· Città del Vaticano ·

Il progetto del Global Solidarity Fund in Etiopia

Un futuro diverso
per sfollati e migranti

 Un futuro diverso per sfollati e migranti  QUO-273
28 novembre 2023

Donne e uomini sfollati o migranti da tutta l’Etiopia, rimpatriati dopo essere emigrati, rifugiati da altri Paesi e persone vulnerabili, sono i beneficiari del progetto pilota avviato alla fine del 2020 ad Addis Abeba dal Global Solidarity Fund (Gsf), in collaborazione con congregazioni religiose femminili e maschili. Progetto che ha l’obiettivo di lavorare insieme ad aziende private, istituzioni e organizzazioni internazionali per rafforzare l’impegno delle congregazioni nel migliorare la vita delle persone vulnerabili. Quello dei rimpatriati è un fenomeno abbastanza recente: si tratta di etiopi emigrati in Yemen che stanno rientrando a causa del conflitto nel Paese arabo, ma soprattutto di etiopi costretti a tornare dai Paesi arabi del Golfo, Arabia Saudita in testa, per provvedimenti governativi contro i migranti irregolari.

Tornano, quasi tutti, senza più nulla. Il governo etiope dà loro una piccola somma di denaro per tornare a casa, ma molti restano nella capitale Addis Abeba. Si vanno ad aggiungere ai tanti sfollati interni che si trasferiscono dalle zone rurali, per migliorare le loro vite e trovare lavoro. Ci sono poi i ragazzi “di strada”, più di 60.000 ad Addis Abeba, che arrivano da tutto il Paese, dormono nei tombini o sotto i ponti, scippano per mangiare, sniffano colla e a volte sono costretti a prostituirsi.

Don Petros Berga, responsabile della commissione socio-pastorale dell’arcidiocesi di Addis Abeba, che coordina il progetto Gsf, e visitatore apostolico per i cattolici etiopi in Europa, mi racconta che all’aeroporto, a 3 chilometri dal centro di formazione San Michele, arrivano persone espulse dall’Arabia Saudita che sono state due anni in carcere per aver comprato cibo in Yemen, in zona di guerra. «Arrivano traumatizzati — mi dice — noi ne accogliamo quanti possiamo e cerchiamo di restituirgli una vita attraverso la formazione».

Tra gli sfollati dalle zone rurali dell’Etiopia o dal Tigray, moltissime le giovani, tra i 18 e i 25 anni, spesso con gravidanze indesiderate già al 7°, 8° mese, accolte dalle missionarie della Carità di Santa Teresa di Calcutta, che offrono assistenza al parto. Nella Casa della Carità di Addis Abeba, dove danno alla luce i figli, rimangono 3 mesi, e le missionarie danno alle giovani consigli su come prendersi cura di loro. Alcune non vogliono tenere i loro bambini, ma le suore cercano di accompagnarle in un percorso di consapevolezza e preparazione alla maternità che, quasi sempre, porta le giovani donne ad accettare quella gravidanza imprevista. Le religiose e gli assistenti sociali cercano poi di capire i loro interessi e talenti, e le inviano in due centri, creati grazie al progetto intercongregazionale del Gsf, nei quali vivono, con i loro piccoli, nel periodo di formazione. In base ai loro interessi, frequentano corsi di design di moda, cucina, assistenza domiciliare e informatica al Mary Help College delle suore salesiane, le Figlie di Maria Ausiliatrice, di lavorazione del cuoio, fabbricazione di mobili o design grafico dai salesiani al Don Bosco Children Center, o di produzione di abbigliamento del collegio Sitam delle suore Orsoline. Le 38 giovani madri ospitate nel Nigat Center delle missionarie della Carità con i loro bambini, «sono iscritte in maggioranza al corso di design di moda del Mary Help College — mi spiega Girma Anto Muane, responsabile del progetto Gsf per le missionarie — e quando sono a lezione, i figli sono seguiti qui da noi». Grazie alla formazione ricevuta, troveranno presto lavoro nelle piccole aziende di abbigliamento di Addis Abeba, che hanno molto bisogno di manodopera qualificata. Il problema è trovare un alloggio, perché gli affitti spesso sono troppo alti rispetto ai salari. «Le aiutiamo a trovare casa in 3 o 4 insieme — mi dice Muane — e diamo loro qualche aiuto per pagare l’affitto».

