· Città del Vaticano ·

La Giornata mondiale dei poveri

Il sacramento dell’altare
e il sacramento del fratello

 Il sacramento dell’altare e il sacramento  del fratello  QUO-269
23 novembre 2023

«I poveri sono una moltitudine. E pensando a questa immensa moltitudine di poveri, il messaggio del Vangelo è chiaro: non sotterriamo i beni del Signore! Mettiamo in circolo la carità, condividiamo il nostro pane, moltiplichiamo l’amore! La povertà è uno scandalo. La povertà è uno scandalo. Quando il Signore tornerà ce ne chiederà conto». Sono alcune delle parole pronunciate da Papa Francesco domenica 19 novembre davanti a migliaia di senza fissa dimora, migranti, anziani e persone con disabilità che, assieme ai volontari che sono al loro fianco tutti i giorni, riempivano la basilica di San Pietro. L’occasione era la settima Giornata mondiale dei poveri, una festa introdotta proprio da Francesco nel 2017, a conclusione del Giubileo della misericordia, e celebrata con solennità ogni anno, per incoraggiare le comunità cristiane e i singoli credenti a vivere l’amore per i poveri come una dimensione fondamentale della loro vocazione e a divenire «sempre più e meglio segno concreto della carità di Cristo per gli ultimi e i più bisognosi».

Nel messaggio per la Giornata di quest’anno, il Papa aveva invitato a «non distogliere lo sguardo dal povero», richiamando le parole del Libro di Tobia, «un testo poco conosciuto dell’Antico Testamento, avvincente e ricco di sapienza». La stessa sapienza espressa nella domanda, che il Papa ha rivolto domenica nell’omelia, commentando la parabola dei talenti: «Io, rischio, nella mia vita? Io rischio con la forza della mia fede? Io come cristiana, come cristiano, so rischiare o mi chiudo in me stesso per paura o per pusillanimità?».

Per il Papa l’amore per i poveri è decisivo. Non avrebbe scelto il nome Francesco e non avrebbe dedicato tante energie a realizzare il suo sogno di una «Chiesa povera e per i poveri». Ma qui si pone in continuità con venti secoli di storia cristiana, attraversati dal filo rosso che lega la Chiesa ai poveri. Infatti quando i cristiani hanno distolto lo sguardo da loro, si sono anche allontanati dal Vangelo. Al contrario nei momenti di ri-forma (ossia quando sono tornati alla fonte del Vangelo per riprendere la forma della comunità apostolica), sempre vi è stata una vivace riscoperta dei poveri, da Francesco a Domenico nel xiii secolo, fino a Filippo Neri e Ignazio di Loyola nel xvi. In proposito il cardinale Yves Congar, tra i protagonisti del concilio Vaticano ii, osservava con acume: «I poveri sono cosa della Chiesa. Non sono soltanto sua clientela o beneficiari delle sue sostanze: la Chiesa non vive appieno il suo mistero se ne sono assenti i poveri. Non può esistere comunità cristiana senza diaconia, cioè servizio di carità, che a sua volta non può esistere senza celebrazione dell’Eucaristia. Le tre realtà sono legate tra di loro: comunità, eucaristia, diaconia dei poveri».

Non si tratta solo di assistere i poveri, ma di considerarli come fratelli più piccoli di Gesù e quindi membri effettivi della Chiesa. E oggi, con una crescita preoccupante della povertà, anche per le conseguenze economiche delle guerre, dalla Siria all’Ucraina, e ora in Terra Santa, dalle masse sterminate di poveri — quei «poveri diventati invisibili, il cui grido di dolore viene soffocato dall’indifferenza generale di una società indaffarata e distratta», come ancora ha affermato Papa Francesco nell’omelia di domenica scorsa — sorge una domanda forte, a cui la Chiesa non si può sottrarre. Perché demograficamente la maggioranza dei suoi figli vive nel Sud globale, ma anche perché l’amore per i poveri mette alla prova la loro fedeltà al Vangelo. Olivier Clément, fine teologo ortodosso francese, osservava la necessità di unire la preghiera e l’amore per i poveri, riprendendo le note espressioni di san Giovanni Crisostomo sui due sacramenti «dell’altare e del fratello», su cui si fonda la vita cristiana. «Sono assolutamente inseparabili: entrambi rappresentano una grande lezione per gli uomini di oggi, tentati di vivere un cristianesimo un po’ schizofrenico, con molte cose mistiche, ma che non cambiano la vita», scriveva Clément nel 2003.

In questi anni, grazie alla predicazione di Papa Francesco, ai suoi gesti di misericordia, all’istituzione della Giornata mondiale dei poveri e anche alla creazione del Dicastero per il servizio della carità, affidato all’elemosiniere, il cardinale Konrad Krajewski, si è compreso meglio come l’amore per i poveri sia ben più di un’attività di competenza di alcune istituzioni ecclesiastiche o di qualche “specialista”, ma una parte rilevante della vocazione cristiana di tutti i battezzati, perché tutti sono responsabili del ministero della misericordia. Lo si è visto anche al recente Sinodo, dove è risuonata la voce dei poveri e si è riflettuto su quanto l’amore per loro sia una porta che tanti attraversano per entrare nella Chiesa. Esso infatti aiuta tante persone lontane ad avvicinarsi alla famiglia dei discepoli di Gesù. Dove i poveri hanno un posto d’onore. Lo si è visto nel pranzo apparecchiato nell’Aula Paolo vi dopo la celebrazione e offerto da Hilton Hotels.

«L’importante è aver qualcuno che si accorge di te, ti guarda in faccia e ti invita a mangiare non come un ospite, ma come un familiare», ha detto Massimo, 60 anni, alcuni dei quali passati in una casa di cartone «montata la sera, e smontata al mattino», ma che adesso ha ripreso a guardare con speranza il futuro grazie all’ospitalità a Palazzo Migliori, il ricovero voluto da Papa Francesco a due passi dal colonnato di piazza San Pietro e animato dalla Comunità di Sant’Egidio. «Oggi è il giorno più bello della mia vita. A tavola il Papa mi ha incoraggiato a continuare la risalita della mia vita e mi ha chiesto di pregare per lui», ha raccontato Renato, italo-americano che a Roma ha sperimentato la grande sofferenza di dormire su una panchina. Ma adesso ha trovato accoglienza nella chiesa del Buon Pastore a via della Lungara: non solo un posto letto, ma un trampolino per riprendere a vivere, grazie all’amicizia di tanti giovani, gli universitari di Sant’Egidio, che lo hanno aiutato anche a trovare lavoro come portiere d’albergo. Perché «far fruttare la carità», per riprendere l’espressione di Papa Francesco, ridona felicità e dignità.

di Massimiliano Signifredi