· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-281
07 dicembre 2023

Venerdì 1

La legge è fatta
per l’uomo
e non l’uomo
per la legge

La ricorrenza della fondazione della Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendo è motivo di gratitudine per quanti, nel solco di questi anni, hanno profuso il proprio impegno di ricerca volto ad «approfondire e diffondere lo studio del diritto canonico e del diritto statale relativo alla Chiesa Cattolica e ad altre Chiese e comunità ecclesiali» (Statuto).

Tale Associazione ha avuto origine e si è sviluppata con la finalità di unire esperti del Diritto Canonico delle Università ecclesiastiche e civili da tante parti del mondo, nella promozione di una disciplina importante per la vita della Chiesa.

È quanto mai apprezzabile la sinergia che si è sviluppata tra diversi Atenei sparsi in varie Nazioni.

Al centro del Diritto canonico e del Diritto civile vi è la persona; la peculiarità nel Diritto canonico è la persona in quanto redenta in Cristo, come fedele nella Chiesa.

Attraverso le leggi, sia la Chiesa sia la Società civile si prefiggono di procurare il bene comune; tuttavia, esso nella Chiesa non è solo un ordine esterno che permette al singolo di adempiere i suoi obblighi e di esercitare i sui diritti, ma è espressione della presenza di Cristo.

Il fatto che si tratti del diritto della Chiesa-Popolo di Dio, vocato alla santità, richiede che voi abbiate sempre presente che la suprema lex, alla luce della quale dev’essere formulata, interpretata e applicata ogni legge ecclesiastica, è la salus animarum, che si va attuando ora, ma giungerà alla pienezza alla fine dei tempi.

Se vi manterrete in questo orizzonte troverete il modo da una parte di rimanere saldi a ciò che è alla base del Diritto canonico, la Rivelazione nella sua duplice espressione della Parola di Dio e della Tradizione viva, e dall’altra di applicare quanto Cristo vuole, attraverso la norma canonica, alla situazione concreta di ogni fedele, perché sia accompagnato ad accogliere la volontà di Dio.

Parafrasando una frase di Gesù, ricordate che la legge, canonica o civile, è fatta per l’uomo non l’uomo per la legge.

Il Popolo di Dio vive nella storia, quindi le sue forme di vita e organizzazione non possono essere immutabili.

La vostra arte del discernere consisterà nel saper tradurre il volere di Cristo per la Chiesa, che come tale deve rimanere nel tempo, in forme che favoriscano il compimento della missione ricevuta dal Fondatore: annunciare la salvezza a tutte le genti.

La sapienza che viene da Dio, accolta in preghiera e in ascolto degli altri, nel diligente insegnamento come pure presso i Tribunali e nelle Curie delle Diocesi dove prestate la vostra opera, vi guida per individuare cosa è essenziale, perché voluto da Cristo stesso e stabilito dagli Apostoli, nonché espresso dal Magistero, e ciò che invece è solo un insieme di forme esteriori, talvolta impedimento per una testimonianza che richiede maggiore semplicità.

Essenzialità
della fede

Tale essenzialità della fede è quella che ci è stata trasmessa dalle nostre madri, prime evangelizzatrici.

Perché non prenderla come punto di riferimento quale attitudine dello spirito da vivere nelle varie situazioni della vita ecclesiale?

Possiamo domandarci, alla luce degli eventi che stanno segnando la realtà odierna: “Se il Figlio dell’uomo venisse adesso, troverebbe la fede sulla terra?”.

Si può essere anche canonisti, ma nel modo di ragionare essere senza fede.

Tutte le dimensioni e strutture ecclesiali debbono operare una conversione pastorale e missionaria, per portare al mondo l’unica cosa di cui ha bisogno: la misericordia di Gesù.

Anche il Diritto canonico è investito di questo mandato che il Maestro ha dato alla Chiesa, quindi è necessario che sia più pastorale e missionario.

Farsi pastorale non significa che le norme vadano messe da parte e ci si orienti come si vuole, ma che nell’applicarle bisogna far sì che i Christifideles vi trovino la presenza di Gesù che non condanna.

