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Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati

 Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati  ODS-016
02 dicembre 2023

La bellezza là dove non ti aspetteresti di trovarla. La bellezza nascosta. La bellezza che non si vede, ma si sente: col cuore, con l’anima. Di questo scrivono i nostri autori nei loro “canti dalle periferie”. Sono riflessioni, ricordi, impressioni di chi, forse, la bellezza se la vede sovente negata, ma che sa coglierla e sa mostrarla anche a chi pensa di avere tutto.

La bellezza
più grande

La presenza del sé in qualsiasi contesto umano indicherebbe che la bellezza è naturalmente basata sul sentimento che suscita negli esseri umani, anche se la “bellezza umana” è soltanto l’aspetto dominante di una più grande e incalcolabile “bellezza naturale”.

Quando pensiamo alla bellezza, la nostra mente è subito portata ad immaginare le cose che più ci piacciono, che ci hanno fatto emozionare: una persona, un oggetto...

Ma la bellezza, sicuramente, può essere portata anche là dove forse di bellezza non vi è nemmeno l’ombra, dove, magari, per noi è inimmaginabile che vi sia, ovvero tra le persone che soffrono, tra chi si trova recluso, ai margini delle nostre città, tra chi soffre di povertà assoluta, tra le guerre che purtroppo ancora oggi ci troviamo ad affrontare e commentare.

Uno, allora, si chiede: Ma che tipo di bellezza possiamo trovare o portare in queste situazioni così complicate, tra persone che vivono momenti di difficoltà estrema tutti i giorni?

La bellezza non è solo oggettiva, anzi non dovrebbe essere solo oggettiva. Per capirci, quando diciamo: «Non conta se sei bello/a fuori, ma conta la tua bellezza interiore». Ecco, la bellezza interiore, quella che non si vede, ma c’è, o almeno dovrebbe esserci in tutti noi: la bellezza di portare un aiuto a chi soffre, di tendere una mano a chi si sente solo e vive nella fragilità, la bellezza di capire e di ascoltare chi non ha più voce, ma vuole farci capire la sua sofferenza, la bellezza di dire: «Io ci sono per te, conta pure su di me», la bellezza di dire: «Buongiorno, come stai?», «Buonanotte, a domani», la bellezza di dire: «Ce la puoi fare, tirati su», la bellezza che abbiamo provato nella pandemia da Covid-19, quando dicevamo: «Andrà tutto bene, siamo tutti uniti».

Ecco, ci sono tanti modi per usare il termine bellezza. A volte lo facciamo così, riferendoci a cose che forse non sono utili, ma tante persone in questo nostro mondo ogni giorno dimostrano e vivono la bellezza utilizzando piccoli gesti che rendono a noi, ma soprattutto a chi li riceve, una bellezza infinita che non ha prezzo.

Infine, ma non ultima, direi che la bellezza più grande è quella di Dio, quella bellezza unica ed inarrivabile che ci ama a prescindere da chi siamo o da cosa facciamo, che ci ama sempre, anche quando sbagliamo e soprattutto quando sbagliamo, la bellezza infinita che ci perdona e ci fa sentire amati incondizionatamente. Questa è la bellezza divina a cui sicuramente il nostro essere umani non potrà mai arrivare, perché è la bellezza di Dio padre, ma che sicuramente dobbiamo provare almeno a rendere nostra in tutte quelle azioni che ogni giorno compiamo in nome della bellezza.

È nato Emiliano!

Io non credo proprio che la bellezza possa salvare il mondo. Anche perché la bellezza e il mondo sono due cose che non andranno mai a braccetto. Sì, c’è la bellezza artistica e paesaggistica, ma poi noi umani tendiamo a distruggere tutto.

Sento parlare di guerre che scoppiano, di morti e di tutto il resto. Anche io, nel mio piccolo, vivo una guerra interiore, una guerra tra la mia parte cattiva e la mia parte buona.

