· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-269
23 novembre 2023

Venerdì 17

Discepoli
missionari
sulle orme
di Maria

Do il mio benvenuto a tutti voi mentre festeggiate il cinquantesimo anniversario dell’attuale Arcidiocesi di Ozamiz con un pellegrinaggio mariano in Europa.

Il pellegrinaggio ai santuari è una chiara espressione di fiducia in Dio. I pellegrini portano nel cuore la loro fede, la loro storia, gioie, ansie, speranze e preghiere.

Penso alla storia biblica di Anna, la madre del profeta Samuele. Si recò al santuario di Silo con tristezza, ma allo stesso tempo con umile fiducia, per chiedere a Dio il dono di un figlio.

Lì il Signore ascoltò la sua preghiera ed esaudì il suo desiderio.

Nei santuari incontriamo il tenero amore del Padre che ha misericordia di tutti.

Questa misericordia ci viene spesso manifestata attraverso la santa Madre, Maria, che insegna ad accogliere Dio e sa porre le nostre necessità davanti a Gesù.

È Maria a mostrarci che essere discepoli di Gesù implica ascoltare la sua parola, meditarla e poi portarla agli altri.

Maria è stata la prima discepola missionaria. Spero che questo pellegrinaggio aiuti ciascuno di voi a essere come lei.

Esorto le vostre parrocchie e comunità a praticare le opere di misericordia ed essere vicine a specialmente alle famiglie, ai giovani, ai malati, agli anziani e ai poveri.

Questo richiede di essere amministratori responsabili del creato, nella consapevolezza che la cura per l’altro e quella per la casa comune sono intimamente legate.

Camminare insieme in solidarietà fraterna, ascoltandovi l’un l’altro e ascoltando lo Spirito Santo, che guida la Chiesa nel discernere percorsi nuovi e creativi per l’annuncio del Vangelo.

(Al pellegrinaggio
dell’arcidiocesi filippina di Ozamiz )

Sabato 18

Nessun
silenzio o
occultamento in tema
di abusi

Rappresentate l’impegno della Chiesa in Italia nel promuovere una cultura di tutela per i minori e i più vulnerabili. Vi accolgo a conclusione del vostro primo incontro nazionale, nella giornata in cui, per il terzo anno, le comunità ecclesiali sono coinvolte nella preghiera, nella richiesta di perdono e nella sensibilizzazione riguardo a questa dolorosa realtà.

Mi congratulo perché avete risposto prontamente all’invito con il rapporto sulla vostra rete territoriale.

Avete scelto come tema La bellezza ferita. «Curerò la tua ferita e ti guarirò dalle tue piaghe» (Ger 30, 17). Lasciatevi guidare da questa certezza annunciata dal profeta Geremia: il Signore è pronto a guarire ogni ferita, anche la più profonda.

Non ci possiamo fermare nell’azione di tutela dei minori e dei vulnerabili e, allo stesso tempo, di contrasto a ogni forma di abuso, sessuale, di potere o di coscienza.

Vorrei suggerirvi tre verbi, da cui trarre orientamento per ogni iniziativa.

Custodire

Partecipare al dolore delle persone ferite e far sì che tutta la comunità sia responsabile della protezione dei minori.

Tutta la comunità dev’essere coinvolta, perché l’azione di tutela è parte integrante della missione della Chiesa.

Custodire significa orientare cuore, sguardo e operato a favore dei più piccoli.

Nessun silenzio o occultamento può essere accettato in tema di abusi, questa non è materia negoziabile.

Perseguire la verità e il ristabilimento della giustizia all’interno della comunità ecclesiale, anche in quei casi in cui determinati comportamenti non siano considerati reati per la legge dello Stato, ma lo sono per la normativa canonica.

Custodire vuol dire anche prevenire le occasioni di male, e questo è possibile soltanto attraverso una costante attività di formazione, volta a diffondere sensibilità e attenzione ai più fragili.

Questo è importante anche fuori dal mondo ecclesiastico. Secondo statistiche mondiali, tra il 42 e il 46 per cento degli abusi si fanno in famiglia o nel quartiere... Poi nel mondo dello sport, nelle scuole.

Ascoltare

Mette[re] da parte ogni forma di protagonismo e interesse personale.

Pensiamo a Gesù che accoglie i bambini e tutti i “piccoli”.

L’ascolto delle vittime è il passo necessario per far crescere una cultura della prevenzione, che si concretizza nella formazione di tutta la comunità, nell’attuazione di procedure e buone prassi, nella vigilanza e in quella limpidezza dell’agire che costruisce e rinnova la fiducia.