Pertanto, anche quando va applicata una sanzione severa a chi avesse commesso un delitto molto grave, la Chiesa, che è madre, offrirà l’aiuto e il sostegno spirituale indispensabili perché nel pentimento possa incontrare il volto del Padre.

Di questo compito sono investiti tutti i battezzati, ma specialmente i Vescovi e i Superiori Maggiori.

La Chiesa missionaria evangelizza anche attraverso l’applicazione della norma canonica. Siate consapevoli di essere strumenti della giustizia di Dio, che è sempre indissolubilmente unita alla misericordia.

(Messaggio per il 50° anniversario
della fondazione della «Consociatio internationalis studio iuris canonici promovendo»)

Sabato 2

Il celibato
è al cuore
dell’identità
sacerdotale

Sono lieto di trasmettervi i calorosi pensieri che Sua Santità Papa Francesco formula per ognuno di voi nella preghiera. Egli rende grazie per la chiamata singolare che il Signore vi ha rivolto, e anche per la risposta coraggiosa che desiderate dare a questa chiamata.

È motivo di speranza e di gioia constatare che molti giovani — e meno giovani — osano ancora, con la generosità e l’audacia della fede, e nonostante i tempi difficili che le nostre Chiese e le nostre società occidentali secolarizzate stanno attraversando, impegnarsi nella sequela del Signore per il suo servizio e per quello dei propri fratelli e sorelle.

Grazie perché donate gioia e speranza alla Chiesa in Francia che vi attende e ha bisogno di voi... affinché siate ciò che il sacerdote deve essere, ciò che è sempre stato e che sarà sempre per volontà divina: partecipe «dell’autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo»; e questo mediante un’ineffabile configurazione a Cristo, Capo della sua Chiesa, che lo pone di fronte al Popolo di Dio per istruirlo con autorità, guidarlo con sicurezza e trasmettergli la grazia attraverso la celebrazione dei sacramenti.

Nel momento più alto, fonte e apice della vita della Chiesa e della sua vita personale, il sacerdote celebra la messa dove, rendendo presente il sacrificio di Cristo, si offre in unione con Lui sull’altare e vi depone l’offerta di tutto il Popolo di Dio e di ogni fedele.

Vi invito a radicare bene nella vostra anima queste verità fondamentali che saranno alla base della vostra vita e della vostra stessa identità.

E al cuore di questa identità, configurata al Signore Gesù, si trova il celibato.

Il sacerdote è celibe — e vuole esserlo — semplicemente perché Gesù lo era.

L’esigenza del celibato non è anzitutto teologica, ma mistica: «chi può capire, capisca!» (Mt 19, 12).

La figura
del prete
spesso distorta
in alcuni
ambienti

Si sentono molte cose sui sacerdoti oggi, la figura sacerdotale viene molto spesso distorta in alcuni ambienti, relativizzata, talvolta considerata subalterna. Non spaventatevi: nessuno ha il potere di cambiare la natura del sacerdozio e nessuno la cambierà mai, anche se le modalità del suo esercizio devono necessariamente tener conto delle evoluzioni della società attuale e della situazione di grave crisi vocazionale che stiamo vivendo.

E una di queste evoluzioni societali, relativamente nuova in Francia, è che l’istituzione ecclesiale, e con essa la figura del sacerdote, non viene più riconosciuta; ha perso agli occhi della maggior parte della gente ogni prestigio, ogni autorità naturale, e, purtroppo, è addirittura infangata.

Non bisogna contare su di essa per trovare ascolto presso le persone che incontriamo. L’unico modo possibile di procedere alla nuova evangelizzazione richiesta da Papa Francesco, affinché ognuno abbia un incontro personale con Cristo, è l’adozione di uno stile pastorale di vicinanza, compassione, umiltà, gratuità, pazienza, dolcezza, dono radicale di sé agli altri, semplicità e povertà.

Un sacerdote che conosca “l’odore delle pecore” e cammini con esse, al loro ritmo.

Così il sacerdote toccherà il cuore dei fedeli, conquisterà la loro fiducia e farà loro incontrare Cristo.