Da un po’, però, qualche cosa è cambiata. Mi è nato un figlio, Emiliano! Che c’è di più bello della vita? Un figlio ti stravolge, ti fa capire, ti dà una forza in più per affrontare la vita.

Oltre ad Emiliano, posso dire di aver trovato una persona che mi capisce: non è la mamma di mio figlio, ma un’altra donna, capitata così nella mia vita, con la sua bambina di sei anni che mi insegna ad essere un padre, che mi dà quello che cercavo, che fa cadere le insicurezze che vivo tutti i giorni.

Una volta pensavo sempre alla morte, non perché fossi stufo di questa vita – attenzione! –, ma perché ero stanco di combattere. Adesso, invece, rifletto e dico: “Ma se me ne vado, loro come faranno?”. La vita è sempre una merda, ti scontri sempre con te stesso perché hai paura di affrontare i tuoi fantasmi, ma poi rifletti e dici: “Vedi? Esiste qualcosa di buono, esiste qualcosa per cui vale la pena combattere”. Questo non è un combattimento inutile, ti fa stare bene.

Ecco, questa è la bellezza della vita, la bellezza che arriva senza che te lo aspetti e senza chiederla. E questa bellezza, che sta salvando me, può salvare pure il mondo.

La bellezza “dentro”:
in noi e nel carcere

La bellezza è quella sensazione del bello che provi quando i tuoi occhi e i tuoi sentimenti avvertono qualcosa che va oltre il comune. I più potrebbero pensare che per una persona che si trova in carcere questa esperienza possa essere solo nell’archivio dei ricordi. Invece è proprio qui, dove è più forte la costrizione e la rinuncia, che la bellezza diventa un valore senza prezzo e, tante volte, irripetibile.

Immaginatevi cosa possa significare poter incontrare i propri familiari, i figli, gli amici dopo che sono passati mesi e mesi durante i quali solo una foto o il pensiero ti “portavano” da loro. Immaginatevi, ancora, quanto possa essere bello vedere i volti delle persone care con una videochiamata o sentire la loro voce al telefono.

La bellezza sta in quei volti, che il trascorrere del tempo cambia, in quello stare seduti, anche se per poco tempo, intorno a un tavolo, in quegli abbracci con le persone dalle quali sei stato brutalmente staccato. La bellezza è quel sentimento profondamente umano che ti porti dentro, quell’esplosione di gioia che ti riempie il cuore e che qualche volta ti sembra troppo forte per poterla esprimere.

Questa bellezza è superiore a qualunque opera d’arte. È dentro ciascuno di noi, con tutte le nostre diverse sfaccettature. È la bellezza che ti fa sentire più umano.

Quanto è difficile
rendersene conto

La bellezza, intendo quella interiore, esiste. Il fatto è che è difficile accorgersene: qualche volta ce l’abbiamo proprio di fronte e non ce ne rendiamo conto. Se mi fermo un attimo a pensare, non è che mi sia passata davanti tante volte, ma in qualche caso è stato così: era proprio bellezza allo stato puro, solare, smaliziata, ma senza secondi fini… puro amore, passione per il prossimo. In effetti, sono migliaia le situazioni in cui la bellezza ti si presenta davanti: un cagnolino, una piantina… Basta aprire il cuore per vederla.

Vi racconterò la mia esperienza. Quasi tre anni fa, per una serie di circostanze e di casualità, scoprii che la mia salute era traballante, se non di più. Cominciai il calvario delle cure, le visite mediche, i ricoveri e via dicendo. In quella occasione conobbi una donna che si sarebbe dovuta prendere cura della mia salute in quanto come rds (ragazzo di strada) ormai ero arrivato ad un punto di quasi non ritorno… Come si dice: avevo proprio toccato il fondo. Stava a me, a quel punto, trovare la forza di rialzarmi oppure mollare la mia vita e finire praticamente in una buca.

