· Città del Vaticano ·

Diario da Dubai
Raggiunto un accordo storico sul Fondo per i Paesi poveri

Appello dell’Onu
per eliminare
i combustibili fossili

Vapor rises from the cooling towers of the lignite-fired power station operated by German energy ...
01 dicembre 2023

«Il destino dell’umanità è in bilico»: António Guterres, segretario generale dell’Onu, ha aperto così stamani il World Climate Action Summit, il segmento di alto livello della Cop28 in corso a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. In particolare, Guterres ha esortato ad agire subito «per evitare il peggio del caos climatico e per prevenire lo schianto planetario». Centrale, nelle sue parole, anche l’esortazione all’eliminazione dei combustibili fossili: «Non ridurre, non diminuire — ha sottolineato Guterres —, bensì eliminarli in modo graduale, con un calendario chiaro», così da «accelerare una transizione giusta ed equa verso le energie rinnovabili».

Ieri, intanto, la giornata inaugurale della Cop28 si è conclusa con una decisione importante attesa da tutti: rendere operativo il fondo Loss & Damage (ovvero Perdite e danni) destinato a risarcire i Paesi più poveri e vulnerabili del mondo dalle conseguenze dei cambiamenti climatici che meno di tutti hanno contribuito a generare. La nascita di questo fondo aveva monopolizzato la Cop27 in Egitto che si era conclusa con l’impegno a creare questo strumento finanziario e a definirne le spinose regole su chi deve pagare a chi. La decisione di ieri a Dubai non scioglie ancora questo nodo molto complicato, ma ha avuto almeno il merito di costituire il fondo; raccogliere le prime dichiarazioni di impegno a finanziarlo e soprattutto di mettere la questione delle perdite e dei danni su un binario parallelo rispetto agli altri grandi temi della Cop28, scongiurando così il rischio che questo argomento impedisca di prendere decisioni sulle fonti fossili che sono la vera grande questione da risolvere.

Tra le dichiarazioni di impegno fatte a Dubai su questi contributi, si registra quella degli Emirati Arabi Uniti con 100 milioni di dollari; della Germania con altri 100 milioni di dollari; del Giappone con 10 milioni; e della Gran Bretagna con 60 milioni di sterline di cui 40 milioni a fondo perduto.

A fronte di questa buona notizia un dato sconvolgente ha caratterizzato l’inizio dei lavori: l’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite ha ufficializzato che il 2023 è stato l’anno più caldo della storia. Se si pensa che dal 2000 al 2020 ci sono stati gli 11 anni più cadi di sempre, l’informazione potrebbe apparire solo come l’ultimo capitolo dell’escalation ormai a tutti nota. Ma il fatto sconvolgente è che il caldo del 2023 ha fatto registrare un surriscaldamento di 1,4 gradi °C in più rispetto alla media 1850-1900. Questo significa che abbiamo già raggiunto il riscaldamento che le Cop sono chiamate a scongiurare entro fine secolo. In altri termini, mentre a Dubai si discute su come evitare che entro il 2100 la temperatura aumenti di 1,5°C, il mondo ci è già andato davvero molto vicino con 77 anni di anticipo.

Se in un Paese come gli Emirati Arabi Uniti può apparire difficile che questo dato acceleri l’eliminazione delle fonti fossili di energia, una speranza si può avere che trovi consenso la proposta dell’Agenzia internazionale dell’energia circa l’impegno di tutti a triplicare gli investimenti sulle fonti rinnovabili; raddoppiare il tasso di miglioramento dell’efficienza energetica; impegnare le società di petrolio e gas a compensare la Co2 prodotta; ridurre del 75 per cento le emissioni di metano; finanziare gli investimenti sulle energie pulite nelle economie emergenti e in via di sviluppo.

di Pierluigi Sassi