· Città del Vaticano ·

Camminare insieme
Come “samaritanizzare” il processo sinodale nelle Chiese locali

Famiglia di Dio
con la stessa umanità

 Famiglia di Dio con la stessa umanità  QUO-276
01 dicembre 2023

La domanda su come poter realizzare nelle Chiese locali la bellissima esperienza e lo slancio della prima sessione del Sinodo sulla sinodalità è tanto urgente quanto fondamentale. Un sinodo è più di una serie di proposte, insegnamenti e ispirazioni su come essere Chiesa. Un sinodo è uno stile di vita, una cultura e una pratica ecclesiale che rinnova e trasforma la Chiesa. Per accompagnare il popolo di Dio e rinvigorire la vita missionaria della Chiesa e dei suoi membri a seguito della prima feconda sessione del sinodo sulla sinodalità, occorre “samaritanizzare” il processo sinodale a tutti i livelli della vita della Chiesa. Il modo in cui ciò si potrebbe fare è al centro della presente riflessione teologica.

La Relazione di sintesi del Sinodo invita il popolo di Dio a entrare più profondamente nel processo sinodale attraverso sforzi locali per favorire un «approfondimento teologico e pastorale e indicando le implicazioni canonistiche». L’intero popolo di Dio è invitato a prendere parte a questo cammino. L’ispirazione e le iniziative alle quali lo Spirito dà vita nella Chiesa affiorano naturalmente da tutto il popolo di Dio in comunione con le guide pastorali e le conferenze episcopali. La via sinodale deve diventare lo stile di vita della Chiesa, che coinvolge tutto il popolo di Dio nell’ascoltare e nel fare la parola di Dio attraverso l’ascolto reciproco. Come ha scritto il vescovo e grande padre africano Cipriano di Cartagine, «non penso che dovrei esprimere la mia opinione in isolamento. Devo conoscere i dettagli di questi casi e studiare la soluzione con attenzione, non solo con i miei colleghi, ma con tutta la gente. È importante riflettere su tutto e soppesarlo con attenzione prima di prendere una decisione che costituirà un precedente per il futuro» (cfr. Epistolario, 34, 4, 1).

La realtà più impegnativa con cui la Chiesa si deve confrontare, oggi come sempre, è il modo in cui entrare nelle storie delle “gioie e speranze” del mondo attuale, come anche nelle ferite e nella fragilità degli uomini e delle donne d’oggi, che sono state espresse in molti modi diversi da quando, nel 2021, è iniziato questo cammino sinodale. Come ha detto Papa Francesco nel suo discorso ai delegati, «comunione e missione rischiano di restare termini un po’ astratti se non si coltiva una prassi ecclesiale che esprima la concretezza della sinodalità […], promuovendo il reale coinvolgimento di tutti e di ciascuno» (9 ottobre 2021). La dinamica ecclesiologica centrale al magistero di Papa Francesco è l’atto comunicativo che avviene nello spazio dell’incontro quando sperimentiamo la via samaritana laddove ci troviamo di fronte alla sofferenza e al dolore dell’altro. In un tale incontro vediamo con chiarezza, identifichiamo e giudichiamo la situazione in modo corretto e rispondiamo in modo giusto e profetico con il balsamo della compassione, dell’amore e dell’azione. La risposta adeguata è un processo di ribaltamento che cambia la situazione dolorosa e porta una rinascita di speranza e una vita nuova.

Il vedere, riconoscere, interpretare e rispondere in modo adeguato e profetico fonde la nostra testimonianza cristiana con le priorità e le pratiche di Gesù e dà vita a una nuova esperienza della risurrezione e della speranza per quanti soffrono e sono abbandonati nelle periferie esistenziali della vita. La missione dei cristiani e delle Chiese, come scrive monsignor Lucio Adrián Ruiz, segretario del Dicastero per la comunicazione, in riferimento all’ecclesiologia di Papa Francesco, è la “samaritanizzazione della cultura”. Solo se, come il buon samaritano, rispondiamo agli altri in modo adeguato, con amore e compassione, e facciamo qualcosa riguardo alla situazione triste e dolorosa altrui, possiamo davvero creare una comunità dove tutti si preoccupano di tutti e dove vediamo in ogni persona ciò che vede Dio: un figlio di Dio. In questo modo, la Chiesa non proclama la parola di Dio solo attraverso le parole, ma anche attraverso atti credibili, mostrando e testimoniando al mondo la potenza a la presenza della missione liberatrice, docente, salvifica e guaritrice del Figlio di Dio, chinandosi verso quanti sono caduti o dimenticati.