Questa donna meravigliosa non si limitava ad aiutarmi, diciamo, “da protocollo”. Questo lo notai subito.

All’inizio ci furono delle incomprensioni, tanto che passarono dei periodi nei quali non ne volevo sapere delle sue cure. Ma lei non mollava mai: sempre positiva, solare, premurosa nel consigliarmi e trovava sempre la maniera di farmi capire tante cose sulle quali mi impuntavo. E qualcosa cominciò a cambiare dentro di me e cominciai a limare qualche asprezza del mio caratteraccio.

Quando la sera, finito il suo turno, se ne andava, mi lasciava nel cuore e nell’anima qualcosa di positivo, tanto che provavo una calma e una tranquillità che non avevo mai conosciuto prima. Anzi, ero sempre nervoso, teso, nel panico. Grazie a lei, un gradino alla volta, ho cominciato a capire il valore della positività, del far sentire bene una persona semplicemente con piccoli gesti, parole incoraggianti, sguardi di sintonia reciproca.

Ebbene, oggi posso dire che questa persona ha avuto un’influenza tanto positiva su di me che la vita me l’ha cambiata quasi per metà. La sua lucentezza, la sua solarità, la sua bontà, la sua caparbietà mi hanno fatto cambiare in meglio. Mi ha mostrato la mia vita e quella degli altri da una prospettiva diversa: una sensazione sconosciuta, ma piacevole, gratificante e a volte sconvolgente.

Potrei raccontare altre esperienze che ho vissuto sulla mia pelle e che mi hanno aiutato a maturare e a cambiare in meglio. Ma, senza voler essere inopportuno, sento di voler dire grazie a questa donna per l’insegnamento che mi ha trasmesso. Per la pazienza che ha avuto. Grazie A. e scusa per tutte le volte che abbiamo litigato, era sempre colpa mia, scusa per il testone che sono.

Sono convinto che non è vero che la bellezza non esiste. È che non la vogliamo vedere. Non ce ne rendiamo conto. Non la vediamo… ma esiste!

Quando ascolti
un dolore

La bellezza? Cosa vuol dire bellezza? Che significa questa parola?

C’è la bellezza fisica: un bel viso, una bella bocca, due occhi meravigliosi. Ma, per come la vedo io, questa è una bellezza che il tempo, forse, non potrà cancellare del tutto, ma, di sicuro, modificherà.

C’è poi la bellezza della natura: un tramonto, distese di prati in fiore, montagne meravigliosamente innevate. Ma anche questa è una bellezza che, con le stagioni, se ne andrà.

Infine c’è la bellezza interiore. E questa è una bellezza che non passa. Non ci sarà tempo o stagione che la potranno mai cambiare, perché è nel tuo cuore e nella tua anima. Fa parte del tuo essere.

Non so dirvi da dove nasca, se è in noi dal momento in cui veniamo al mondo o la costruiamo giorno dopo giorno. So solo che la riconosci quando vedi una persona che si commuove nell’ascoltare un dolore.

Quella è la bellezza del cuore, dell’anima.

Se tutti noi umani ce l’avessimo, il mondo, il nostro vivere, sarebbe migliore.

Il giovane autista
Mohammed

Algeria, anno 1982. In qualità di responsabile tecnico di una importante impresa italiana, stavo seguendo la realizzazione di dieci istituti liceali, ciascuno dei quali destinato ad accogliere 1600/1800 alunni e dotato di mensa, laboratori, palestra, dormitori e una cinquantina di alloggi per gli insegnanti.

I cantieri erano localizzati in dieci diversi siti dislocati lungo la Route nationale 1: 1200 chilometri da Algeri fino a Ghardaïa, all’inizio del deserto sahariano. L’opera, oggetto di una gara di appalto internazionale, era necessaria dopo lo spaventoso terremoto che due anni prima aveva cancellato intere città del centro—sud dell’Algeria, causando migliaia di morti e di feriti.

