· Città del Vaticano ·

I “movimenti del cuore” del Signor G

La saggezza del corpo

 La saggezza del corpo  QUO-264
17 novembre 2023

L’intuizione più felice è quella di Jovanotti all’inizio del documentario quando invita lo spettatore a concentrarsi sul corpo di Giorgio Gaber, su quel muoversi continuamente, perché, dice, «le parole possono ingannare, ma il corpo non mente mai». Lorenzo Cherubini ha ragione e Gaber è la conferma di questa affermazione. Il documentario di Milani in questo è molto utile perché indugia più volte sulle immagini che mostrano tutta la fisicità di un cantautore che invece è spesso “ridotto” alle sole parole. Sin dal primo contributo video: l’irruzione di un Gaber ventenne che nel 1959 esce dal box del Musichiere e si lancia in un rock’n roll scatenato che a parte per l’abbigliamento da impiegato ricorda molto da vicino la furia del coetaneo Elvis Presley. E poi ci sono tutte le immagini tratte dal periodo del teatro—canzone dove Gaber con il suo corpo magro che si contorce come posseduto da un demone ed emette suoni che dicono molto di più di parole, concetti, idee.

Il geniale Signor G è stato tante cose ed è difficile sintetizzare la sua parabola artistica, Riccardo Milani ci prova con la solita bravura, onestà e serietà, e ci offre appunto, tra le tante chiavi di lettura, quella del corpo. Proprio all’inizio del periodo del teatro canzone, Gaber nel 1974 canta Il corpo stupido in cui se la prende con il corpo che ottusamente resiste al suo tentativo di elevarsi, innalzarsi al livello superiore delle idee, della cultura, dell’impegno: «Io purtroppo non riesco a istruire il mio tatto / Non riesco a politicizzare l’olfatto» e quindi arriva a sentenziare: «Com’è corretta l’ideologia / Com’è ignorante la simpatia». Con la consueta ironia Gaber sta ribaltando la prospettiva e ci provoca a guardare il mondo capovolto: quella simpatia, quella stupida e volgare resistenza del corpo è in realtà la sua salvezza. C’è infatti una saggezza del corpo, come la saggezza del sangue di cui parlava Flannery O’Connor la narratrice americana scomparsa dieci anni prima che auspicava per tutti la presenza di “un piccolo granello di stupidità”. Lo stupido infatti, come indica la stessa parola, è capace di stupirsi. E lo stupore attraversa, ben nascosto, spesso sotto forma di umile autoironia, molte canzoni di Gaber pronto a emergere come ne L’illogica allegria, dove «può bastare un niente / anche un piccolo bagliore», per cogliere la sorprendente e luminosa “epifania” quotidiana della vita.

Dunque il corpo è quella parte dell’uomo che resiste in nome di un’antica, ancestrale, saggezza, che si oppone alla correttezza dell’ideologia e all’ondata travolgente e mortifera delle mode. Gaber canta di questa resistenza con ironia e soprattutto con garbo, il che non vuol dire che a volte non si lasci andare a invettive rabbiose. Un garbo che si nota nell’uso degli avverbi, ad esempio “purtroppo”, oppure “stranamente” (ancora lo stupore) come nella canzone Il corrotto, anche questa imperniata sulla corporeità in cui si dichiara «stranamente d’accordo col Papa» proprio sul tema della sessualità, oppure quando “chiede scusa” ma preferisce “parlare di Maria”, breve ma emblematica canzone che racchiude tutta la forza concreta e anti—ideologica di Gaber: contro le sovrastrutture concettuali e astratte, la “moda” degli anni Settanta, il signor G canta Maria, un nome, un volto, una persona, una storia. E “Maria” c’è nel documentario: in diversi momenti appare la presenza, silente ma eloquente, della moglie, Ombretta Colli. Sta appunto lì, senza parole, che con il suo corpo, animato da “piccoli movimenti del cuore”, accompagna l’intero percorso narrativo del film. Sul loro legame così “stranamente” resistente, Gaber ha scritto una delle sue canzoni più belle, Il dilemma, quasi un commento all’affermazione di Paolo di Tarso sul “mistero grande” dell’amore tra un uomo e una donna (Efesini 5,32), su cui il documentario si sofferma sottolineando la forza scandalosa della fedeltà, quella «gran tenacia che è propria delle cose antiche […] Che si potrebbe chiamare appunto resistenza». Di fronte a questa stranezza Gaber intuisce che c’è qualcosa che sfugge alla comprensione razionale: «Vorrei riuscire a penetrare/ Nel mistero di un uomo e una donna / Nell’immenso labirinto di quel dilemma / Forse quel gesto disperato/ Potrebbe anche rivelare / Come il segno di qualcosa che stiamo per capire». La realtà, nella sua ruvida concretezza, sfugge alla presa di un pensiero disincarnato e “definitorio” e ci conduce ad una soglia inquietante, ma per fortuna c’è il corpo, con la sua saggezza. Il Gaber scatenato, urlante, con l’asciugamano zuppo di sudore attorno al collo, come una versione milanese di Elvis, sta lì a dirci di seguirla quella saggezza, perché il corpo non mente, e non sbaglia.

di Andrea Monda