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Il cardinale Parolin conferisce il Premio Ratzinger 2023 e ricorda l’eredità viva di Benedetto XVI

Maestro e modello di dialogo
tra fede e ragione

 Maestro e modello di dialogo  tra fede e ragione  QUO-276
01 dicembre 2023

Il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha presieduto ieri pomeriggio, giovedì 30 novembre, nella Sala Regia del Palazzo apostolico, la cerimonia di consegna del Premio Ratzinger 2023, assegnato a Pablo Blanco Sarto e a Francesc Torralba. «È la prima volta che questa premiazione avviene dopo la morte del nostro amato Papa Benedetto xvi ; perciò essa assume un carattere diverso dal passato e abbiamo pensato sia giusto celebrarla sotto il titolo della eredità di Joseph Ratzinger» ha spiegato introducendo l’incontro padre Federico Lombardi, presidente della Fondazione vaticana intitolata al Pontefice scomparso il 31 dicembre scorso. Un’eredità che il gesuita ha riassunto sottolineando in particolare che «Joseph Ratzinger non ha mai inteso costruire un proprio sistema di pensiero o costituire una propria scuola, ma ci ha insegnato a cercare e trovare la verità con la forza della ragione e la luce della fede, conservando sempre la ragione aperta, nel dialogo fra le persone, le discipline e le grandi tradizioni religiose». Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’intervento svolto dal cardinale segretario di Stato.

Eminenze,
Eccellenze,
Illustri Premiati,
Autorità accademiche,
Signore e Signori,
Amici,

sono veramente lieto di presiedere quest’anno la cerimonia di consegna dei Premi Ratzinger e mi congratulo sinceramente ancora una volta con i due illustri studiosi a cui sono stati assegnati, i professori Pablo Blanco Sarto e Francesc Torralba Roselló.

Poco meno di un anno fa, Benedetto xvi terminava il suo lungo cammino terreno. Perciò quest’anno — come è stato già ricordato — la cerimonia della consegna dei Premi intitolati al suo nome assume naturalmente il carattere di un incontro nella sua memoria e nella riflessione sull’eredità che egli ci ha lasciato. Un’eredità viva, da continuare a far fruttificare nel cammino della Chiesa nel nostro tempo, guardando non indietro, ma avanti.

In questa prospettiva i discorsi dei due professori, Blanco e Torralba, ci hanno dato contributi e spunti preziosi. Inoltre, le ulteriori iniziative della Fondazione continueranno opportunamente ad essere orientate a questo fine con larghezza di orizzonti culturali ed ecclesiali.

Nel medesimo spirito, sia permesso anche a me di aggiungere qualche breve considerazione, certo senza pretendere di ripercorrere la lunga vita e l’opera di Joseph Ratzinger, ma sottolineando con pochi cenni alcuni aspetti caratteristici del suo servizio come Pastore della Chiesa universale, che rimangono e rimarranno ispiratori per tutti noi, e non solo per i fedeli cattolici.

A differenza dei pontificati del suo predecessore e del suo successore, quello di Benedetto xvi non si presenta come un tempo di eccezionale dinamismo sulla scena politica internazionale e globale, ma piuttosto come un magistero caratterizzato dalla consapevolezza e dalla lettura in profondità della situazione culturale e spirituale del mondo all’inizio di questo millennio.

I segni di mutazione e di crisi nei rapporti fra i popoli, nel rapporto fra l’uomo e la creazione, nella visione della persona umana, della sua dignità e dei suoi diritti, si sono manifestati negli ultimi decenni con crescente evidenza, lasciando prevedere la gravità degli sviluppi che ne seguono e la necessità di un impegno sempre più urgente e deciso per farvi fronte. Urgenza su cui insiste sempre più, con coraggio ed energia, il presente pontificato, come dimostra ad evidenza anche il viaggio che Papa Francesco avrebbe dovuto iniziare domani, se ragioni di salute non lo avessero costretto a cancellarlo.

Benedetto xvi, portando nel suo servizio di Pastore supremo la ricchezza della riflessione di tutta la sua vita precedente, ha aiutato a comprendere le ragioni profonde dei problemi e a trovare fondamenti solidi su cui appoggiare la ricerca delle soluzioni. Così, la sua enciclica sociale Caritas in veritate, pubblicata in un tempo di grave crisi economica e sociale, con contraccolpi sul sistema mondiale, pone già chiaramente in luce e interpreta le questioni cruciali sul destino della nostra casa comune, poi approfondite e affrontate dal Papa Francesco nella Laudato si’, e ora nella recentissima Lettera Laudate Deum, e ne indica le possibili vie di soluzione nella carità e nella fraternità, su cui nuovamente insisterà così efficacemente Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti.

