Lo si riconosce dal grande telescopio sbiadito in cima alla terrazza, rampa di lancio per un viaggio sulla Luna, un’utopia che diventa terra due piani più sotto. Nel grigio di via Prenestina, al numero 913, sono ancora accesi i colori del MaaM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove, esperienza unica a Roma di convivenza fra quaranta famiglie di tutto il mondo e l’arte. Anzi si alimentano a vicenda, la vita quotidiana e la street art entrata nell’edificio ripopolato, per offrire proprio la bellezza a chi è negata.
I bambini senegalesi, ghanesi, italiani e rom sono ormai ragazzi, da quando, nel 2009, fu occupata l’ex fabbrica di salumi della Fiorucci nella periferia est di Roma da duecento migranti e precari senza casa. Pochi anni dopo un via vai di street artist hanno creato lì le oro opere, dentro e fuori quello che dal 2012 è diventato un vero museo meticcio, grazie all’avventura lunare di Metropoliz, lanciata da Giorgio De Finis, antropologo che ora sta mettendo in piedi il Museo delle Periferie, dopo aver diretto il Macro diventato anch’esso Asilo per artisti.
Sulla grigia facciata ancora resistono i grandi murales di Borondo, corpi che si abbracciano, il volto arlecchino di Malala, dipinto dal brasiliano Kobra, le ragnatele bianco/nere di Sten & Lex. I bambini correvano tra i resti post industriali che sapevano di sangue, cancellati dai colori sui muri dipinti dai tanti artisti che hanno lasciato il loro segno, ormai oltre 400: Franco Losvizzero, Pablo Echaurren Fiorenzo Zaffina, Gian Maria Tosatti, nomi da Biennale e tanti altri. Tra le rotaie in ferro si è fermata anche una Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto, che tante volte è venuto a dare il suo contributo.
Il Metropoliz di Tor Sapienza, una “Pinacoteca domestica”, è sempre a rischio sgombero. Le battaglie con il proprietario, il gruppo Salini, che si è disinteressato dell’edificio, ma ha preteso, e ottenuto, risarcimenti dallo Stato. Il Comune di Roma vorrebbe acquisirlo, e l’obiettivo è salvare l’arte e le famiglie, continuare la convivenza creativa durata dieci anni tra feste e panni stesi, musica, performance, un film e dei cataloghi, dibattiti culturali, una ludoteca, una cucina meticcia sempre aperta.
«Continuiamo a lottare», dice una donna peruviana, e Gina, ormai studentessa di ingegneria, da lì vuole partire come il razzo sulla Luna verso l’Altrove della sua vita, che immagina colorato come quello della sua infanzia.
di Natalia Lombardo