· Città del Vaticano ·

Il cardinale Filoni sulle Conferenze episcopali

Realtà moderne
al servizio della Chiesa

 Realtà moderne al servizio della Chiesa  QUO-282
09 dicembre 2023

Verrà presentato a Roma lunedì 11 dicembre un nuovo libro del cardinale Fernando Filoni, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, su un tema di stringente attualità in questo tempo sinodale dal titolo: Le Conferenze Episcopali. Un’istituzione moderna di comunione ecclesiale(Centro Editoriale Cattolico, 2023, pagine 216, euro 17).

Eminenza, quali sono le ragioni che l’hanno spinta a scrivere questo libro? E quali le questioni essenziali che pone all’attenzione del lettore?

Vede, fin da quando ero giovane prete, subito dopo il Concilio, le Conferenze episcopali avevano assunto, o meglio stavano assumendo, un ruolo sempre più importante, e questo mi incuriosiva molto, per cui cominciai a studiarne la natura, la struttura, la vita. Progredendo in questo studio mi si allargava l’orizzonte e mi si ponevano molti perché. La prima domanda era appunto perché erano sorte le conferenze episcopali. La loro prima comparsa risale agli anni ’30 dell’800 come amicalibes conventus episcoporum in relazione all’esigenza dei vescovi locali di confrontarsi intorno a tematiche pastorali ma anche nazionali. La nascita degli stati nazionali imponeva alle singole Chiese di rispondere alle nuove attese delle popolazioni. Nascevano dunque spontaneamente e non da una determinazione giuridica.

Le Conferenze episcopali hanno sviluppato poi negli anni una sempre maggiore rilevanza nell’interlocuzione con le società e le istituzioni locali. Per quanto il loro profilo riguardi principalmente le problematiche pastorali, in che modo esse si posizionano tra ministero petrino e autonomia episcopale?

La questione è in effetti molto interessante. Già nel Codice di diritto Canonico del 1917 la Chiesa aveva avvertito la necessità di prevederne l’esistenza. Le nuove esigenze che i tempi ponevano alle relazioni tra Chiese e vita civile, vita sociale, vita politica, richiedevano che le Conferenze si ponessero come elemento d’interlocuzione nella vita dei singoli paesi. Poi con il concilio Vaticano ii ci si rese conto che le Conferenze costituivano uno strumento quanto mai necessario ad attuare le attese del concilio stesso, per esempio nella scelta delle persone più idonee a rappresentarle nelle varie congregazioni e gruppi di confronto centrali ecclesiali. In effetti, le Conferenze episcopali sono nate in ragione di esigenze pastorali, però non si posizionano come un organismo intermedio tra il Papa e i vescovi, perché nel sistema della Chiesa i due poli di riferimento rimangono l’autorità del Papa, l’autorità petrina, e quella del singolo vescovo locale, che sono entrambe di diritto divino. Tutte le altre forme non si frappongono, bensì aiutano il Papa e i vescovi locali nella loro missione pastorale. Per un’esigenza non solo di coordinamento, ma anche di risposta alle attese del popolo di Dio. Dunque, uno strumento agile, efficace, che ha portato risultati eccellenti nel corso degli anni successivi al concilio, perché più immediate, più vicine, alle esigenze dei periodi storici. Quindi il magistero petrino ne beneficia perché lo rende più vicino alle realtà delle Chiese locali, e il magistero episcopale ne beneficia in termini di coordinamento e confronto.

Le esperienze di questi anni mostrano che le Conferenze episcopali manifestano profili, ruoli, funzionalità non sempre omogenei di Paese in Paese. È necessaria, a suo avviso, una maggiore definizione in tal senso?

Le Conferenze episcopali hanno avuto un lungo periodo, diciamo, di incubazione dopo il concilio, per capirne bene le funzioni e il ruolo. Ci sono stati molti studi di giuristi, teologi, ecclesiologi, vescovi, in due sinodi si è affrontato il problema, e i Papi stessi sono ripetutamente intervenuti verso un’ulteriore determinazione oltre quanto già definito dal Codice di Diritto Canonico. Penso ad esempio al Motu Proprio Apostolos Suos di san Giovanni Paolo ii . Un punto chiaro e indiscusso è che le Conferenze episcopali sono strutture pastorali, non hanno il compito di sostituirsi al Papa, né tantomeno ai vescovi, ma sono strutture al servizio delle due realtà. Solo per concessione espressa del Papa possono occasionalmente intervenire su questioni che vanno oltre l’autorità del singolo vescovo. In tal caso possono anche emanare delle leggi, ma il deliberato deve essere sottoposto alla Recognitio, cioè alla revisione, della Sede Apostolica. Nella comprensione che si tratta di interventi che non esautorano il singolo vescovo, piuttosto lo aiutano su materie particolarmente delicate o complesse.

Le Conferenze episcopali costituiscono l’istituzione ecclesiale più prossima alle istituzioni politiche di loro riferimento. Secondo lei questo può implicare anche una rivisitazione del ruolo delle funzioni vaticane a ciò tradizionalmente preposte?

Scrivo nel mio libro che dopo il concilio la Chiesa cammina come su un binario costituito da due realtà: il sinodo dei vescovi, a sostegno del ministero petrino, e l’altro binario sono le Conferenze episcopali, a sostegno del ministero del vescovo nella sua diocesi. Si è cioè determinata nella Chiesa una forma di collegialità, che non è giuridica, ma di ordine partecipativo alla vita della Chiesa. Scrivo anche che come in un globo polo nord e polo sud sono connessi da una rete di meridiani e paralleli, le Conferenze episcopali costituiscono una fitta ragnatela che esprime ai due poli la realtà viva della Chiesa ovunque diffusa. Che poi rispondono alla missione della Chiesa che è annunciare il Vangelo a tutte le genti.

di Roberto Cetera