Ciò non è nuovo; innumerevoli santi sacerdoti hanno adottato questo stile in passato, ma oggi è diventato una necessità per evitare di non essere credibili né ascoltati.

Per vivere questa esigente, e talvolta dura, perfezione sacerdotale, e affrontare le sfide e le tentazioni che incontrerete sulla vostra strada, c’è, cari seminaristi, una sola soluzione: alimentare una relazione personale, forte, viva e autentica con Gesù.

Amate Gesù più di ogni altra cosa, che il suo amore vi basti, e uscirete vittoriosi da tutte le crisi, da tutte le difficoltà.

Perché se Gesù mi basta, non ho bisogno di grandi consolazioni nel ministero, né di grandi successi pastorali, né di sentirmi al centro di vaste reti relazionali; non ho bisogno di affetti disordinati, né di notorietà, né di avere grandi responsabilità, né di fare carriera, né di risplendere agli occhi del mondo, né di essere migliore degli altri; non ho bisogno di grandi beni materiali, né di godere delle seduzioni del mondo, né di sicurezze per il futuro.

Se, al contrario, soccombo a una di queste tentazioni o debolezze, è perché Gesù non mi basta e io vengo meno all’amore.

Quindi, abbiate sempre come prima preoccupazione rispondere a questa chiamata e rafforzare la vostra unione con Colui che si degna di fare di voi degli amici.

Egli è fedele e vi renderà felici. Non posso che raccomandarvi, come maestra di vita spirituale, santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo, in questo 150° anniversario della sua nascita, Dottore in scientia amoris di cui avete il privilegio di poter leggere l’ammirevole dottrina nella lingua d’origine.

Lei che “respira” costantemente il Nome di Gesù, il suo “unico amore”, vi guiderà sulla via della fiducia, vi sosterrà ogni giorno e vi farà restare in piedi sotto lo sguardo del Signore quando vi chiamerà a sé.

(Messaggio del Santo Padre a firma del Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin,
per l’incontro dei Seminaristi di Francia)

Domenica 3

Il senso
della vigilanza
cristiana

Oggi, prima domenica di Avvento, nel breve Vangelo che la liturgia propone (Mc 13, 33-37), Gesù rivolge ben tre volte un’esortazione semplice e diretta: «Vegliate».

Il tema è dunque la vigilanza. Come intenderla? A volte si pensa a questa virtù come a un atteggiamento motivato dalla paura di un castigo, come se un meteorite stesse per precipitare dal cielo e minacciasse, se non ci scansiamo, di travolgerci.

Ma non è certo questo il senso della vigilanza cristiana! Gesù lo illustra con una parabola, parlando di un padrone che tornerà e dei suoi servi che lo attendono.

Il servo nella Bibbia è la “persona di fiducia” del padrone, con il quale c’è spesso un rapporto di collaborazione e di affetto.

Pensiamo che servo di Dio è definito Mosè e che Maria dice di sé stessa: «Ecco la serva del Signore».

La vigilanza dei servi non è fatta di paura, ma di desiderio, nell’attesa di andare incontro al signore che viene.

Si tengono pronti al suo ritorno perché gli vogliono bene e hanno in animo di fargli trovare, quando arriverà, una casa accogliente e ordinata: sono contenti di rivederlo, ne aspettano il rientro come una festa.

È con questa attesa carica di affetto che vogliamo anche noi prepararci ad accogliere Gesù: nel Natale che celebreremo tra poche settimane; alla fine dei tempi, quando tornerà nella gloria; ogni giorno nell’Eucaristia, nella sua Parola, nei fratelli e nelle sorelle, specie nei bisognosi.

Allora in queste settimane, prepariamo con cura la casa del cuore, perché sia ordinata e ospitale.

Vigilare significa tenere pronto il cuore. È l’atteggiamento della sentinella, che nella notte non si lascia tentare dalla stanchezza, non si addormenta, ma rimane desta in attesa della luce che verrà.

Il Signore è la nostra luce ed è bello disporre il cuore ad accoglierlo con la preghiera e ad ospitarlo con la carità, i due preparativi che, per così dire, lo fanno stare a suo agio.

