· Città del Vaticano ·

La bellezza da salvare Spin Time e MaaM: dove ogni “io” è un “noi”

Il condominio degli scomodi

 Il condominio degli  scomodi  ODS-016
02 dicembre 2023

Quando mi dicono: «Domani andiamo a Spin Time», la prima cosa che penso è: Spin Time, bel nome per una palestra! Ma non appena entro
nel palazzo al civico 55
di via di Santa Croce in Gerusalemme capisco che tanto per cambiare non c’avevo capito niente. Questo palazzo, che un tempo ospitava gli uffici della dirigenza dell’ inpdap , oggi è la casa degli scomodi: i giovani, gli immigrati, i poveri; qui dentro vivono da ormai dieci anni più di 400 persone di diverse età, diverse lingue, diverse culture, diverse religioni che giorno dopo giorno sperimentano insieme un modo diverso di essere società, di essere polis. A Spin Time la parola d’ordine, infatti, non è Io , ma l’Altro . E pensare che dieci anni fa il palazzo in cui sto entrando era un cimitero di stanzoni vuoti, oggi, invece, è un fiorire di spazi sociali, culturali, ricreativi. Qui dentro c’è una sala di registrazione, un teatro, un laboratorio di restauro, una falegnameria, un barbiere, la redazione di un giornale, un centro di coworking, uno sportello legale, un doposcuola e tanto altro ancora. Prima di tutto questo, però, Spin Time è le persone che lo vivono, che non sono solo gli occupanti, ma tutti coloro che a vario titolo ci gravitano attorno.

Appena entro vengo travolta dalle grida dei bambini che giocano per il palazzo — nel complesso a Spin Time ce ne sono 93 — e proprio da loro, dai loro volti e dalle loro voci, è partita Sara per raccontare in una mostra l’esperienza decennale di Spin Time. «Si sente sempre parlare gli adulti e io ho voluto che per una volta a raccontare questo spazio fossero i più piccoli». E quando Sara coi suoi 16 anni dice piccoli a me viene da sorridere, poi, però, ascoltandola parlare mi rendo conto di quanto questa ragazza, che da dieci anni vive a Spin Time, sia matura, consapevole, centrata, sia insomma così diversa dai ragazzi che ci vengono raccontati sui giornali: individui senza sogni, ideali, speranze, solo TikTok. Che cosa ti piace, le chiedo, di Spin Time? Sara ci pensa un po’ su «perché sono troppe le cose che mi piacciono». Allora scendiamo a un compromesso: Dimmene solo tre. I grandi occhi scuri e profondi di Sara sorridono: «Mi piace che siamo un Noi — dice —, mi piace che ci prendiamo cura l’uno dell’altro anche se siamo tutti diversi».

Mentre Sara parla, io mi guardo attorno. Ci sono bambini che vengono da ogni parte del mondo: Africa, Asia, Sud America, Tor Marancia; ci sono le mamme che parlano in italiano, in inglese e in qualche altra lingua di cui non capisco mezza parola anche se il suono mi piace moltissimo; ci sono giovani con le treccine e giovani col capello ordinato che discutono di lavoro o della partita di Champions; ci sono persone anziane con le mani incrociate dietro la schiena che si guardano attorno come faccio anch’io in questo momento prima di riportare lo sguardo su Sara. «Poi mi piace che Spin Time non è solo casa nostra, è la casa di tutti», sta dicendo la ragazza che proviene dal Marocco e sogna di diventare architetto. «Tutti quelli che vogliono proporre qualcosa di bello qua dentro possono realizzarlo».

Lei parla e mi viene in mente la lavagnetta al piano di sotto sulla quale sono scritte tutte le attività che si svolgono qua dentro: un elenco lunghissimo che ti vien voglia di partecipare a tutte. Spin Time è un po’ la casa dei sogni, dico io a Sara che mi sorride come a dire: Detta così fa un po’ “Libro cuore”, ma capisco che c’hai ‘na certa e voi matusa parlate così — ovviamente Sara non penserebbe mai “matusa”, che è una parola per gente datata come me. E la terza cosa?, le chiedo. Lei mi guarda coi suoi grandi occhi scuri e profondi: «Mi piace che in questa casa non c’è bisogno di bussare». E poi mi racconta un aneddoto: «L’altro giorno stavo cucinando con la porta aperta, come sempre, quando d’improvviso si affaccia un bambino e mi fa: “Ciao, e…” non lo so, questo per me è bello, questo mi piace».

