· Città del Vaticano ·

Vi scrivo da Gaza

Case distrutte. Ci resta solo
la parrocchia

TOPSHOT - A boy walks among the rubble of buildings destroyed in Israeli strikes in Rafah in the ...
12 dicembre 2023

Sono passati più di due mesi dall’inizio della guerra. Qualche giorno fa abbiamo celebrato la memoria di Santa Barbara, la martire cristiana del iii secolo. Insieme con tutti i rifugiati ospitati nella parrocchia cattolica della Sacra Famiglia abbiamo preparato il dolce tradizionale che porta lo stesso nome della santa. Cerchiamo di vivere nella normalità, ma dal 7 ottobre, quando è iniziata la guerra, la nostra esistenza è stata stravolta. Basti pensare che se prima di questo conflitto, tutti i cristiani di Gaza erano 1017, ad oggi ne sono già morti 21. È una percentuale enorme, il 2 per cento della nostra comunità cristiana non c’è più.

Poi abbiamo visto le nostre case distrutte e devastate, e così purtroppo è accaduto anche alla mia. Molte abitazioni sono state depredate da ladri e sciacalli. Ora non abbiamo più nulla di nostro, tranne la chiesa della parrocchia, che è la nostra prima e ultima casa: la chiesa è la casa della pace e dell’amore.

Oggi non solo viviamo diversamente: anche il nostro modo di pensare e relazionarci agli altri è cambiato. La nostra vita si svolge come quella di un’unica famiglia — di circa 600 persone! — che abita insieme nella parrocchia, e in queste condizioni difficili dobbiamo essere uniti e pronti ad aiutarci a vicenda, come Gesù ha aiutato e servito i suoi discepoli.

Qui è una sofferenza continua per potersi permettere quotidianamente ogni piccola cosa: non c’è nulla a disposizione per un tempo continuativo, come cibo, acqua, grano per fare il pane e benzina per accendere il generatore. E questa normalità si inserisce nella “straordinarietà” di una guerra che è tutta intorno a noi, sopra di noi, dentro di noi: il forte rumore del fuoco incrociato ci spinge sempre a dover sopportare momenti spaventosi. Le bombe e i razzi nel nostro quartiere creano terrore, ansia e stress in tutti noi. Ecco perché anche nella nostra comunità cristiana c’è chi ha iniziato a pensare di emigrare in un altro Paese per provare ad avere una qualità di vita migliore.

La settimana scorsa, come tutti sapete, abbiamo avuto cinque giorni di cessate-il-fuoco, così molti di noi hanno avuto l’opportunità di uscire per andare a vedere come è diventata la città di Gaza. Alcune persone sono andate anche a controllare le loro case per prendere le cose più importanti come vestiti e coperte. Ho provato un sentimento di grande tristezza e delusione per non aver potuto visitare di nuovo la mia: la verità è che purtroppo non ho più un luogo dove stare.

Ma siamo nelle mani di Dio. La casa duratura che Dio ci ha lasciato è la Chiesa, dove impariamo la via del Paradiso.

di Suhail Abo Dawod