Si narra che san Martino di Tours, uomo di preghiera, dopo aver dato metà del suo mantello a un povero, abbia sognato Gesù rivestito proprio di quella parte di mantello che aveva donato.

Ecco un bel programma per l’Avvento: incontrare Gesù che viene in ogni fratello e sorella che ha bisogno di noi e condividere con loro ciò che possiamo: ascolto, tempo, aiuto concreto.

Ci fa bene chiederci come preparare un cuore accogliente per il Signore. Possiamo farlo accostandoci al suo Perdono, alla Parola, alla sua Mensa, trovando spazio per la preghiera, accogliendolo nei bisognosi.

Coltiviamo la sua attesa senza farci distrarre da tante cose inutili e senza lamentarci in continuazione, ma tenendo il cuore vigile, cioè desideroso di Lui, desto e pronto, impaziente di incontrarlo.

La Vergine Maria, donna dell’attesa, ci aiuti a ricevere il suo Figlio che viene.

(Angelus da Casa Santa Marta - meditazione letta da monsignor Braida)

Mercoledì 6

Audaci
nello Spirito
per far ardere
il fuoco
missionario

Nelle scorse catechesi abbiamo visto che l’annuncio del Vangelo è gioia, è per tutti e va rivolto all’oggi. Scopriamo ora un’ultima caratteristica essenziale: occorre che l’annuncio avvenga nello Spirito Santo.

Infatti, per “comunicare Dio” non bastano la gioiosa credibilità della testimonianza, l’universalità dell’annuncio e l’attualità del messaggio. Senza lo Spirito Santo ogni zelo è vano e falsamente apostolico: sarebbe solo nostro e non porterebbe frutto.

In Evangelii gaudium ho ricordato il primato dello Spirito Santo... è il protagonista, precede sempre i missionari e fa germogliare i frutti.

Questa consapevolezza ci consola tanto! E ci aiuta a precisarne un’altra, altrettanto decisiva: cioè che nel suo zelo apostolico la Chiesa non annuncia sé stessa, ma una grazia, un dono, e lo Spirito è proprio il Dono di Dio, come disse Gesù alla samaritana.

Il primato dello Spirito non deve però indurci all’indolenza. La fiducia non giustifica il disimpegno.

La vitalità del seme che cresce da sé non autorizza i contadini all’incuria del campo.

Gesù, nel dare le ultime raccomandazioni prima di salire al cielo, non ha lasciato delle dispense di teologia o un manuale di pastorale, ma lo Spirito che suscita la missione. E l’intraprendenza che lo Spirito infonde porta a imitarne lo stile, che ha due caratteristiche: creatività e semplicità.

Creatività
e semplicità

Creatività, per annunciare Gesù con gioia, a tutti e nell’oggi.

In questa epoca, che non aiuta ad avere uno sguardo religioso sulla vita e in cui l’annuncio è diventato in vari luoghi più difficile, faticoso, apparentemente infruttuoso, può nascere la tentazione di desistere dal servizio pastorale.

Magari ci si rifugia in zone di sicurezza, come la ripetizione abitudinaria di cose che si fanno sempre, oppure nei richiami allettanti di una spiritualità intimista, o ancora in un malinteso senso della centralità della liturgia.

Invece la creatività pastorale, l’essere audaci nello Spirito, ardenti del suo fuoco missionario, è prova di fedeltà a Lui.

Creatività, dunque; e poi semplicità, proprio perché lo Spirito ci porta alla fonte, al “primo annuncio”.

Lasciamoci avvincere dallo Spirito e invochiamolo ogni giorno: sia Lui il principio del nostro essere ed operare; sia all’inizio di ogni attività, incontro, riunione.

Egli vivifica e ringiovanisce la Chiesa: con Lui non dobbiamo temere, perché

Egli, che è l’armonia, tiene insieme creatività e semplicità, suscita la comunione e invia in missione, apre alla diversità e riconduce all’unità. È la nostra forza, il respiro del nostro annuncio, la fonte dello zelo apostolico.

(Udienza generale nell’Aula Paolo vi, catechesi letta da monsignor Ciampanelli)