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Hic sunt leones
La Repubblica Democratica del Congo è ricca di risorse, ma oggetto di grave sfruttamento

«Un diamante del Creato»

 «Un diamante del Creato»   QUO-293
22 dicembre 2023

Per comprendere lo stato di salute di un Paese africano è sufficiente dare un’occhiata ai suoi indicatori. Emblematico è il caso della Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire). È il primo della macroregione subsahariana per estensione con 2.345.000 km quadrati ed è il secondo a livello continentale dopo l’Algeria, in altre parole ha una superficie grande all’incirca quanto l’Europa occidentale. La sua popolazione è di oltre 110 milioni di abitanti di cui la metà sotto i 19 anni. Infatti è il terzo al mondo come fertilità (sei figli per donna). È il primo al mondo per riserve di cobalto, componente chiave nella produzione di batterie agli ioni di litio per le auto elettriche, per i dispositivi elettronici e per tante tecnologie legate alla transizione energetica.

Questo Paese detiene anche il primato nell’estrazione del coltan (detto anche rutilio), disponendo del 70 per cento delle riserve planetarie. Si tratta di una lega naturale di columbite e tantalite. La prima si usa nell’industria metallurgica per la preparazione di leghe metalliche con elevato punto di fusione e nella preparazione dei materiali superconduttori a bassa temperatura critica. Per quanto riguarda invece la tantalite, essa viene adoperata sotto forma di polvere metallica nell’industria elettronica e dei semiconduttori per la produzione di condensatori ad alta capacità e dimensioni ridotte, che sono largamente usati nella realizzazione di cellulari e computer.

Come se non bastasse, la Repubblica Democratica del Congo è il primo produttore africano di rame e il terzo a livello mondiale dopo Perú e Cile. Dispone inoltre di idrocarburi (petrolio e gas), giacimenti di oro, diamanti, uranio, cassiterite (da cui si ottiene lo stagno), manganese, piombo, zinco e quant’altro. Ma attenzione, non è tutto! Questo Paese possiede anche la seconda foresta pluviale al mondo, dopo quella brasiliana, vasti terreni coltivabili ed è straordinariamente ricco di risorse idriche. Un recente studio ha dimostrato che questo Paese non sfrutta 51 degli 80 milioni di ettari coltivabili. Non solo: si stima che abbia 24 trilioni di dollari di risorse minerarie da sfruttare.

Con questo capitale di risorse umane e naturali, la Repubblica Democratica del Congo dovrebbe essere un Paese benestante, mentre invece il suo Prodotto interno lordo (Pil) procapite è il quinto più basso al mondo. Significativo è il giudizio della Banca mondiale (Bm), riportato in un recente rapporto, che osserva come la maggior parte della popolazione in questo grande Paese africano non abbia accesso a questa ricchezza: «Una lunga storia di conflitti, sconvolgimenti politici, instabilità e governi autoritari hanno portato a una grave crisi umanitaria tuttora in corso. Inoltre, si sono verificati spostamenti forzati di popolazioni. Queste caratteristiche non sono cambiate in modo significativo dalla fine delle guerre del Congo nel 2003. La Repubblica Democratica del Congo è tra le cinque nazioni più povere del mondo. Nel 2022, quasi il 62 per cento dei congolesi, circa 60 milioni di persone, viveva con meno di 2,15 dollari al giorno».

Dopo aver raggiunto il picco dell’8,9 per cento nel 2022, la crescita del Pil reale nella Repubblica Democratica del Congo dovrebbe raggiungere il 6,8 per cento quest’anno. Il settore minerario rimane il principale motore della crescita, anche se si prevede che la sua crescita (mentre scriviamo i dati ufficiali non sono ancora noti) rallenterà all’11,7 per cento quest’anno, rispetto al 22,6 per cento del 2022. La crescita nei settori non minerari (in particolare i servizi) è prevista al 4,2 per cento nel 2023, dal 2,7 per cento nel 2022. In un contesto di costi elevati delle importazioni e di una valuta in deprezzamento, l’inflazione sta aumentando a un ritmo alquanto rapido e dovrebbe raggiungere il 20,7 per cento (media del periodo) nel 2023, dal 9,2 per cento nel 2022. Sempre secondo la Banca mondiale, il disavanzo delle partite correnti dovrebbe rimanere elevato, al 4,7 per cento del Pil nel 2023, come conseguenza dell’aumento dei prezzi delle importazioni e al persistente deterioramento delle ragioni di scambio.