Benedetto xvi guarda con realismo lo sviluppo della società contemporanea. Più volte parla del «tramonto della presenza di Dio dall’orizzonte degli uomini» e insiste sul suo compito, come Papa, «di condurre gli uomini verso Dio», di parlare di Dio al mondo di oggi e nel mondo di oggi, non di un Dio qualsiasi, ma di quello che ha parlato sul Sinai e di cui Gesù Cristo ci ha rivelato il volto di Padre (Lettera ai Vescovi, 10/3/2009). Egli è convinto che l’oblio di Dio costituisca il rischio massimo per la vita stessa dell’umanità.

Ricordo ancora, come se fosse ieri, l’omelia che pronunciò il 12 settembre 2009, quando, nella basilica di San Pietro, conferì l’ordinazione episcopale a cinque nuovi vescovi, tra cui c’era anche il sottoscritto. Una celebrazione memorabile! Una omelia memorabile! Egli identificò «la ferita interiore dell’uomo» nella «lontananza da Dio» e proseguì: «Il primo ed essenziale bene di cui abbisogna l’uomo è la vicinanza di Dio».

In questa prospettiva non manca, infaticabilmente e con radicata convinzione, di richiamare la necessità del contributo armonico della fede e della ragione nel cercare e trovare la strada della verità, del senso dell’esistenza umana e della sua dignità, nel distinguere il bene dal male per la salvezza della persona e della comunità umana, nel fondare il diritto e la giustizia, la convivenza nella pace. I suoi grandi discorsi pubblici rivolti ai rappresentanti della società e della politica — a New York, a Londra, a Berlino —, rimangono fra i momenti più alti della proposta di dialogo costruttivo fra il papato e il mondo contemporaneo, non solo in forza dell’autorità morale e religiosa della Chiesa, ma anche della profondità del ragionamento e dell’ampiezza delle basi culturali dell’argomentazione.

Del resto, l’idea di ragione che Papa Ratzinger non si è mai stancato di proporre e promuovere, è sempre stata quella di una ragione “aperta”, capace di spaziare dalle scienze matematiche e naturali a quelle umane e sociali, alla filosofia e alla teologia; una ragione assetata di dialogo fra le diverse dimensioni e discipline del sapere e dell’arte; una ragione capace di porsi e di affrontare le domande sulla natura come quelle sull’uomo, sulla sua origine e il suo destino, senza chiudersi nel positivismo, e senza perdere nel relativismo la propria vocazione alla ricerca della verità. Non c’è dubbio che Benedetto xvi sia un maestro e un modello per l’esercizio sempre necessario del dialogo fra fede e ragione nel mondo di oggi, in tutta la sua complessità culturale e in tutte le questioni cruciali che ci propone ogni giorno. L’eredità che ci lascia non è tanto in una serie di soluzioni specifiche, quanto nel giusto atteggiamento con cui muoverci volando alto con le due ali della ragione aperta e della fede, anche se sempre con umiltà, fatica e perseveranza.

Anche per questo, contrariamente a quanto qualcuno ha superficialmente pensato, Benedetto xvi è stato e continua ad essere un esempio luminoso e coraggioso di dialogo. Le stesse difficoltà da lui incontrate a volte nei rapporti con posizioni diverse, sono state generalmente conseguenza della sua esigenza di lealtà totale, per rifiutare un dialogo fatto di accomodamenti superficiali e cercare un incontro a livello più profondo nella verità. Del resto, sono innumerevoli le testimonianze della sua disponibilità attenta e sincera all’ascolto, da parte di chi lo ha conosciuto e avuto interlocutore anche nei rapporti ravvicinati e personali. Non si trattava in nessun modo di un ascolto limitato al solo livello concettuale, ma — senza trascurarlo — si allargava alla totalità della persona, mente, cuore, esperienza vissuta, come è indispensabile per raggiungere quell’“incontro” che Papa Francesco non si stanca di proporci.

Benedetto xvi, ultimo Papa ad aver vissuto personalmente l’esperienza del concilio Vaticano ii, non solo vi ha dato un contributo importantissimo nel corso del suo svolgimento, ma anche nel corso della sua attuazione, con sguardo lungimirante, aiutandoci a vedere gli orientamenti di lungo periodo nella formulazione della missione della Chiesa nel nostro tempo, in rapporto alla cultura moderna e ai rapporti con le grandi religioni.