Sememu Hibistu, migrante interna arrivata da Debra Marcos, 300 chilometri da Addis Abeba, ha trovato un alloggio insieme ad altre lavoratrici vicino all’azienda dove lavora. Perché per lei ogni spostamento è più difficile, avendo perso una gamba per un’infezione quando aveva solo 11 anni. Derartu Karle, che viene da Metu, in Oromia, 500 chilometri dalla capitale, laureata in gestione del turismo, ha chiesto aiuto alle suore di Madre Teresa dopo aver subito violenza ed essere rimasta incinta. In quest’anno ha ottenuto la certificazione informatica Cisco dopo un corso al Mary Help College, lavora come codificatrice di dati in una scuola di bellezza di Lewi e vive al Nigat Center con la piccola figlia. Endashaw Tesfaye, venuto ad Addis Abeba a cercare lavoro dal sud dell’Etiopia, cioè da Sodo, in Wolayta, grazie alle missionarie della Carità e al progetto del Gsf, ha studiato saldatura al Mekkanissa Center dei salesiani di Don Bosco e oggi è supervisore in un laboratorio. Vive da solo, fa i salti mortali per riuscire a pagare l’affitto, ma guarda al futuro con fiducia.

L’altro centro di formazione dei salesiani inserito nella rete intercongregazionale è il Don Bosco Children Center, che accoglie migranti, sfollati interni e ragazzi di strada raccolti quasi ogni mattina con il suo pulmino da don Angelo Regazzo, l’economo del Don Bosco Children, e coinvolti nel programma di primo contatto “Come ad see”. «Migranti e ragazzi non hanno soldi per andare a scuola o formarsi — racconta don Yohannes Menghistu, direttore della comunità salesiana — qui possono studiare dalla mattina fino alle 3 del pomeriggio. Prima però potevamo solo dargli un certificato e aiutarli a cercare un lavoro, oggi, grazie al progetto del Gsf, hanno molte più opportunità di impiego nelle aziende e possono anche essere aiutati ad aprire un’attività in proprio».

Nel consorzio delle 5 congregazioni, ad occuparsi di formazione imprenditoriale è il Servizio dei gesuiti per i rifugiati (Jrs). Ma il Jrs si occupa anche, prima di tutto, dell’accoglienza dei rifugiati che dai campi profughi della periferia arrivano ad Addis Abeba, nel suo centro nel cuore della capitale, dove troviamo Alemu Nisrane, responsabile del progetto Gsf per il Jrs. «Qui i rifugiati trovano assistenza sanitaria di emergenza, sostentamento, attività ricreative e corsi di prima formazione e informali di lingua inglese, informatica, musica — spiega — e poi proponiamo loro di iscriversi alla formazione professionale gestita dagli altri membri del consorzio, come il Mary Help College delle salesiane, i centri Don Bosco e Mekkanissa e il Sitam delle orsoline. Della formazione imprenditoriale e dell’autoimpiego, ce ne occupiamo noi del Jrs».

Il progetto pilota, nella speranza del consorzio, dovrebbe ora trasformarsi in un progetto definitivo e strutturato «in modo da poter assistere in modo molto sistematico le persone che si rivolgono a noi» sottolinea don Petros Berga. Si pensa ad «un unico punto di coordinamento per tutti coloro che si rivolgono a noi» un hub per l’accoglienza, in modo che i migranti che si rivolgono a noi possano conoscere passo dopo passo ciò che è necessario per affrontare il processo di formazione. Si sta anche preparando la sede per questo punto di accoglienza, in un terreno a pochi metri dall’arcivescovado cattolico di Addis Abeba e dalla cattedrale della Natività della Beata Vergine Maria. Sarà in un centro di formazione dedicato a san Giovanni Paolo ii , e ospiterà nuovi corsi di produzione multimediale, installazione di pannelli solari, assistenza domiciliare e infermieristica.

da Addis Abeba
Alessandro Di Bussolo


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