Solo l’ascolto del dolore delle persone che hanno sofferto questi terribili crimini apre alla solidarietà e spinge a fare tutto il possibile perché l’abuso non si ripeta.

È l’unica via per condividere realmente ciò che è accaduto nella vita di una vittima, così da sentirsi interpellati a un rinnovamento personale e comunitario.

Siamo chiamati a una reazione morale, a promuovere e testimoniare vicinanza verso coloro che sono stati feriti da un abuso.

Ascoltare è prendersi cura delle vittime. Questa è la via della riparazione e della redenzione: la via della croce di Cristo.

Curare

In questo tempo si è diffusa la cultura dello scarto, al contrario di ciò che dice il Vangelo; le nostre comunità devono essere una salutare provocazione per la società, nella loro capacità di farsi carico degli errori del passato e di aprire percorsi nuovi.

La “cura” delle ferite è anche opera di giustizia. Per questo è importante perseguire coloro che commettono tali crimini.

Esprimo apprezzamento per le realtà che rappresentate, Servizi per la tutela dei minori e Centri di ascolto, luoghi cui riferirsi per trovare ascolto.

Prendetevi cura anche di una cosa molto brutta che succede, che sono i filmati pornografici che usano i bambini.

Questo succede, anzi, è a portata di mano di chiunque paghi, sul telefonino. Dove si fanno, questi filmati? Chi è il responsabile? In quale Paese? Lavorare su questo: è una lotta che dobbiamo fare perché si diffonde nei telefonini la cosa più brutta.

Tutti coloro che sono stati feriti dalla piaga degli abusi possano sentirsi liberi di rivolgersi con fiducia ai Centri di ascolto, trovando accoglienza e sostegno che possano lenire le ferite e rinnovare la fiducia tradita.

Formare il maggior numero possibile di operatori pastorali.

Così si promuove un vero e proprio cambio culturale che metta al centro i più piccoli e vulnerabili.

Questa azione ecclesiale può favorire la crescita dell’attenzione nell’intera società italiana su questa piaga che purtroppo coinvolge tanti, troppi, minori e adulti.

I risultati della rilevazione sulle attività che mi avete consegnato mettono in luce il bene che sapete compiere, facendovi prossimi a chi ha patito una ferita lacerante.

Emerge da queste pagine la testimonianza di un impegno costante e condiviso.

Questa è la strada per creare la fiducia che porta a un reale rinnovamento.

Desidero ringraziarvi per il supporto che state fornendo verso quei Paesi, specialmente in via di sviluppo, che dispongono di scarse risorse per la prevenzione e per l’attuazione di politiche di tutela.

(Ai partecipanti al i incontro nazionale dei servizi
e dei centri di ascolto territoriali per la tutela
dei minori e dei più vulnerabili in Italia)

Domenica 19

Davanti
al bivio:
fiducia
o paura?

Il Vangelo oggi presenta la parabola dei talenti (cfr. Mt 25, 14-30). Un padrone parte per un viaggio e affida ai servi i suoi talenti, ovvero i suoi beni, un “capitale”: i talenti erano un’unità monetaria. Li distribuisce in base alle capacità di ciascuno.

Al ritorno chiede conto di ciò che hanno fatto. Due di loro hanno raddoppiato quanto ricevuto e il signore li loda, mentre il terzo, per paura, ha seppellito il suo talento e può solo restituirlo, ragione per cui riceve un severo rimprovero.

Guardando a questa parabola, possiamo imparare due modi diversi di accostarci a Dio.

Il primo modo è quello di colui che seppellisce il talento ricevuto, che non sa vedere le ricchezze che Dio gli ha dato: egli non si fida, né del padrone né di sé stesso. Nei suoi confronti prova paura. Non vede la stima, non vede la fiducia che il signore ripone in lui, ma vede soltanto l’agire di un padrone che pretende più di ciò che dà, di un giudice.

Questa è la sua immagine di Dio: non riesce a credere alla sua bontà, alla bontà del Signore nei nostri confronti.

Per questo si blocca e non si lascia coinvolgere nella missione ricevuta.

Vediamo allora il secondo modo, negli altri due protagonisti, che ricambiano la fiducia del loro signore fidandosi di lui.

Questi due investono tutto quello che hanno ricevuto, anche se non sanno in partenza se tutto andrà bene: studiano, vedono le possibilità e con prudenza cercano il meglio; accettano il rischio di mettersi in gioco.