Le opere dovevano essere realizzate in ventiquattro mesi e consegnate “chiavi in mano” alle autorità locali. Il mio compito, come responsabile tecnico, era quello di far rispettare l’avanzamento dei lavori nei diversi cantieri. E per questo ogni settimana percorrevo in automobile circa 1200 chilometri della Route nationale 1 per visitare dal primo all’ultimo cantiere.

Il 2 maggio, mentre rientravo nottetempo ad Algeri venni coinvolto in una grave incidente stradale dal quale, con molta fortuna, uscii solo con una serie di fratture: avambraccio destro, tibia e perone, gamba destra. Ricoverato in ospedale ricevetti le cure di un gruppo di giovani e bravi medici algerini – uno di loro aveva studiato in Italia – che mi dissero, però, che non avrei potuto riprendere l’uso degli arti offesi prima di 40/60 giorni.

Il mio pensiero andò subito ai cantieri: come avrei potuto svolgere il mio compito senza poter guidare un’auto? Dovevo assolutamente trovare un accompagnatore, ma la cosa non era facile.

La fortuna (?) mi dette una mano. Allo stesso piano del mio ufficio/abitazione ad Algeri, viveva una famiglia algerina composta da padre, madre e due figli di 14 e 18 anni. Il padre era un avvocato ed era venuto a visitarmi in ospedale subito dopo l’incidente. Gli confessai la mia difficoltà. Non riuscii nemmeno a finire di parlare che mi propose: “L’accompagnerà mio figlio, il maggiore”.

Fu così che il giovane neopatentato Mohammed, che stava per iscriversi alla facoltà di architettura ad Algeri, si presentò la mattina seguente al volante della Citroën di famiglia. Partimmo e strada facendo gli dissi che gli sarei stato di disturbo solo per qualche giorno, poi avrei chiesto alla mia impresa l’assegnazione di un autista. Ma lui mi rispose: “Ieri sera, mio padre, che è un buon servitore dello Stato, mi ha incaricato di essere a sua disposizione per tutto il tempo necessario alla sua riabilitazione. I complessi scolastici che state costruendo non possono subire ritardi”. In effetti, soprattutto dopo il terremoto, migliaia di bambini, soprattutto appartenenti a tribù nomadi, non avevano quasi più strutture dove poter andare a studiare.

Dopo circa un mese dall’incidente, dovetti subire un altro piccolo intervento che mi obbligò a restare in ospedale per una settimana. Ma riuscii ugualmente a non perdere i contatti con i cantieri grazie a Mohammed che li visitò tutti al posto mio. Il mio giovane amico continuò ad accompagnarmi anche nei mesi successivi e partecipò con me a tutte le dieci inaugurazioni degli istituti scolastici.

Quando, poi, finalmente ebbi la possibilità di ritornare a guidare la mia automobile, chiesi al padre di Mohammed come potermi sdebitare con la sua famiglia. Mi rispose testualmente: “Egregio ingegnere Alessandro, nulla deve dare a mio figlio perché in questo modo ha avuto la possibilità di aiutare il nostro Paese, l’onore di aver conosciuto un caro amico che, insieme a tante maestranze italiane, ha potuto contribuire al miglioramento della vita di tanta povera gente, oppressa da una immane catastrofe naturale e provata da tanti anni di colonialismo. Non mi deve nulla. Allah e il suo Dio la benedicano”.

Ero così emozionato e commosso da quelle parole che non riuscii a parlare. Ci stringemmo la mano con le lacrime agli occhi.

Ringrazio Dio di aver messo sul mio cammino della così brava gente. Mai dimenticherò l’amicizia, il rispetto, l’amore fraterno di quella famiglia algerina, di religione islamica. Anche persone e popoli diversi per cultura, etnia, religione possono vivere insieme serenamente, onestamente e in pace.

Angelo Zurolo

Daniele

s.c.

Giuliano

Domenico

Alessandro