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DONNE CHIESA MONDO

Cinema
Garrone, le mamme di "Io Capitano" e anche la sua

Dal film alla vita
talvolta a lieto fine

 Dal film alla vita talvolta a  lieto fine   DCM-011
02 dicembre 2023

In Io capitano, il potente film di Matteo Garrone sull’odissea dei migranti premiato con il Leone d’argento a Venezia e scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar, c’è una scena rimasta scolpita negli occhi e nel cuore degli spettatori: è la “donna volante” che appare al protagonista, il giovanissimo senegalese Seydou Sarr, incamminato nel deserto del Sahara con altri disperati decisi a raggiungere la Libia per salire sui barconi diretti in Europa. Quella donna è in realtà morta di fatica ed è stata lasciata nella sabbia, in mezzo ad altri cadaveri, dallo spietato schiavista che guida i migranti verso il mare, senza mai voltarsi indietro. Ma Seydou, che aveva cercato di aiutarla, immagina di vederla volteggiare leggera nell’aria per allontanare da sé l’orrore di quel viaggio costellato di pericoli, violenze, morte.

Dal film alla vita: quella donna, che si chiama Béatrice, è ivoriana e, dopo aver conosciuto l’inferno proprio come il suo personaggio, ora vive vicino a Roma, a Fregene, in casa della mamma di Garrone con la prospettiva di trovare un lavoro: un piccolo grande “miracolo” compiuto dal film che il regista romano ha realizzato raccogliendo le storie vere di chi ha rischiato la vita per avere un futuro migliore nel nostro Continente. E tra i protagonisti di queste storie, non tutte a lieto fine, molte sono le donne che partono: giovani e vecchie, analfabete o scolarizzate, spesso in stato di gravidanza.

Come ha conosciuto Béatrice?

L’avevo scritturata in Marocco con altre comparse, tutte persone che avevano affrontato davvero la traversata. Anche lei aveva iniziato il viaggio a piedi, poi era rimasta bloccata nel deserto dopo aver visto i compagni morire di stenti. Finito il film, l’ho invitata alla Mostra di Venezia insieme con gli altri interpreti. E lei è voluta rimanere in Italia, dov’è stata accolta da mia madre e ha intrapreso il percorso per regolarizzare la sua posizione. La sua testimonianza è stata molto importante per me.

Cos’altro ha scoperto, Garrone, dai racconti delle donne africane?

Che molte di loro vengono violentate durante il viaggio. I miei consulenti, tutte persone che conoscono i fatti spesso per averli vissuti sulla propria pelle, mi hanno rivelato che nel deserto ogni tanto la jeep con a bordo i migranti si fermava e l’autista sceglieva una o due donne da stuprare. Poi ripartiva e, dopo qualche chilometro, l’orrore si ripeteva. Alla fine del viaggio erano state abusate quasi tutte.

Perché «Io capitano» non parla di questa ulteriore atrocità?

A dire la verità rimpiango di non aver inserito l’episodio degli stupri. Ma ho temuto che potesse risultare inverosimile nel film che, pieno di momenti ultra-drammatici, racconta una realtà già raccapricciante.

Sono molte le gestanti che affrontano la traversata?

Sì, e partono nonostante le loro condizioni. Lo ha confermato Fofanà Amara, il quindicenne della Guinea che ha ispirato il mio film perché dieci anni fa fu costretto dagli scafisti a guidare un barcone con 250 migranti a bordo, senza nemmeno saper nuotare, e appena arrivato in porto in Sicilia venne sbattuto in carcere per sei mesi. Ha raccontato di aver fermato l’imbarcazione e chiamato i soccorsi per salvare una donna che stava per partorire rischiando la propria vita e quella del bambino.

Un altro personaggio che nel film colpisce è la mamma di Seydou, contraria alla partenza del figlio. Molte africane hanno il suo stesso atteggiamento?

