· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

LaChiesa
Le suore in missione nell'isola di Lampedusa

Quei tre angeli
custodi sul molo

 Quei tre angeli  custodi sul molo  DCM-011
02 dicembre 2023

Quando a Lampedusa sta per arrivare un barcone di migranti, tre suore vanno subito al molo Favaloro. Suor Inès Gizzarelli, suor Danila Antunovic e suor Rufina Pinto percorrono a passo veloce tutto il corso principale, via Roma, e arrivano al porto per accogliere chi ha attraversato il Mediterraneo in cerca di speranza.

«Quando toccano terra sono terrorizzati. Hanno viaggiato per dodici ore su gommoni che a malapena stanno a galla. Spesso sono sporchi perché nella traversata i bisogni si fanno dentro la barca, a volte hanno ustioni causate dal carburante» racconta Danila, croata, consacrata da trentacinque anni, della congregazione delle suore di Carità della Santa Croce, una delle tre religiose che la U nione Internazionale delle Superiore generali ha inviato in prima linea a Lampedusa. Insieme a lei Rufina, della stessa congregazione, indiana, e Inès, americana, religiosa del Sacro Cuore di Maria. Le sorelle operano in nome della parrocchia e insieme alle Ong presenti sull'isola.

A Lampedusa l’arrivo di barconi non si ferma mai. I gommoni partono dalla Libia e dalla Tunisia, a bordo persone che vengono soprattutto dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Africa sub-sahariana. Hanno alle spalle settimane, talvolta addirittura mesi di viaggi nel deserto, alcuni hanno attraversato le montagne dell’Iran. Hanno venduto tutto quello che possedevano per pagare i trafficanti. Le famiglie più povere si sono indebitate all’inverosimile per pagare il viaggio.

«Quando accogliamo i migranti al molo, in attesa del pullman che li porterà nel centro di accoglienza - spiega Danila - parliamo con loro. Ci raccontano a fatica il viaggio che hanno fatto, molti scoppiano a piangere. Gli diciamo che non devono avere più paura, che potranno ricevere cure mediche, che sono al sicuro». Parlare è importante, così per questo progetto la Uisg cerca sempre sorelle che sappiano esprimersi in inglese, arabo e italiano.

«La prima volta che sono andata al molo - dice Rufina- è stato scioccante. Ero arrivata da poco dal sud dell’India. Quel giorno arrivò un barcone con decine di migranti, uomini e donne. Chiesi ad alcuni di loro: perché siete venuti qui? Per avere una vita migliore, hanno risposto. Nel loro paese c’è povertà, fame, non ci sono scuole per i bambini. Sono realtà che in Europa non riusciamo neanche ad immaginare».

A metà settembre a Lampedusa arrivano, nel giro di pochi giorni, ottomila migranti. Gli abitanti dell’isola sono circa quattromila.

«Abbiamo cercato di accogliere tutti - ricorda Danila - ma non c’era cibo a sufficienza per tutti. I lampedusani hanno messo a disposizione tutto quello che avevano in casa per sfamare queste povere persone».

Un giorno all’alba sono arrivate su un barcone anche due donne siriane in sedia a rotelle, fuggite da Damasco per ricevere cure adeguate per la malattia neurodegenerativa che le affligge. La prima cura che hanno ricevuto, appena sbarcate al molo Favaloro, è stata una carezza e un sorriso da suor Rufina.

«Quello che mi rattrista di più - dice questa suora votata all’accoglienza- è vedere malati, donne, bambini. Dai loro occhi si capisce il carico di disperazione che li spinge a mettersi in viaggio. Molte donne arrivano qui che hanno appena partorito. Altre hanno in braccio neonati di pochi giorni. Altre le accompagniamo di corsa al pronto soccorso perché in procinto di partorire». Gli incontri sono di cuore, di partecipazione, anche femminile: «Ho chiesto ad una mamma: perché hai intrapreso un viaggio così brutto?. Mi ha risposto: per una vita migliore, perché finalmente non sarò più violentata, perché mio figlio non crescerà in mezzo alla guerra».

Rufina ricorda anche «una mamma incinta, arrivata sola con un bimbo di due anni e un altro di cinque mesi. Veniva dal Congo e mi ha detto che se fosse rimasta nel suo paese l’avrebbero uccisa. E poi mi ha detto che avrebbe subito cercato un lavoro perché le servivano i soldi per pagare il viaggio al marito rimasto in Libia. I soldi che avevano erano sufficienti solo per pagare il viaggio a lei e ai figli. Per questo era partita da sola con due figli piccolissimi e uno in arrivo».

di Vito D’Ettorre
Giornalista Tg2000/Tv2000