Si fidano, studiano e rischiano. Hanno il coraggio di agire con libertà, in modo creativo, generando nuova ricchezza.

Questo è il bivio che abbiamo davanti a Dio: paura o fiducia.

O tu hai paura davanti a Dio o hai fiducia nel Signore.

E noi, come i protagonisti della parabola, abbiamo ricevuto dei talenti, tutti, ben più preziosi del denaro.

Ma molto di come li investiamo dipende dalla fiducia nei confronti del Signore, che ci libera il cuore, ci fa essere attivi e creativi nel bene.

La fiducia libera, sempre, la paura paralizza. Questo vale anche nell’educazione dei figli.

Chiediamoci: credo che Dio è Padre e mi affida dei doni perché si fida di me? E io, confido in Lui al punto di mettermi in gioco senza scoraggiarmi, anche quando i risultati non sono certi né scontati?

So dire ogni giorno nella preghiera: “Signore, io confido in te, dammi la forza di andare avanti; mi fido di te, delle cose che tu mi hai dato; fammi sapere come portarle avanti”?

Infine, anche come Chiesa: coltiviamo nei nostri ambienti un clima di fiducia, di stima reciproca, che ci aiuti ad andare avanti insieme, che sblocchi le persone e stimoli in tutti la creatività dell’amore?

(Angelus in piazza San Pietro)

Mercoledì 22

Dio sceglie
qualcuno
per arrivare
a tutti

Dopo aver visto che l’annuncio cristiano è gioia, soffermiamoci oggi su un secondo aspetto: è per tutti, l’annuncio cristiano è gioia per tutti. Quando incontriamo veramente Gesù, lo stupore pervade la vita e chiede di essere portato al di là di noi.

Egli desidera che il suo Vangelo sia per tutti. In esso, infatti, c’è una “potenza umanizzatrice”, destinata ad ogni uomo e ogni donna.

In Evangelii gaudium si legge: «Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia».

Sentiamoci al servizio della destinazione universale del Vangelo, è per tutti; e distinguiamoci per la capacità di uscire da noi stessi — un annuncio per essere vero deve uscire dall’egoismo — e avere la capacità di superare ogni confine.

I cristiani si ritrovano sul sagrato più che in sacrestia, e vanno «per le piazze e per le vie della città» (Lc 14, 21).

Devono essere aperti ed espansivi, “estroversi”, e questo loro carattere viene da Gesù, che ha fatto della sua presenza nel mondo un cammino continuo, finalizzato a raggiungere tutti, persino imparando da certi incontri.

In questo senso, il Vangelo riporta il sorprendente incontro con una donna straniera, una cananea, che lo supplica di guarire la figlia malata (Mt 15, 21-28). Gesù rifiuta, dicendo di essere stato mandato solo «alle pecore perdute della casa di Israele» e che «non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini».

La cananea che fece
cambiare idea a Gesù

Ma la donna, con l’insistenza tipica dei semplici, replica che anche «i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei padroni».

Gesù rimane colpito e le dice: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri».

Questo incontro con la donna ha qualcosa di unico. Non solo qualcuno fa cambiare idea a Gesù, e si tratta di una donna, straniera e pagana; ma il Signore stesso trova conferma al fatto che la sua predicazione non debba limitarsi al popolo a cui appartiene, ma aprirsi a tutti.

La Bibbia ci mostra che quando Dio chiama una persona e stringe un patto con alcuni il criterio è sempre questo: elegge qualcuno per raggiungere altri.

Tutti gli amici del Signore hanno sperimentato la bellezza ma anche la responsabilità e il peso di essere “scelti” da Lui.

E tutti hanno provato lo scoraggiamento di fronte alle proprie debolezze o la perdita delle loro sicurezze.

La chiamata
non è
un privilegio

Ma la tentazione più grande è quella di considerare la chiamata come un privilegio. [Ma] noi non possiamo dire che siamo privilegiati in confronto agli altri.

La chiamata è per un servizio. E Dio sceglie uno per amare tutti, per arrivare a tutti.

Anche per prevenire la tentazione di identificare il cristianesimo con una cultura, con un’etnia, con un sistema.

Così perde la sua natura veramente cattolica, ossia per tutti, universale: non è un gruppetto di eletti di prima classe.

Non dimentichiamo: Dio sceglie qualcuno per amare tutti. Il Vangelo non è solo per me, è per tutti.

(Udienza generale in piazza San Pietro)