L’ecclesiologia di Papa Francesco ci invita a partire dalla domanda «dov’è la Chiesa?» e non da «chi è la Chiesa?». Nella tradizione biblica, la domanda «Chi sei tu?» viene sempre posta o per riportare alla ragione i credenti, oppure per indirizzarli verso Dio quando dimenticano la via che conduce a Lui. La domanda colloca anche la persona e la comunità nella giusta direzione della chiamata di Dio. Dopo la caduta, la domanda che Dio ha posto ai nostri progenitori non è stata «Chi sei?» ma «Dove sei?» (Genesi, 3, 9). Dopo che Caino aveva ucciso il fratello Abele Dio gli chiese: «Dov’è Abele, tuo fratello?» (Genesi, 4, 9). Se esaminiamo le teofanie nell’Antico Testamento relativamente alla chiamata di Abramo, Mosè, Elia e molti altri, il luogo dell’incontro non era solo significativo ma anche decisivo. Per quanto riguarda Mosè, in Esodo, 3, Dio gli dice: «Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!» (5). Il processo sinodale ci invita ad andare verso gli altri, di modo che possiamo stare con loro dove sono in cerca di Dio mentre procedono verso la terra promessa della speranza e dell’amore.

Questa prossima fase del processo sinodale è un invito a camminare insieme con tutti e a incontrali dove si trovano in spirito di amore e accettazione. Pertanto, lo spazio d’incontro sinodale deve essere caratterizzato da quella che Hans Urs von Balthasar chiama la cristallizzazione dell’amore. Il Sinodo attuale ricorre all’immagine della “tenda” per cogliere l’aspetto della nuova ecclesiologia della decentralizzazione del centro e della focalizzazione della missione della Chiesa attorno ai luoghi dell’attuale mondo pieno di dolore, dove molte persone vagano senza una direzione, desiderose di essere avvolte dal mantello dell’amore e dell’amicizia. Questa ecclesiologia troverà sempre la resistenza di coloro che beneficiano del rapporto di potere esistente quando avvertiranno una minaccia al loro potere da parte di coloro che, come Gesù, vogliono rovesciare i banchi dei cambiavalute. Tuttavia, stiamo assistendo a un grande cambiamento culturale che sta creando rotture nel nostro mondo di significato e nel modo in cui percepiamo il potere.

Nel suo libro La fine del potere, Moisés Naím sostiene, riguardo alle organizzazioni religiose, che le cosiddette pecorelle non sono più pecorelle, perché ora sono consumatori che stanno iniziando ad abbracciare e a rifiutare sistemi e narrative religiosi a causa del bazar di scelte a loro disposizione. La lealtà e l’affinità religiosa si stanno indebolendo perché i seguaci possono trovare facilmente «prodotti più attraenti nel mercato per la salvezza». Questa realtà, per esempio, non farà crollare la forte autorità spirituale e l’influenza della Chiesa cattolica, ma «restringerà la gamma delle possibilità e ridurrà il potere» della Chiesa in molte parti del mondo, sia nel nord sia nel sud del pianeta. Il processo sinodale, pertanto, ci sta aiutando a iniziare a ripensare l’uso del potere nella Chiesa e il modo in cui utilizzare i doni e i talenti di tutti i popoli e di tutte le culture, al di là delle strutture e dei sistemi stessi che finora hanno servito la Chiesa. Dal punto di vista teologico, ciò che dicono i sociologi è affine a ciò che noi chiamiamo conversione. Riconoscere che le gerarchie di potere esistenti, gli interessi e la dominazione danneggiano il lavoro missionario della Chiesa è un invito alla conversione, una svolta verso Dio e il prossimo e lontano dal nostro ego e dai nostri idoli culturali, razziali, ecclesiali, politici ed economici.

Infine, la “samaritanizzazione” del processo sinodale invita la Chiesa e i suoi membri a un rinnovamento dell’intersoggettività al proprio interno che parta dal cuore di tutte le persone come grazia intima e logica d’amore interiore. Da questo desiderio intimo nasce un movimento dove la persona umana cerca il contatto con l’altro in quella che gli antenati africani hanno chiamato ubuntu, ovvero la saggezza che dice che il riconoscimento dell’altro mi rende umano o, meglio, che affermando l’umanità dell’altro affermo anche la mia. Noi africani crediamo che un incontro più profondo di questo genere possa essere realizzato attraverso un processo sinodale che abbracci tutti come famiglia di Dio. Nel contesto della Chiesa come famiglia, lo spazio per un poliloquio può emergere attraverso il processo sinodale in cui tutti condividono la loro storia, le loro lamentele, le loro speranze e i loro sogni. In tale spazio motivante includiamo volutamente tutti, specialmente coloro le cui voci sono silenziate o che sono stati resi invisibili da ingiustizia, discriminazione e gerarchie sociali. È in questi spazi che le persone possono discernere nello Spirito ciò che Dio sta dicendo attraverso l’esperienza di tutti, e trovare insieme il nostro cammino verso il futuro e la guarigione per le nostre anime stanche in tempi come questi.

di Stan Chu Ilo
Sacerdote della diocesi nigeriana di Awgu, docente ricercatore di ecclesiologia, cristianesimo mondiale e studi africani al Center for World Catholicism and Intercultural Theology (DePaul University, Chicago), e coordinatore della Rete cattolica panafricana di teologia e pastorale