Nonostante una politica fiscale giudicata dagli analisti prudenziale, la persistente spesa per la sicurezza nazionale, unitamente a quella destinata per scopi elettorali hanno determinato, almeno in parte, un ampliamento del deficit fiscale nel 2023 (-1,3 per cento del Pil) in un contesto caratterizzato dall’indebolimento della performance delle entrate (circa 0,3 punti percentuali in meno rispetto al 2022). Le prospettive di crescita a medio termine vanno prese con il beneficio d’inventario, non foss’altro perché persistono notevoli vulnerabilità legate agli shock dei prezzi delle materie prime e alle interruzioni della cosiddetta catena di approvvigionamento. Si prevede che la crescita del Pil rallenterà gradualmente fino al 6,2 per cento entro il 2025. Gli effetti della guerra in Ucraina e della crisi israelo-palestinese, oltre all’aumento dei costi alimentari globali e all’aumento dei prezzi del petrolio, potrebbero esercitare il prossimo anno una pressione più forte sul deficit fiscale, sull’inflazione e sui consumi delle famiglie, esacerbando così la povertà e la disuguaglianza.

Come ha rilevato pertinentemente Giusy Baioni, giornalista investigativa, che da anni segue le vicende geopolitiche della Regione dei Grandi Laghi, uno dei principali problemi è quello del contrabbando e in termini generali il traffico illegale di risorse, «che da un lato sfrutta brutalmente il lavoro delle persone, spesso anche di minori, che non hanno altre prospettive lavorative, e dall’altro alimenta corruzione, guerriglia e malaffare». D’altronde, la Repubblica Democratica del Congo è uno di quei Paesi africani, stando ai all’Unctad, l’autorevole Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo sviluppo, dai quali vengono trafugati ogni anno miliardi di dollari, sotto forma di Flussi finanziari illeciti (Iff), vale a dire movimenti illegali di denaro e beni attraverso le frontiere che risultano, alla prova dei fatti, illegali nella fonte, nel trasferimento o nell’uso. Sebbene in questi ultimi anni siano stati registrati dei progressi, vincolando le imprese che importano minerali alla due diligence, ovvero al dovere di accertarsi dell’origine dei minerali utilizzati, grazie alle campagne di mobilitazione a livello internazionale portate avanti dalla società civile, il cammino è ancora lungo.

Negli Stati Uniti, ad esempio, sotto l’amministrazione Obama, è stata varata una legge — il Dodd-Frank Act — che prevede tra l’altro la tracciabilità dei minerali. Anche l’Unione europea (Ue) si è mobilitata approvando nel 2017 un regolamento che impone delle restrizioni all’importazione tra gli altri di cassiterite, coltan e oro provenienti da zone di conflitto come nel caso della Repubblica Democratica del Congo. Le autorità della Ue hanno concesso alle aziende importatrici quattro anni per adeguarsi alla normativa e finalmente il 1 gennaio 2021 il regolamento è entrato in vigore in tutta l’Unione europea. Questo in sostanza significa che qualora il minerale in questione provenga da una regione dove si registrano episodi di lotta armata (come, ad esempio nel caso della provincia congolese del Nord Kivu), l’importatore è tenuto a indicare miniera, luogo di lavorazione e l’avvenuto pagamento delle imposte. Chissà perché, nella lista dei minerali sottoposti a stretta vigilanza non risulta esserci il cobalto che spesso viene trafugato dal Congo illegalmente. Non è da escludere il sospetto che dietro le quinte vi sia lo zampino delle multinazionali automobilistiche che, com’è noto, stanno investendo capitali nella produzione di auto elettriche. Se a tutto ciò aggiungiamo gli interessi stranieri, quelli di potentati d’ogni genere, più o meno oscuri, legati allo sfruttamento delle immense risorse minerarie, è evidente che la sicurezza interna è messa a repentaglio. Papa Francesco, nel suo primo discorso pronunciato a Kinshasa il 31 gennaio scorso ha sottolineato che il territorio congolese è «un diamante del creato» invitando tanta umanità dolente a rialzarsi, a «riprendere tra le mani, come un diamante» la propria dignità. Pertanto è doveroso condividere l’esclamazione perentoria del Pontefice in quel frangente: «Giù le mani dall’Africa», in particolare dalla Repubblica Democratica del Congo.

di Giulio Albanese