa, farà risparmiare le aziende. Ma io mi domando: a che prezzo? Qui da noi la disoccupazione è già un problema e l’intelligenza artificiale rischia di acuirlo notevolmente».

Volendo, dunque tentare di tirare delle conclusioni, è giusto sottolineare quanto ha scritto Papa Francesco nel suo Messaggio per la 57ª Giornata mondiale della pace. Innanzitutto, il fatto che «gli sviluppi tecnologici che non portano a un miglioramento della qualità di vita di tutta l’umanità, ma al contrario aggravano le disuguaglianze e i conflitti, non potranno mai essere considerati vero progresso». Dunque se da una parte è corretto, come afferma il Papa, «parlare al plurale di “forme di intelligenza” può aiutare a sottolineare soprattutto il divario incolmabile che esiste tra questi sistemi, per quanto sorprendenti e potenti, e la persona umana: essi sono, in ultima analisi, “frammentari”, nel senso che possono solo imitare o riprodurre alcune funzioni dell’intelligenza umana». Dall’altra, come il Pontefice sottolinea, «il loro impatto, al di là della tecnologia di base, dipende non solo dalla progettazione, ma anche dagli obiettivi e dagli interessi di chi li possiede e di chi li sviluppa, nonché dalle situazioni in cui vengono impiegati». Motivo per cui il rischio più grande che corre l’Africa è d’essere ostaggio, attraverso l’intelligenza artificiale, di poteri, più o meno occulti, capaci di condizionarne le scelte a proprio vantaggio. Pertanto il Papa ha perfettamente ragione quando esorta «la comunità delle nazioni a lavorare unita al fine di adottare un trattato internazionale vincolante, che regoli lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale nelle sue molteplici forme. L’obiettivo della regolamentazione, naturalmente, non dovrebbe essere solo la prevenzione delle cattive pratiche, ma anche l’incoraggiamento delle buone pratiche, stimolando approcci nuovi e creativi e facilitando iniziative personali e collettive».

di Giulio Albanese