Con quale posizione ci poniamo di fronte all’altro? È una domanda che, in diverse modalità il Papa ha posto spesso ricordando, con insistenza, che l’unica occasione in cui è lecito guardare una persona dall’alto in basso è quando la sia aiuta a sollevarsi. Questo monito lo ha rivolto anche ieri nel tradizionale discorso alla Curia per lo scambio degli auguri per Natale. Perché anche il Natale è un incontro, anzi per il cristiano è l’incontro decisivo con l’altro più importante: Dio che si fa uomo e ci viene incontro. Il “dove sei?” di Dio ad Adamo, il primo discorso diretto che troviamo nella Bibbia, ha a che fare proprio con questa domanda: qual è la nostra relazione con Dio? Dove e come siamo davanti a Lui? Stiamo di fronte a Dio in attesa, con animo aperto e libero, o ci nascondiamo perché abbiamo paura come Adamo? O, peggio ancora, siamo così presi da noi stessi, che trattiamo Dio distrattamente, con sufficienza, superficialmente, come un’altra cosa “da fare” insieme alle altre?
Nel suo discorso sul Natale il Papa ha messo in guardia dal rischio di stare «davanti all’altro nella posizione di chi pensa di sapere già tutto, di chi ha già interpretato le cose prima ancora di ascoltare» e invece ha invitato a stare in ginocchio in modo da aprirci «al mistero dell’altro, pronti a ricevere con umiltà quanto vorrà consegnarci». La postura che assumiamo di fronte all’altro uomo è la stessa che assumiamo nei confronti di Dio, questo in fondo è il messaggio del Vangelo che ci invita a vedere Cristo nell’altro fratello, nel prossimo. Come osserva il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer: «Il primo servizio che si deve rendere al prossimo è quello di ascoltarlo. Chi non sa ascoltare il fratello ben presto non saprà ascoltare Dio. Anche di fronte a Dio sarà sempre lui a parlare». Nei suoi Scritti il teologo ucciso per ordine di Hitler svolge un’acuta riflessione sul tema del mistero (che ripubblichiamo in parte in questa pagina) che illumina efficacemente il discorso del Santo Padre alla Curia il cui incipit è stato: «Il Mistero del Natale ridesta il nostro cuore allo stupore — parola chiave — di un annuncio inatteso».
Un discorso sul mistero quindi, senza il quale la vita stessa perde sapore: «Vivere senza mistero significa non saper niente del mistero della nostra stessa vita» scrive Bonhoeffer, «significa non dare importanza all’altro uomo e al mondo, significa restare in superficie». Al contrario non perdere il contatto con la dimensione del mistero permette all’uomo di conservare lo spirito dell’infanzia, infatti «I bambini hanno occhi così aperti e vigili, perché sanno di essere circondati dal mistero. Non si sono ancora perfettamente adattati a questo mondo, non sanno ancora ottenere il successo ed eludere i misteri, così come noi sappiamo fare. Noi distruggiamo il mistero, perché abbiamo il presentimento che qui incorreremmo in un limite del nostro essere, perché vogliamo disporre ed essere signori di tutto, e proprio questo non è possibile con il mistero. Il mistero ci crea disagio, perché noi non siamo a casa nostra in sua presenza». I bambini, ancora “disadattati” a questo mondo, sono l’esempio da seguire. Il Papa, che in passato aveva già usato questo aggettivo, ieri ne ha usato un altro, in un passaggio decisivo, “abituati”: «La fatica, oggi, è quella di trasmettere passione a chi l’ha già persa da un pezzo. A sessant’anni dal Concilio, ancora si dibatte sulla divisione tra “progressisti” e “conservatori”, ma questa non è la differenza: la vera mentre la differenza centrale è tra “innamorati” e “abituati”. Questa è la differenza. Solo chi ama può camminare». Noi vogliamo sentirci a casa, comodi e con tutto a disposizione, anche gli altri, per questo ci turba il mistero che ci invita all’esodo da noi stessi e quindi lo rimuoviamo dal nostro orizzonte. I bambini invece si aprono con stupore all’avventura di esplorare il mondo e sono sempre “innamorati”; proprio come i fidanzati che si dicono “ti amo” centinaia di volte, i bambini ripetono le loro domande all’infinito, realizzando il miracolo di non cadere mai nella palude dell’abitudine e della noia. Come acqua che zampilla dalla sorgente, essi restano nella stessa postura pur essendo sempre freschi, nuovi.