Sì, conoscono i pericoli del viaggio e non vogliono rischiare di perdere i figli. Seydou, del resto, non viene dalla miseria ma appartiene a una famiglia che vive in una povertà dignitosa e vuole andare in Europa per il gusto dell’avventura, per avere nuove opportunità, per sfondare come musicista. E’ il sogno che spingeva noi, alla sua età, a spingerci in America con la differenza che ci era consentito viaggiare mentre a loro viene impedito. Ma in Africa ci sono anche mamme diverse da quella di Seydou.

E come la pensano?

Sono favorevoli all’idea che i figli abbiano un avvenire migliore e promuovono collette in famiglia per far partire quello più sveglio, capace di cavarsela nonostante i pericoli che incontrerà.

Il film ha incontrato un eccezionale successo di pubblico ed è stato comprato in tutto il mondo: come lo spiega?

Credo arrivi al cuore degli spettatori di ogni età, ceto sociale e grado di cultura. Racconta la storia universale ed emotivamente coinvolgente di un ragazzo che insegue un sogno. Il film, inoltre, parla di una tragedia che la gente crede di conoscere ma che questa volta potrà vivere dall’interno. Vale per tutto il mondo.

Il cinema, secondo lei, può influenzare l’opinione pubblica a dispetto del rifiuto dei migranti, espresso da una parte della politica?

Non so se il mio film possa cambiare le cose ma può senz’altro sensibilizzare le persone e convincerle che dietro il “fenomeno” degli sbarchi, al di là dei numeri sui migranti a cui ci hanno assuefatti i notiziari ci sono degli esseri umani, sogni e desideri. Volerli negare è la grande ingiustizia che ho voluto denunciare.

Lei ha mostrato il suo film a Papa Francesco: cosa le rimane di quell’incontro?

Lo sguardo del Santo Padre che arriva dritto al cuore e la sua capacità di mettere le persone a proprio agio. Dopo un po’ che parlavamo avevo l’impressione di conoscerlo da sempre… Papa Francesco ha detto che le immagini del film gli sembravano molto intense e ha parlato di dramma epocale. Credo abbia capito il mio desiderio di fare da tramite per dare voce ai migranti da Lui stesso definiti degli eroi contemporanei.

Garrone, lei è credente?

Sì, lo sono.

Al di là dei premi, degli incassi, della candidatura all’Oscar, di cosa è più orgoglioso?

Di aver fatto la mia parte per denunciare un sistema profondamente ingiusto che impedisce a migliaia di persone di inseguire i loro sogni, cercare di migliorare la qualità della vita o espandere il proprio orizzonte. È come se avessi fatto il viaggio con i miei personaggi, con la stessa rabbia e la stessa speranza.

di Gloria Satta


Con gli occhi dei migranti


Io Capitano, diretto da Matteo Garrone, tratta della emigrazione africana verso l’Europa ed  è ispirato alle storie vere di alcuni ragazzi. Il film segue, leggendola come un viaggio di formazione,  la vicenda di due adolescenti  senegalesi, i cugini Seydou e Moussa,  che ambiscono a vivere in Europa. Per questo, contro il volere della madre, lasciano il loro Paese affrontando il deserto costellato dei cadaveri di quelli che non ce l'hanno fatta, gli orrori delle prigioni in Libia e la traversata pericolosa nel mar Mediterraneo. La storia  è raccontata dal loro punto di vista: non scappano dalla miseria o dalla guerra; partono, e se ne mostrano felici,  perché ambiscono a una vita migliore. Poi verranno dolore, sconforto e disperazione. Come in una  Odissea contemporanea, in ultimo tornerà la speranza. L’eroe-capitano è Seydou: quando arrivano i momenti duri e rischiosi e tutto sembra nero, invece di pensare solo alla propria sopravvivenza o al proprio tornaconto, si fa carico dei compagni di viaggio, e li porta alla meta. Matteo Garrone, regista di Gomorra Pinocchio, Dogman, Il racconto dei racconti,  si è messo all’ascolto e ha raccolto testimonianze tra quanti hanno affrontato il terribile viaggio. Un film -  in lingua Wolof -  sui migranti e sulla capacità e libertà di sognare.