Mentre immagino la scena del bambino penso: magari fosse così pure dove abito io. Poi penso: allora potrei anche imparare a cucinare, poi ci ripenso: meglio un Glovo, vuoi mettere! E mentre mi perdo nei miei pensieri ci raggiunge Cristina, la volontaria della scuola popolare che segue Sara nello studio, che non significa: l’aiuta a fare i compiti stop, significa che Cristina ha un rapporto di amicizia e fiducia non solo con Sara, e con le altre ragazze di Spin Time, ma con le loro madri e con tutti gli altri componenti della grande famiglia che abita al civico 55 di via di Santa Croce in Gerusalemme. «Da quando vengo qua — mi dice Cristina che porta un paio di occhiali xxl e un ciuffo di capelli alla Tutti pazzi per Mary — mi accorgo che è molto più quello che ricevo che quello che do». E che cosa ricevi? L’entusiasmo, la gioia, la possibilità di costruire insieme un mondo migliore, un mondo dove non ci sono pregiudizi, in cui ciascuno si preoccupa dell’altro perché tutti sono fratelli, «e la cosa bella — continua Cristina — è che io vedo i frutti di questo modo di vivere diverso» che nasce dall’emergenza abitativa, ma che «esprime una politica nel senso migliore del termine». Allora, mi tornano in mente le parole di Daniela, una piccola occupante di 13 anni: «Noi qui dentro siamo liberi di fare, di realizzare, di essere chi siamo e di imparare ad amare il prossimo». Il prossimo, penso io, questo grande sconosciuto, e poi penso al mio collega di lavoro con cui litigo un giorno sì e l’altro pure, penso alla signora che mi vive accanto di cui conosco soltanto la voce visto che grida sempre contro il cane e io penso: porello! E mentre io mi perdo un’altra volta nei miei pensieri qualcuno inizia a parlare, che è una cosa che qui a Spin Time si fa parecchio e che sembra fare molto bene, non solo alle relazioni, anche ai singoli, agli individui. «Qui ogni settimana c’è l’assemblea di gestione — mi dice Paolone che ha l’ingrato compito di spiegarmi come funziona questo luogo —. E sempre ogni settimana ci sono altre assemblee su temi specifici, come le attività culturali e…» e mentre lui parla io penso alle assemblee di condominio che si tengono nel mio palazzo, rigorosamente una volta all’anno, poi penso: se ne facessimo una settimana tempo due riunioni non verrebbe più nessuno o c’ammazzeremmo tutti. Ma Spin Time è diverso, qui hanno imparato a confrontarsi, a parlare, discutere, anche litigare, lasciando sempre, però, la porta del dialogo aperta, come aperto è il cancello di ingresso.

«Io lo vedo coi bambini e coi ragazzi — mi dice Federico, un giovane volontario del progetto Brain in Action che si è laureato alla Luiss, ma ha trovato il suo mondo qui dentro —. Il modo che hanno questi ragazzi di porsi con gli altri è diverso: mentre io e quelli della mia generazione eravamo sempre concentrati su noi stessi, loro la prima cosa che fanno è guardare l’altro, per questi ragazzi non c’è solo io, ci siamo tu e io, e quando guardi il mondo così allora cambia tutto». E mi viene in mente quel detto, com’è che dice? La bellezza è negli occhi di chi guarda? Beh, a stare dentro Spin Time anche solo qualche ora ti viene da pensare che la bellezza è negli occhi con cui guardi, ma guardando l’orologio mi accorgo che sono le 20, è ora di andare. Uscendo, sul cancello incontro Laura, che non abita qui, ma partecipa alla vita di questo spazio e lei, che forse coglie in me quel meticciato tra topo di biblioteca e pseudo-acculturata mi invita all’assemblea del martedì «che è quella delle attività culturali». Poi mi aggiorna sugli eventi in programma a breve: «Ospiteremo il premio Dante Cappelletti. Sai, non avevano più uno spazio dove far esibire le 30 compagnie teatrali in gara e così ci hanno chiesto se potevano venire da noi». E voi? «Noi gli abbiamo detto di sì». , ripeto io e sorrido pensando che c’è un luogo, uno spazio, una comunità, sì, che qui a Roma esiste una piccola polis in cui la prima risposta non è “No”, “Non lo so”, “Vedremo”, ma: “Sì”, quel “Sì” che quando lo dici le labbra ti sorridono. E con questo sorriso saluto Laura. «Non vuoi rimanere a cena? — mi fa lei —. È tutto pronto?» Io guardo l’orologio. Devo andare, le dico, e poi esco, e allontanandomi, lungo la strada mi sento come se fossi appena uscita da una grande festa, sento quello strano silenzio dopo la disco che mi si addensa attorno come nebbia, allora penso: Quanto sarei voluta rimanere. Poi, penso: Sarà per un’altra volta, tanto il cancello di Spin Time è sempre aperto…

di Violante Sergi