I bambini a modo loro sono mistici, secondo la definizione del gesuita Michel de Certeau citato dal Papa, per cui «è mistico colui o colei che non può fermare il cammino. [...] Il desiderio crea un eccesso. Eccede, passa e perde i luoghi. Fa andare più lontano, altrove». Il mistico invece di preoccuparsi di quale regola applicare, si apre all’eccedenza della vita con la lieta consapevolezza che, osserva Francesco, «il Mistero di Dio ci supera sempre e che la vita delle persone e la realtà che ci circonda sono e restano sempre superiori alle idee e alle teorie. La vita è superiore alle idee, sempre». Questa postura anti-ideologica di fronte alla vita, all’altro e al suo mistero è la postura dell’amore e quindi del coraggio, perché «ci vuole coraggio per camminare» dice il Papa, «per andare oltre. È questione di amore. Ci vuole coraggio per amare».
di Andrea Monda
Il mistero
L’assenza di mistero della nostra vita moderna è la nostra decadenza e la nostra povertà. Una vita umana ha tanto valore, per quanto rispetta il mistero. Nella venerazione del mistero, un uomo conserva qualcosa della sua infanzia. I bambini hanno occhi così aperti e vigili, perché sanno di essere circondati dal mistero. Non si sono ancora perfettamente adattati a questo mondo, non sanno ancora ottenere il successo ed eludere i misteri, così come noi sappiamo fare. Noi distruggiamo il mistero, perché abbiamo il presentimento che qui incorreremmo in un limite del nostro essere, perché vogliamo disporre ed essere signori di tutto, e proprio questo non è possibile con il mistero.
Il mistero ci crea disagio, perché noi non siamo a casa nostra in sua presenza, perché esso parla di un «essere a casa» che è diverso da quello che intendiamo noi. Vivere senza mistero significa non saper niente del mistero della nostra stessa vita, del mistero dell’uomo, del mistero del mondo, significa non dare importanza all’altro uomo e al mondo, significa restare in superficie. Significa prendere sul serio il mondo solo quel tanto che può essere gettato al calcolo e sfruttato, non risalire indietro rispetto al mondo del calcolo e dell’utilità. Vivere senza mistero significa non vedere assolutamente i fatti decisivi della vita o addirittura negarli. Non vogliamo sapere che le radici dell’albero stanno nell’oscurità della terra, che tutto quanto vive alla luce proviene dall’oscurità e dal mistero del grembo materno, che anche tutti i nostri pensieri, tutta la nostra vita spirituale, viene dal mistero di un’oscurità nascosta, così come la nostra vita e ogni vita. Non vogliamo sentire che il mistero è la radice di ogni cosa concepibile, chiara, evidente. E se lo sentiamo, vogliamo affrontare questo mistero, lo vogliamo ridurre alle nostre unità di misura e di spiegazione, lo vogliamo sezionare, e risulta che in questo modo uccidiamo la vita e non scopriamo il mistero. Il mistero resta mistero. Si sottrae alla nostra presa.
Ma ora mistero non significa semplicemente non sapere qualcosa. Non è la stella più lontana ad essere il più grande mistero, ma al contrario tanto più vicina ci è una cosa, tanto meglio sappiamo qualcosa, tanto più misterioso questo diventa per noi. Non è l’uomo più lontano ad essere per noi il mistero più grande, ma proprio il più vicino. E il suo mistero non diminuisce ai nostri occhi per il fatto che noi continuamente sappiamo qualcosa di lui, al contrario la sua vicinanza ce lo rende sempre più misterioso. Si ha la massima profondità di ogni mistero quando due persone giungono ad essere così vicine fra di loro da amarsi reciprocamente. In nessuna situazione del mondo l’uomo avverte come in questa la forza del mistero e il suo dominio. Quando due persone sanno tutto l’una dell’altra, il mistero della vita diventa fra di loro infinitamente grande. E solo in questo amore si comprendono reciprocamente, sanno tutto l’una dell’altra, si conoscono per intero. Eppure tanto più si amano e tanto più sanno l’una dell’altra nell’amore, tanto più profondamente si rendono conto del mistero della loro vita. Dunque il sapere non supera il mistero, ma lo approfondisce. Che l’altro mi sia così vicino, questo è il mistero più grande.
Dietrich Bonhoeffer
(Gli Scritti, Queriniana, Brescia 1979, 400-401)