Case distrutte. Ci resta solo
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Sono passati più di due mesi dall’inizio della guerra. Qualche giorno fa abbiamo celebrato la memoria di Santa Barbara, la martire cristiana del iii secolo. Insieme con tutti i rifugiati ospitati nella parrocchia cattolica della Sacra Famiglia abbiamo preparato il dolce tradizionale che porta lo stesso nome della santa. Cerchiamo di vivere nella normalità, ma dal 7 ottobre, quando è iniziata la guerra, la nostra esistenza è stata stravolta. Basti pensare che se prima di questo conflitto, tutti i cristiani di Gaza erano 1017, ad oggi ne sono già morti 21. È una percentuale enorme, il 2 per cento della nostra comunità cristiana non c’è più.
Poi abbiamo visto le nostre case distrutte e devastate, e così purtroppo è accaduto anche alla mia. Molte abitazioni sono state depredate da ladri e sciacalli. Ora non abbiamo più nulla di nostro, tranne la chiesa della parrocchia, che è la nostra prima e ultima casa: la chiesa è la casa della pace e dell’amore.
Oggi non solo viviamo diversamente: anche il nostro modo di pensare e relazionarci agli altri è cambiato. La nostra vita si svolge come quella di un’unica famiglia — di circa 600 persone! — che abita insieme nella parrocchia, e in queste condizioni difficili dobbiamo essere uniti e pronti ad aiutarci a vicenda, come Gesù ha aiutato e servito i suoi discepoli.
Qui è una sofferenza continua per potersi permettere quotidianamente ogni piccola cosa: non c’è nulla a disposizione per un tempo continuativo, come cibo, acqua, grano per fare il pane e benzina per accendere il generatore. E questa normalità si inserisce nella “straordinarietà” di una guerra che è tutta intorno a noi, sopra di noi, dentro di noi: il forte rumore del fuoco incrociato ci spinge sempre a dover sopportare momenti spaventosi. Le bombe e i razzi nel nostro quartiere creano terrore, ansia e stress in tutti noi. Ecco perché anche nella nostra comunità cristiana c’è chi ha iniziato a pensare di emigrare in un altro Paese per provare ad avere una qualità di vita migliore.
La settimana scorsa, come tutti sapete, abbiamo avuto cinque giorni di cessate-il-fuoco, così molti di noi hanno avuto l’opportunità di uscire per andare a vedere come è diventata la città di Gaza. Alcune persone sono andate anche a controllare le loro case per prendere le cose più importanti come vestiti e coperte. Ho provato un sentimento di grande tristezza e delusione per non aver potuto visitare di nuovo la mia: la verità è che purtroppo non ho più un luogo dove stare.
Ma siamo nelle mani di Dio. La casa duratura che Dio ci ha lasciato è la Chiesa, dove impariamo la via del Paradiso.
di Suhail Abo Dawod