Nel suo pontificato non sono mancate le difficoltà. Ricordiamo in particolare il manifestarsi drammatico della crisi degli abusi sessuali da parte di membri del clero, di cui aveva già visto la gravità come cardinale prefetto e con cui dovette confrontarsi per tutto il tempo del pontificato. Lo fece con intima sofferenza, ma con umile rispetto delle vittime e della verità, orientando la Chiesa sulle vie dell’ascolto, della giustizia e del rigore, della conversione e della prevenzione, su cui il suo successore ha potuto continuare e progredire verso una soluzione sempre più adeguata di questi mali terribili.

Benedetto xvi è stato un Pastore e maestro della fede. Pur avendo una conoscenza teologica vastissima e molto articolata nei diversi campi della teologia, ha saputo guidarci verso l’essenziale con ordine e chiarezza. Lo ha dimostrato con la scelta delle tre virtù teologali come argomento di tre encicliche, di cui l’ultima, significativamente, è stata ripresa e conclusa dal suo successore.

Deus Caritas est. Dio è Amore. Abbiamo ricordato la preoccupazione di Benedetto per l’oblio di Dio nel nostro mondo e l’urgenza con cui si sentiva chiamato a condurci verso di lui. La parola con cui Benedetto ha aperto il suo primo e più atteso atto magisteriale, dice esattamente chi è il Dio che Gesù ci rivela, qual è la verità ultima verso cui tendono la ragione e la fede, cioè l’Amore. Non si può non essere toccati dalla piena continuità con cui i Papi contemporanei vedono il cuore del messaggio cristiano per il nostro tempo — così travagliato da guerre e contese — proprio nell’amore e nella misericordia di Dio. Questi devono ispirare non solo le parole, ma tutto il servizio della Chiesa. Con profondità e finezza Papa Francesco, nell’omelia delle esequie di Papa Benedetto, ha evocato le sue parole all’inaugurazione del ministero di pastore universale: «Pascere è amare».

Questo mistero dell’Amore di Dio, che non si finirà mai di esplorare, apre alla speranza. Tutti sentiamo l’immenso bisogno di accendere e alimentare speranza di fronte alla tentazione di sfiducia e disperazione generata dai conflitti omicidi che sono continuamente sotto i nostri occhi in questa “terza guerra mondiale a pezzi”. Dai conflitti irrisolti nasce una disperazione che ne genera continuamente di nuovi. Di fronte a questa situazione, nell’enciclica Spe salvi Benedetto xvi non ha solo ripercorso le vicende storiche delle speranze umane e delle loro crisi, ma ha continuato a proporre la prospettiva della salvezza e della giustizia finale di Dio anche per tutte le vittime dimenticate di tutti i conflitti del mondo.

L’impegno teologico e magisteriale di Benedetto xvi sui temi del destino finale e della speranza dell’uomo e dell’umanità rimarrà certamente un elemento importante della sua eredità per questo tempo assorbito in un ritmo frenetico, che rende difficile o impossibile conservare la memoria del passato e del futuro.

Un anno fa, proprio nel suo discorso in occasione della consegna dei Premi Ratzinger, Papa Francesco ha evocato lo sguardo di Papa Benedetto, parlando di «quei suoi occhi contemplativi», che negli anni dopo la rinuncia si erano sempre più fissati nelle realtà ultime. Nei nostri tempi il Signore ha fatto alla Chiesa il dono di Papi non solo saggi e prudenti, ma anche virtuosi e santi, che hanno guidato il popolo di Dio anche con il loro esempio. Giovanni Paolo ii ha dato una testimonianza eminente di malattia vissuta nella fede. Benedetto xvi di fragilità crescente nella vecchiaia vissuta nella preghiera.

La sua eredità ha quindi diverse dimensioni preziose. Certamente quella teologica e culturale, di cui resterà solida testimonianza nella sua poderosa Opera Omnia e nel suo magistero papale, come pure quella pastorale. Ma non dobbiamo dimenticare quella spirituale, che brilla nella profondità e nella spiritualità delle sue omelie ed è giunta a compimento nella sua lunga testimonianza di preghiera per la Chiesa e di preparazione all’incontro con Dio. In realtà, già l’atto stesso della sua rinuncia al pontificato è stato una sintesi ammirabile di visione lucida e ragionevole della situazione, di responsabilità nell’esercizio del governo e di umiltà davanti a Dio e agli uomini. Esso segna certamente anche per il futuro la storia della Chiesa del nostro tempo.

Ai premiati dunque e a tutti voi, il compito e l’augurio di poter proseguire il vostro servizio continuando a sentire l’ispirazione e il sostegno dell’eredità di questo grande Papa, Benedetto XVI.

Grazie!