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DONNE CHIESA MONDO

Testimonianze
Una monaca agostiniana libanese e la guerra di ieri e oggi

Abir, crescere a Beirut

 Abir, crescere a Beirut  DCM-011
02 dicembre 2023

Dal Libano all’Italia. In mezzo, guerre e conflitti interiori, dolori e speranze, ferite e approdi di fede. Tutto corre lungo una linea che va da Beirut a Pennabilli, in provincia di Rimini. Qui, nel monastero agostiniano intitolato a Sant’Antonio da Padova, Abir Hanna ha iniziato il suo percorso vocazionale nel 2003, prendendo i voti solenni nel 2009. Nel mondo ci sono circa 80 monasteri di monache contemplative agostiniane, in Italia sono 21. La storia della comunità di Pennabilli, che oggi è formata da 14 sorelle, dai 27 ai 93 anni, porta al 1816. Quella di Abir inizia a Beirut nel 1975, in una famiglia cristiana: nell’anno della sua nascita, il Libano si inoltra in una guerra civile che si allunga fino al 1990. E le porta via un fratello, che muore a 21 anni.

Abir, laureata in archeologia, ha incontrato le agostiniane di Pennabilli nel 1997, durante un pellegrinaggio che da Beirut l’ha guidata in Italia, in occasione della Gmg, la Giornata mondiale della gioventù.

Che tipo di formazione spirituale ha ricevuto?

La mia infanzia è stata segnata dal continuum della guerra degli anni 1975-1990 e dall’occupazione straniera del periodo 1977-2005. A un certo punto, il Libano era occupato dai gruppi armati dell’Olp, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, dall’esercito siriano e da quello israeliano. Abitavo vicino alla linea verde che separava Beirut Est da Beirut Ovest. Spesso si saltava la scuola per mesi ed era impossibile fare una vita normale. Passavamo giornate tra i sacchi di sabbia in cerca di un luogo sicuro. Ma questo non ha impedito ai miei genitori di trasmetterci il Vangelo, letto in famiglia, con i vicini di casa anche musulmani.

Come ha scoperto la sua vocazione?

Da bambina ero abitata da grandi domande legate al senso della sofferenza. Sognavo di diventare medico per salvare i bambini malati. Soffrivo nel vedere i cristiani del Libano armati fino ai denti, ingannati dall’ideologia di dover affermare la propria identità difendendola con le armi. Dagli Atti degli Apostoli avevo appreso come vivevano i primi cristiani. Avevo imparato che la via da seguire è l’amore verso il nemico. Questo mi affascinava, e insieme mi feriva perché era contraddetto dalla realtà. Interpellavo mio padre: «Papà, perché noi cristiani non viviamo più come la prima comunità di Gerusalemme?». L’incontro con la vita monastica agostiniana, che è esperienza di comunione con le sorelle sul modello dei primi cristiani, è lo spazio dove s’incarna per me la stupefacente possibilità di diventare chi desidero e sono chiamata a essere: donna di pace e di comunione. Prima però di approdare qui ho sperimentato io stessa come si sta senza Cristo, senza Dio. Ho attraversato un periodo di confusione, di buio, di ribaltamento dei valori. Ho visto l’abisso senza fondo dell’odio per poi accogliere la trasformazione che solo il Vangelo incarnato nelle relazioni fraterne può portare.

A che punto è il suo cammino vocazionale?

Il vero disarmo e la profonda riconciliazione con il “nemico”, che portavo dentro di me, sono avvenuti e avvengono nella quotidianità del legame con le mie sorelle, nel cammino desiderato verso la scelta della pace. In questa rete di legami ha preso forma in me la riconciliazione con il palestinese, il siriano e l’israeliano che hanno occupato la mia terra.

Due anni fa ha intrapreso gli studi di licenza al Pontificio Istituto Biblico di Roma e lo scorso anno ha trascorso un semestre a Gerusalemme, Paese storicamente nemico del Libano: come ricorda quell’esperienza?

È stato il dono che la mia vita aspettava. Soprattutto, una sfida. Ero partita con una domanda: posso essere una libanese in terra d’Israele, senza essere vista come una nemica? Andando a pregare al Muro Occidentale ho iniziato a vivere un’esperienza che ancora fatico a descrivere per quanto sembra insieme semplice e misteriosa. Trovandomi fisicamente accanto a donne israeliane a pregare, mi sentivo travolta da una commozione profonda. Sentivo in me il dolore lacerante che la guerra e l’odio hanno provocato alla mia gente e a chi mi stava accanto. E allo stesso tempo mi sentivo raggiunta dal desiderio di pacificazione, di diventare un “luogo” dove si spegne la violenza perché abitato dalla mitezza. Ho capito che la pace è l’origine che precede le ferite della storia.

Il conflitto israelo-palestinese riesploso lo scorso 7 ottobre ha riportato violenza, morte, terrore in Israele e a Gaza, nei paesi vicini. Quale strada si può seguire per realizzare la pace?

La consapevolezza di essere una sopravvissuta a una guerra che ha insanguinato il Libano per molti anni è riaffiorata in maniera forte in questo ultimo scenario di guerra terribile. In guerra non ci si può schierare per una parte piuttosto che per un’altra, armare una parte piuttosto che un’altra. Questo porta solo ad aumentare l’inferno della guerra e a creare altri focolai. In guerra ci si può schierare solo per le persone che appartengono a entrambe le parti, ci si può schierare solo per la vita.

di Maria Giuseppina Buonanno
Giornalista di «Oggi»