· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Televisione
Un docufilm sulla ricerca di un ospedale per partorire

Il cammino di Suzan
(e di Josephine)

 Il cammino di Suzan  (e di Josephine)  DCM-011
02 dicembre 2023

Le impronte dei passi delle madri in Sud Sudan, nelle loro lunghe ed estenuanti ore di viaggio, alla ricerca di uno spazio dove mettere al mondo i propri figli, li riconosci nella terra rossa della savana. Neanche il vento più forte, o la guerra trascorsa, finiscono per cancellarli.

In mezzo a loro c’è anche la scia di Suzan, che di anni ne ha poco più di venti. Il suo profilo dolce, e allo stesso tempo appuntito, è accompagnato dal silenzio più riservato, che solo a poco a poco mostra la trama di un sorriso. Suzan sta per avere una figlia e grazie all’organizzazione Medici con l’Africa Cuamm la conosco attraverso una serie di incontri virtuali. La sua storia, come tante altre storie, di giovani donne in cammino ci racconta le difficoltà di un paese, dove ad oggi, la mortalità materna è di 789 donne su 100.000 nati vivi, quella neonatale di 60 su 1.000 nati vivi, e quella dei bambini sotto i 5 anni è di 93 su 1.000. Il Sud Sudan è uno degli stati di più recente costituzione al mondo, ma per un doloroso paradosso, è anche uno di quei territori dove ancora adesso nascere è un’impresa, e morire giovani diventa una triste routine innescata dalle tante criticità che affliggono la sua gente. Suzan vive in un villaggio non lontano da Lui, nella contea di Mundri Est, nel sud-ovest della mappa sud-sudanese, in un angolo di pianeta non riconducibile a nessuna coordinata satellitare. Quando cerchi di trovare una forma di dialogo con lei, comprendi subito che non sono le parole la sua lingua, ma piuttosto una grammatica di sguardi protetti, fatti da occhi ricurvi verso il basso. E poi c’è la sua forza. La forza muscolare e sentimentale con cui camminando, muovendosi senza sosta, cerca non solo un ospedale, ma un rifugio per la figlia che sarà. Avrà come nome Josephine, ma prima che veda la luce, tutto quello che conta sono i chilometri da fare. Chilometri di giorno e di notte, nei passi rabbiosi consumati dalla fame, nella vertigine del caldo furioso. Suzan, come se non avesse un corpo, munita solo di una piccola tanica di plastica con dosi d’acqua sempre più ridotte, ha un andamento inscalfibile di marcia regolare e noi, allora, scopriamo cosa vuol dire, davvero, “essere madre”. Vuol dire resistere, amare sterminatamente contro le proprie forze. Vuol dire andare avanti.

Il Cuamm è presente nel paese dal 2006 e nonostante l’instabilità politica e le grossi lacune socio-economiche, non smette mai di tendere la mano verso donne come lei e come tante altre giovani madri. A Lui, c’è infatti un ospedale in cui si lavora a servizio di oltre 145.000 persone, permettendo così una capillarità strutturale tale da raggiungere non solo i territori più limitrofi, ma anche ulteriori contee che confinano con quella porzione di regione dove tutto sembra inaccessibile. Suzan, alla fine di tutto il tracciato, riesce a giungere proprio lì. Per tutto questo tempo è sempre stata sola: accanto a lei non si è mai vista figura di consorte o compagno. La sua tenacia è alimentata dal motore della sua solitudine, e quando arriva nella struttura - questo non lo dimenticherò mai - non smette, quasi incantata, di guardarsi attorno. È una stella impazzita di luce su un’orbita che non ha mai visto.

Noi siamo lì e afferriamo l’idea forte che la maternità, attraverso il viaggio, in questa migrazione da vita a vita, dove tutto è possibile, non è solo un film, il nostro, che abbiamo girato a ridosso di montagne senza nome e gusci di savana mai visti. No, la vita di Suzan e di Josephine sono qualcosa che scorre oltre ogni limite. È il mistero dell’esistenza, quando si rivela. È l’urgenza di un significato che noi tutti ammiriamo, come il più grande prodigio sempre in grado di ripetersi. Al primo vagito di Josephine, sopravvissuta a decine e decine di chilometri senza tregua, capiamo che tutto davvero può essere possibile. E noi siamo stati molto fortunati a testimoniarlo e a poterlo raccontare.

di Giuseppe Carrieri
Regista e docente universitario


Ninne nanne  ai tempi della guerra


Sola, munita appena di una vanga e di un mucchietto di semi, Suzan, all’ultimo mese di gravidanza, si incammina per raggiungere il primo ospedale che le permetterà di dare alla luce il figlio che ha in grembo. Lungo strade sconosciute nel più sperduto angolo del Sud Sudan le sue tracce si imprimono nella polvere, nell’infinita attesa che qualcuno finalmente si accorga di lei.

È uno dei quattro episodi di   «Ninne nanne ai tempi della guerra», miniserie che porta con sé i segni e le ferite di un’umanità a volte dimenticata, firmata dal  regista Giuseppe Carrieri e che va in onda a dicembre su Tv2000, l’emittente della Cei, la Conferenza episcopale italiana.

Qui il regista racconta come è nato l’episodio intitolato «Suzan»,  il percorso di una donna incinta che attraversa chilometri in Sud Sudan per mettere al mondo la figlia nell’ospedale Cuamm.